CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2013, n. 27643
Lavoro – Indennità di fine rapporto di lavoro – Computo – Indennità corrisposte ai lavoratori “trasferisti” – Accertamento del giudice di merito – Censurabilità in sede di sindacato di legittimità
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 2 dicembre 2008, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva accolto la domanda proposta da M. G. nei confronti del Banco di Napoli S.p.A., ora Intesa San Paolo S.p.A., volta ad ottenere il computo dell’indennità di trasferta nella base di calcolo dell’indennità di anzianità per il periodo anteriore al 31 maggio 1982 ed aveva rigettato la domanda per il periodo successivo.
Ha osservato la Corte di merito:
– che, in relazione al primo periodo, era nulla la clausola del Regolamento per il personale del Banco di Napoli del 1975 che aveva escluso dall’indennità di anzianità l’indennità di trasferta, essendo tale clausola in contrasto con la legge 297/82, art. 4, c. 11, avente carattere inderogabile;
– che era corretta la liquidazione in via equitativa operata dal Tribunale, il quale, escludendo le spese, aveva computato nell’indennità di anzianità le voci retributive percepite dal lavoratore nel triennio antecedente al 31 maggio 1982 nella misura del 50%, richiamando l’art. 12 della legge n. 153 del 1969 che, ai fini contributivi, presume il carattere retributivo dell’indennità di trasferta nella misura del 50%;
– che, con riguardo al periodo successivo al 31 maggio 1982, la domanda era infondata, posto che l’art. 2120 c.c., nella nuova formulazione, aveva conferito alla contrattazione collettiva il potere di determinare il quantum della retribuzione annua utile al computo del t.f.r. ed il Regolamento del personale del Banco, modificato con l’accordo del 15 aprile 1985, non prevedeva che l’indennità di trasferta venisse computata nel t.f.r. Solo in sede di appello il lavoratore aveva dedotto di essere un “trasfertista”, e cioè di avere esercitato sistematicamente la propria attività fuori dall’azienda, senza alcuna sede fissa e predeterminata, ma, anche a voler superare la novità di tale deduzione, non poteva riconoscersi al dipendente tale figura, posto che il medesimo veniva di volta in volta inviato in missione presso le varie sedi del Banco, percependo la relativa indennità.
Per la riforma di questa sentenza ha proposto ricorso il dipendente. Banca Intesa S.p.A. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, al quale ha replicato il ricorrente con controricorso, depositando successivamente memoria.
Motivi della decisione
1. Deve innanzitutto disporsi la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. Con il primo motivo del ricorso principale, cui fa seguito il quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., allora in vigore, è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 345, comma 1, e 437, comma 2, cod. proc. civ.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che solo in grado d’appello il ricorrente avesse dedotto di essere un “trasfertista”.
A prescindere che tale figura è stata elaborata dalla giurisprudenza, con il ricorso introduttivo era stato dedotto che il ricorrente sin dal 1966 aveva svolto in via continuativa la propria attività in trasferta, come era desumibile dal prospetto allegato allo stesso ricorso. E la figura del “trasfertista” era stata richiamata anche nelle successive note depositate in quel giudizio.
Era quindi da escludere la novità della questione.
3. Con il secondo motivo è denunziata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si afferma che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che in ogni caso, anche a volere superare la novità della questione, il ricorrente non fosse un “trasfertista”. Il medesimo infatti ha sempre operato da oltre trent’anni in trasferta, in via continuativa e non occasionale, presso sedi diverse del Banco in esecuzione dei compiti assegnatigli dal datore di lavoro, percependo la relativa indennità. Questa, avente natura retributiva, doveva essere computata nel calcolo del t.f.r.
4. Con il terzo motivo, cui fa seguito il quesito di diritto, è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 2120 e 2121 cod. civ., nel vecchio e nel nuovo testo a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 297/82, degli artt. 89, 107 e 110 del Regolamento per il personale del Banco di Napoli, allegato G, e del CCNL di categoria del 22 novembre 1990, artt. 49 e 69.
Si deduce che l’indennità di trasferta avrebbe dovuto essere computata nel t.f.r. sia con riguardo al periodo anteriore che a quello successivo al maggio 1982.
Con riguardo al primo periodo essa avrebbe dovuto essere computata per intero, e non già in ragione del 50% utilizzando il criterio di cui all’art. 12 della legge n. 153/69, che ai fini contributivi presume il carattere retributivo dell’indennità di trasferta nella misura del 50%. Ed infatti si trattava non già di indennità di trasferta in senso proprio, per la quale, in mancanza di dati contabili certi, poteva valere detto criterio, bensì di compenso corrisposto ai dipendenti “trasfertisti” per l’attività prestata ripetutamente ed abitualmente fuori sede.
Quanto al periodo successivo al maggio 1982, se è vero che l’art. 2120 cod. civ. novellato conferisce alla contrattazione collettiva il potere di fissare la determinazione della retribuzione annua ai fini del computo del t.f.r. e che, nella specie, il Regolamento per il personale del Banco, come modificato dall’accordo del 15 aprile 1985, allegato G, non indicava tra le voci da porre a base del calcolo l’indennità di trasferta, è altresì vero che l’emolumento riconosciuto al ricorrente riguardava somme corrisposte in via continuativa, avendo il medesimo svolto abitualmente la propria attività presso le diverse sedi del Banco di Napoli. Si trattava quindi di un compenso avente carattere integralmente retributivo, non assimilabile ad una vera e propria indennità di trasferta che per la sua stessa natura postula la predeterminazione di un luogo fisso dell’attività lavorativa ed un provvisorio mutamento di esso per contingenti scelte imprenditoriali.
Il ricorrente aveva quindi diritto a vedersi rideterminare il t.f.r. anche per il periodo successivo al maggio 1982, con l’inclusione, ai fini del calcolo, dell’intero compenso percepito.
5. In replica a tali motivi, la controricorrente, dopo avere eccepito l’inammissibilità del ricorso perché notificato oltre il termine annuale previsto dall’art. 327 cod. proc. civ., nella precedente formulazione, ha chiesto nel merito il rigetto dello stesso.
Ha poi così argomentato con riguardo al ricorso incidentale: “Per non appesantire il Collegio Intesa San Paolo si riporta integralmente alle premesse riepilogative dei propri scritti che contraddicono in modo esauriente quanto sostenuto dal M. anche in questa sede. Ciò vale anche con riferimento all’appello incidentale che si riformula in questa sede sotto forma di ricorso incidentali.
Ed ha così concluso: “in accoglimento al ricorso incidentale riformare la sentenza di appello nella parte in cui rigetta l’appello incidentale e, per l’effetto….dichiarare che anche il compenso percepito dal M. per l’indennità di trasferta sino al 31.5.1982 non deve essere tenuto a base del calcolo del TFR”, disponendo “la restituzione delle somme percepite dal Sig. M. G. in conseguenza della sentenza di primo grado”.
6. Deve preliminarmente essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente sul rilievo che tale ricorso è stato notificato oltre il termine annuale dal deposito della sentenza impugnata (art. 327 cod. proc. civ. nella precedente formulazione).
Ed infatti il ricorso, a seguito di una prima notifica tempestiva, non andata a buon fine per l’intervenuto trasferimento del difensore domiciliatario ad altro indirizzo, venne dopo pochi giorni regolarmente effettuata al nuovo indirizzo del predetto difensore.
Al riguardo va richiamata la univoca giurisprudenza di questa Corte, sulla scia di Cass. Sez. Un. 24 luglio 2009 n. 17352, secondo cui in tema di notificazione di atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quali l’intervenuto mutamento del luogo in cui ha sede lo studio del procuratore costituito, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass. 13 ottobre 2010 n. 21154; Cass. 22 marzo 2010 n. 6846 e, più recentemente, Cass. 19 ottobre 2012 n. 18074).
7. Il ricorso incidentale, il cui esame sotto il profilo logico giuridico precede quello del ricorso principale, è inammissibile.
La Corte di merito, con riguardo al periodo anteriore al 31 maggio 1982, ha affermato che sono nulle e sono sostituite di diritto dalle norme di cui alla legge 297/82, art. 4, le clausole del Regolamento per il personale del Banco di Sicilia che escludono l’indennità di trasferta ai fini del calcolo dell’indennità di anzianità.
Tale statuizione è stata impugnata dal ricorrente incidentale, quale ha chiesto nelle conclusioni che, per il periodo dianzi indicato, il compenso percepito dal M. per l’indennità di trasferta non fosse viceversa incluso nel calcolo anzidetto.
Senonché, il ricorso non contiene i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano (art. 371, in relazione all’art. 366 n. 4) cod. proc. civ.), bensì un mero richiamo ai motivi contenuti nell’atto di appello, sicché è palesemente inidoneo a soddisfare il requisito dianzi indicato. Da qui l’inammissibilità del ricorso, dovendo i relativi motivi avere carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, con l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione delle ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione.
8. Il ricorso principale, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non è fondato.
La Corte territoriale, con riguardo al periodo anteriore al 31 maggio 1982, dopo avere affermato che l’indennità di trasferta era costituita da una voce retributiva relativa alla trasferta ed una voce relativa alle spese per il vitto e l’alloggio, ha precisato che solo la prima voce, in quanto avente carattere retributivo, poteva essere computata ai fini del calcolo del t.f.r.
Ha quindi ritenuto corretta la quantificazione equitativa operata dal giudice di primo grado, ancorata all’art. 12 della legge n. 153 del 1969, che ai fini contributivi presume il carattere retributivo dell’indennità di trasferta nella misura del 50%.
Così facendo la sentenza impugnata si è uniformata al principio di diritto secondo cui la disposizione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, che esclude dalla base imponibile ai fini contributivi le somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità di trasferta in cifra fissa, limitatamente al 50 per cento del loro ammontare, pone una presunzione legale di coesistenza in pari misura nella suddetta indennità di una parte remunerativa e di una parte restitutoria; affinché tale presunzione possa operare, è necessario che sia preventivamente accertata la effettiva natura dell’emolumento e la compresenza in esso di entrambe le componenti (Cass. 2 ottobre 1991 n. 10249; Cass. 5 agosto 2010 n. 18269).
Quanto al periodo successivo al 31 maggio 1982, va premesso che la nozione di trasferta è caratterizzata dal trasferimento del lavoratore in un luogo diverso da quello abituale per svolgere l’attività lavorativa; dalla temporaneità del mutamento del luogo di lavoro; dalla necessità che la prestazione lavorativa sia effettuata in esecuzione di un ordine di servizio del datore di lavoro e dalla irrilevanza del consenso del lavoratore.
Nella nozione di “trasfertisti” rientrano invece i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale (Cass. 4873/13; Cass. 1583/10; Cass. 28162/05; Cass. 15767/00).
Il giudice d’appello, premesso che l’art. 2120 cod. civ. novellato dalla legge n. 297 del 1982, ha conferito alla contrattazione collettiva il potere di determinare il quantum della retribuzione annua utile al computo del t.f.r. e che il Regolamento per il personale del Banco di Napoli, come modificato dagli accordi sindacali del 15 aprile 1985, non contemplava tra le voci che determinano la retribuzione annua l’indennità di trasferta o missione, ha escluso che tale indennità potesse rientrare nel calcolo del t.f.r.
Ha precisato – senza affrontare il problema se l’affermazione del ricorrente, per la prima volta in sede di appello, di essere un “trasfertista” costituisse o meno una nuova deduzione, non consentita (“anche a voler superare la novità della deduzione”…) – che la natura retributiva dell’indennità di missione, e quindi la sua inclusione nel calcolo del t.f.r., non poteva derivare dallo status di “trasfertista” del ricorrente. Il medesimo, infatti, era un impiegato che veniva di volta in volta inviato in missione presso le varie sedi del Banco, percependo la relativa indennità, a differenza del “trasfertista” che assume l’obbligo di svolgere l’attività lavorativa in modo “itinerante”, sempre in luoghi diversi, senza alcuna sede lavorativa fissa e predeterminata, percependo la retribuzione indipendentemente dalla effettiva effettuazione della trasferta.
In definitiva, ha concluso la Corte, il ricorrente non era un “trasfertista”.
Trattasi di un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che è sindacabile in questa sede solo in presenza di vizi logici e giuridici, elementi questi non ricorrenti nella specie avendo la sentenza impugnata dato adeguatamente conto delle ragioni poste a sostegno della decisione.
A tale ultimo proposito va rammentato che il vizio di motivazione non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello auspicato dalle parti, posto che, diversamente, i motivi del ricorso si risolverebbero in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di cassazione.
Spetta infatti solo al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento ed all’uopo valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dall’ordinamento.
Alla strega di tutto quanto precede, il ricorso principale va rigettato.
9. L’esito sfavorevole di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa le spese tra le parti.
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