CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 dicembre 2013, n. 27367
Tributi – Imposta sulle pubblicità – Incertezza normativa – Non sussiste
Svolgimento del processo
La controversia concerne una contestata pluralità di avvisi di accertamento per recupero coattivo di imposta di pubblicità per l’anno 1996.
La Commissione adita rigettava il ricorso e la decisione era confermata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la società contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi.
Resiste il Comune di Roma con controricorso.
Motivazione
Chiamata la causa all’udienza dell’8 maggio 2012, la Corte disponeva, su richiesta del difensore della società contribuente, un rinvio a nuovo ruolo concedendo 60 giorni per il deposito della documentazione comprovante la dichiarata definizione agevolata della lite. A tanto, tuttavia, non è stato adempiuto sicché la causa deve essere decisa nel merito.
Con il primo motivo di ricorso si contesta la legittimità della costituzione del Comune di Roma nelle pregresse fasi di merito con atto sottoscritto dal dirigente. Invero questa Corte ha già avuto modo di affermare che: «In tema di contenzioso tributario, l’art. 3 bis, comma 1, d.l. 31 marzo 2005 n.44, convertito con modificazioni nella legge 31 maggio 2005 n. 88, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo il comma 3 dell’art.11, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 sul contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi; mentre il comma 2 dell’articolo 3 bis citato estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma)» (Cass. n. 14637 del 2007).
Con il secondo motivo, si censura la ritenuta commisurazione dell’imposta al periodo annuale, anche quando l’esposizione del messaggio abbia avuto una durata non superiore ai tre mesi.
Il motivo non è fondato sulla base del principio affermato da questa Corte secondo cui: «In tema di imposta comunale sulla pubblicità e con riferimento al caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, la modifica all’art. 12, comma terzo, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, disposta dall’art. 145, comma 56, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che ha introdotto, a far data dall’1 gennaio 2001, la possibilità di determinare l’imposta anche nella misura e con le modalità di cui al comma secondo del citato art. 12, ha portata innovativa e, quindi, è priva di efficacia retroattiva (così come la delibera n. 42 in data 27 gennaio 2001, con cui il consiglio comunale di Roma ha dato attuazione – ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 507 del 1993 – alla suddetta disposizione innovativa), per cui, in relazione alle fattispecie impositive di data anteriore, non è consentito tener conto delle singole esposizioni nel corso dell’anno solare, al fine di applicare la tariffa commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario, ma deve applicarsi il precedente sistema di calcolo del tributo, riferito all’anno solare» (Cass. n. 9635 del 2012).
Con il terzo motivo, si contesta il computo della cornice nel calcolo della superficie espositiva.
Il motivo non è fondato sulla base del principio affermato da questa Corte secondo cui: «In tema d’imposta comunale sulla pubblicità effettuata mediante strutture piane, l’art. 7, comma primo, del d.lgs 15 novembre 1993 n. 507 stabilisce che l’imposta va determinata in base alla superficie della minima figura geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario. L’imposta, pertanto, deve essere pagata con riferimento alla superficie utilizzabile per i messaggi e, conseguentemente, se la faccia dell’impianto si compone di uno spazio destinato alla pubblicità e di una cornice da esso distinta ed oggettivamente inidonea ad essere utilizzata per la diffusione dei messaggi, l’imposta dovrà essere commisurata soltanto in relazione al predetto spazio, mentre se l’impianto è strutturato in modo tale che l’intera sua faccia è utilizzata per la pubblicità, l’imposta andrà ragguagliata alla totalità della superficie. La verifica dell’effettivo impiego della cornice dell’impianto per la pubblicità è accertamento, di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione, se non con riferimento al vizio di motivazione» (Cass. n. 1161 del 2008). Nessuna adeguata censura è in proposito svolta nel ricorso, ove nemmeno si deduce che la cornice non fosse stata utilizzata per inidoneità della stessa al messaggio pubblicitario.
Con il quarto motivo, si chiede la disapplicazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 546 del 1992, per incertezza interpretativa della norma tributaria.
Il motivo non è fondato Questa Corte ha evidenziato che: «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto» (Cass. n. 4031 del 2012). E ancora: «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva che, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» (Cass. n. 3245 del 2013). Nessuna delle predette condizioni è allegata e dimostrata dalla società ricorrente, né ricorre nelle norme coinvolte alcuna pluralità di prescrizioni che appaia di difficile coordinamento o generatrice di confusione.
Sicché il ricorso deve essere respinto.
La formazione degli indicati principi in epoca successiva alla proposizione del ricorso giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
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