Corte di Cassazione sentenza n. 2765 del 6 febbraio 2013
LAVORO (RAPPORTO DI) – POTERE DISCIPLINARE – SANZIONI – COMPORTAMENTO DEL LAVORATORE – SPECIFICITA’ DELLA CONTESTAZIONE
massima
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In tema di sanzioni disciplinari, l’esigenza della specificità della contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Ancona, F.C. conveniva in giudizio la A. Raffineria di Ancona S.p.A. al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 16 settembre 2005 con la conseguente tutela reale e risarcitoria. L’impugnato provvedimento espulsivo era stato adottato per il comportamento del C. che, secondo la contestazione disciplinare, il giorno 23 agosto 2005, all’interno degli uffici del reparto “Mare” (cui il medesimo era addetto in qualità di marittimo) aveva proditoriamente aggredito il Vice Capo Reparto, G.G., provocandogli lesioni. In sede di ricorso, il dipendente lamentava l’incompletezza e la genericità dell’addebito, l’omesso esame di documentazione medica e di note a discolpa a questa allegate, la violazione del termine di cui all’art. 55 del C.C.N.L. di settore, la sussistenza di fatti disciplinarmente rilevati, la sproporzione della sanzione anche per le condizioni oggettive di lavoro e per l’elemento soggettivo nonché per la mancanza di precedenti disciplinari. Nel contraddittorio con la società convenuta, il Tribunale rigettava la domanda. La decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Ancona. Riteneva la Corte territoriale che la contestazione dell’addebito soddisfacesse le esigenze di specificità funzionali ad assicurare il compiuto esercizio del diritto di difesa, che la ricezione in data 16 settembre 2005 della documentazione medica trasmessa dal C., e cioè lo stesso giorno dell’adozione del provvedimento di licenziamento, non significasse che della stessa non si era tenuto conto; che il provvedimento fosse stato adottato nei termini di cui all’art. 55 del C.C.N.L.; che l’addebito fosse risultato confermato dagli esiti dell’istruttoria svolta e che rispetto alla gravità del comportamento la sanzione risultasse assolutamente proporzionata.
Per la cassazione di tale sentenza F.C. propone ricorso affidato a tredici motivi.
Resiste con controricorso l’intimata A. Raffinerie di Ancona S.p.A.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione di norma di diritto – 360 n. 3 c.p.c. – in riferimento all’art. 7, comma 2, legge n. 300/1970 e dell’art. 55 del C.C.N.L. del settore (petrolio ed energia) approvato in data 12/3/2002”. Deduce che la Corte territoriale nel ritenere specifica la contestazione escludendo la necessità di una dettagliata descrizione delle modalità esecutive dell’azione ascritta e dei mezzi lesivi utilizzati, ha esautorato non solo la norma del C.C.N.L. ma anche l’art. 7 dello statuto dei lavoratori.
Il motivo è inammissibile.
L’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (ex multis, v. Cass. 7546 del 30 marzo 2006).
Nella specie, il ricorrente cerca di veicolare sotto forma di violazione di legge quello che – invece – è l’esito di un apprezzamento in punto di fatto delle risultanze istruttorie.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: “A) Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. B) [Ed anche] omessa motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.)’
Il motivo non è fondato.
Rileva il Collegio che il canone della specificità, elaborato dalla giurisprudenza in materia di contestazione degli addebiti, assolve la funzione di consentire al lavoratore incolpato una adeguata difesa. L’esigenza di specificità non obbedisce, pertanto, a rigidi canoni (al pari, ad esempio, di quelli che presiedono la formulazione dell’accusa nel processo penale), né si ispira ad uno schema prestabilito o ad una regola assoluta ed astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza e di garanzia del contraddittorio, ed appare funzionalmente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato, il quale deve essere posto in condizione di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa (Cass. n. 10972 del 25 luglio 2002; id. n. 18377 del 23 agosto 2006; n. 27842 del 30 dicembre 2009). Orbene, nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che tale esigenza fosse stata pienamente soddisfatta ed a tal fine evidenziato che la lettera di addebito contenesse le indicazioni necessarie ad individuare nella sua materialità il fatto nel quale il datore di lavoro aveva ravvisato la sussistenza di infrazioni disciplinari ed in particolare contenesse la descrizione del comportamento addebitato (aggressione proditoria ad un superiore gerarchico seguita da lesioni), l’indicazione delle circostanze di tempo (martedì 23 agosto 2005 alle ore 16.45 circa) e di luogo (uffici del Reparto “Mare”) in cui il comportamento medesimo si era verificato.
Si tratta di una motivazione congrua a fronte della quale il ricorrente si limita ad opporre una diversa interpretazione della contestazione, con una diversa concezione del requisito della specificità, senza evidenziare veri e propri vizi nella valutazione dei Giudici di appello.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: “Ulteriore contraddittorietà della sentenza per illogicità manifesta circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Si duole del ragionamento della Corte di merito, secondo il quale l’azienda avrebbe tenuto conto della documentazione sanitaria pervenuta il 16 settembre 2005 e solo dopo la ricezione di tale documentazione avrebbe spedito la lettera di licenziamento, in quanto contrastante con nozioni di comune esperienza e criteri di carattere logico.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia: “Motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Si duole della insufficiente valutazione da parte della Corte territoriale di quanto dedotto dal lavoratore in ordine alla richiesta rivoltagli dalla stessa azienda, durante il procedimento disciplinare, di fornire la documentazione sanitaria posta a fondamento delle giustificazioni.
Terzo e quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati.
Le censure mirano a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità.
Va, infatti, ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (si vedano, tra le tante: Cass. n. 9043 del 20 aprile 2011; id. n. 313 del 13 gennaio 2011; n. 37 del 3 gennaio 2011; n. 20731 del 3 ottobre 2007; n. 18214 del 21 agosto 2006; n. 3436 del 16 febbraio 2006; n. 8718 del 27 aprile 2005).
Deve, al riguardo, anche rimarcarsi che la valutazione delle risultanze probatorie e la scelta, tra queste, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; con la conseguenza che il controllo di legittimità da parte della Corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova, non essendo conferito alla S.C. il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. ex plurimis Cass. n. 6288 del 18/03/2011, id. n. 27162 del 23/12/2009 e n. 17477 del 9/08/2007). Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Del pari, non può imputarsi al giudice di merito di aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 120520).
Nella specie non risulta che le doglianze abbiano evidenziato i profili di omissione, insufficienza o contradittorietà della motivazione nei termini consentiti in sede di legittimità, indicati dalle pronunce di legittimità richiamate, limitandosi il ricorrente a prospettare una propria personale valutazione delle emergenze istruttorie.
La Corte territoriale, del resto, ha congruamente motivato in ordine al preteso mancato esame della documentazione sanitaria e delle ulteriori note giustificative chiarendo, con un ineccepibile percorso logico-argomentativo, le ragioni per cui ha ritenuto che deponesse significativamente in senso contrario proprio la circostanza che la società aveva atteso fino al giorno 16 settembre 2005 prima di adottare il provvedimento espulsivo.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 604/1966 (art. 360 n. 3 c.p.c.)”. Deduce che, essendo quantomeno dubbia la circostanza dell’avvenuto esame della documentazione sanitaria e delle note a questa allegate, non poteva la Corte territoriale ritenere adempiuto da parte del datore di lavoro l’onere probatorio di cui all’art. 5 cit.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia: “Ulteriore violazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 (art. 360 n. 3 c.p.c.)”. Deduce che l’omesso (in quanto non provato) esame della documentazione sanitaria e delle note a questa allegate ha comportato la violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 cit.
Il quinto e sesto motivo, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono inammissibili nella parte in cui tendono a richiedere, pure attraverso il denunciato vizio di violazione delle regole probatorie poste a carico del datore di lavoro, una verifica del rispetto delle garanzie procedimentali che costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva, anche in questo caso, la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice del merito, di tal che ove questi – con valutazione immune da vizi, e quindi insindacabile in sede di legittimità,-escluda un simile pregiudizio, la violazione in sé della tutela accordata dall’ordinamento resta priva di rilevanza.
La Corte territoriale, peraltro, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto in base al quale, se pure l’onere della prova incombe alla parte che allega i fatti posti a fondamento della domanda o dell’eccezione, ciò non impedisce al giudice, in sede di decisione della causa, di desumere il proprio convincimento sulla verità di quei fatti da tutti gli elementi probatori acquisiti al processo e, quindi, nella specie di considerare avvenuto l’esame della documentazione medica e delle note ricevute dalla società in data 16 settembre 2005 sulla base della circostanza (ritenuta significativa) che la società avesse atteso proprio sino a tale giorno per l’irrogazione del provvedimento disciplinare.
7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119 e 7 St. Lav. – immutazione della contestazione (art. 360 n. 3 c.p.c.)”. Deduce che la Corte territoriale avrebbe erroneamente fondato il giudizio sulla gravità del fatto non sull’incolpazione bensì su quanto dichiarato da un testimone.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha affatto violato il principio della immutazione della contestazione. Tale principio, infatti, assolve la funzione di garanzia del diritto di difesa del lavoratore ed impone che i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio debbano coincidere con quelli oggetto dell’avvenuta contestazione.
Non vi è dubbio che, nella specie, il fatto (proditoria aggressione il giorno 23 agosto 2005. all’interno degli uffici del reparto, del Vice Capo Reparto, G.G. con conseguenti lesioni a quest’ultimo) nella sua materialità sia sempre rimasto lo stesso, tanto in sede di contestazione quanto in sede di provvedimento espulsivo. Rispetto a tale fatto la Corte si è limitata a trarre dall’avvenuto chiarimento giudiziale degli aspetti concreti dell’episodio elementi confermativi della gravità della condotta come già delineata, in sede di contestazione, nei suoi tratti essenziali.
8. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia: “Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Deduce che la Corte territoriale ha omesso di valutare la specifica mancanza commessa dal dipendente nella sua portata soggettiva, con riferimento alle circostanze e condizioni in cui la stessa era stata posta in essere e così, in particolare, omesso di considerare le condizioni ambientali, il motivo dal quale l’alterco tra i due colleghi era scaturito, nonché l’elemento della provocazione da parte del G.
Il motivo è inammissibile in quanto carente di autosufficienza.
Il ricorrente che denunci, sotto il profilo del vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto.
Orbene, il ricorrente prospetta una lettura delle risultanze istruttorie (asseritamente coincidente con quella di un diverbio generato in un contesto di rivendicazione di diritti e di particolare stress lavorativo) senza minimamente riportare le affermazioni dei testi a sé favorevoli.
Del tutto insufficiente è, a tal fine, il mero richiamo ad alcune pagine dell’atto di appello considerato che questa Corte non ha accesso diretto agli atti dei giudizio di merito e deve essere in grado di acquisire dalla mera lettura del ricorso una sufficiente conoscenza del fatto sostanziale (o processuale) che, se fondato su testimonianze, atti o documenti prodotti nel processo, impone alla parte ricorrente di trascriverne integralmente il contenuto, in modo da consentire alla Corte di valutare immediatamente la ammissibilità e fondatezza del motivo dedotto (cfr. ex multis Cass. SU n. 20159 del 24/9/2010). Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha, infatti, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cosi Cass. n. 17915 del 30 luglio 2010). Inoltre, anche per tale motivo di ricorso, il ricorrente postula un riesame degli atti di causa, non sussumibile nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, n. 5, c.p.c.. Valga, sul punto, il richiamo all’indirizzo generale consolidato in base al quale la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi lutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. ex multis Cass. 9 aprile 2001 n. 5231, id. 15 aprile 2004 n. 7201; 7 agosto 2003 n. 11933; 5 ottobre 2006 n. 21412). Del resto, come pure è stato più volte precisato il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dell’attendibilità dei testi G. e L. vengono riportati solo alcuni passaggi e non, dunque, l’intero contenuto delle dichiarazioni), è infondato.
Va, infatti, richiamato quanto sopra precisato (terzo e quarto motivo di ricorso) in ordine alla impossibilità di sollecitare nella presente sede di legittimità una rivisitazione del merito.
Nella specie, peraltro, le valutazioni delle risultanze probatorie operate dalla Corte di appello sono congniamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
11. Con l’undicesimo motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 254 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Omessa valutazione di prova decisiva”. Si duole del mancato esame da parte della Corte territoriale dell’esito del confronto d’ufficio tra i due testi nei termini specificati al decimo motivo.
Anche tale motivo è inammissibile risolvendosi in una censura all’apprezzamento in punto di fatto delle risultanze istruttorie.
12. Con il dodicesimo motivo il ricorrente denuncia: “Insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.): A) Mancato esame di risultanze documentali decisive per il giudizio e dei rilievi critici del consulente medico di parte; B) Mancala ammissione di C.T.U.”. Si duole del mancato esame da parte della Corte di merito degli esiti relativi agli accertamenti diagnostici e strumentali disposti dal medico del pronto soccorso, successivi alla iniziale diagnosi formulata sulla base di quanto dichiarato dallo stesso G. ed altresì del mancato approfondimento istruttorio necessario per vagliare, anche alla luce dei rilievi critici mossi dal C. a mezzo del proprio consulente di parte, tutta la documentazione sanitaria in atti.
Il motivo è inammissibile sia perché si fa riferimento a documenti che non risultano prodotti unitamente al ricorso per cassazione e dei quali non è trascritto il contenuto sia perché la valutazione di gravità della condotta non è posta dalla Corte di merito in relazione alla tipologia ovvero al decorso di guarigione delle lesioni derivate al G. bensì in relazione alla particolare odiosità della condotta ed alla umiliazione e mortificazione inflitta alla parte lesa.
13. Con il tredicesimo motivo il ricorrente denuncia: “Omessa motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Deduce che la Corte non ha valutato forti elementi di contraddizione presenti della deposizione testimoniale del G. che, laddove correttamente considerati, avrebbero condotto, anche alla luce dei referti rilasciati al C., ad un ribaltamento della decisione di ritenere il suddetto teste attendibile.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui pretende di ricavare un vizio di motivazione in ordine al giudizio di inattendibilità del teste G. da referti medici relativi al C. e ciò per le stesse ragioni evidenziate con riguardo al dodicesimo motivo.
Per il resto, il motivo è infondato in quanto, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella valutazione delle risultanze probatorie (apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 comma 1, n. 5. c.p.c.) deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr., in tal senso, Cass. n. 14262 del 20 giugno 2006; id. n. 2707 del 12 febbraio 2004; n. 12912 del 13 luglio 2004; n. 26965 del 20 dicembre 2007; n. 20112 del 18 settembre 2009).
Orbene, nel caso, in esame la corte territoriale ha, con motivazione congrua e logica, dato conto della verifica di attendibilità operata con riguardo al teste G. attraverso la compiuta analisi della relativa prova orale anche in rapporto alle altre dichiarazioni dei testi escussi ed al contenuto della documentazione esaminata così da non meritare il rilievo di parte ricorrente.
Va, al riguardo, vieppiù rammentato che solo al giudice di merito spetta di individuare le fonti del proprio convincimento ed all’uopo valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione. Costituisce, del resto, insegnamento consolidato di questa Corte che il giudice del merito non è tenuto ad analizzare singolarmente le deposizioni dei testimoni, essendo sufficiente che la decisione sia fondata sugli elementi che egli reputi pertinenti ed attendibili. La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri clementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. Cass. n. 9662 del 17 luglio 2001; id. n. 2404 del 3 marzo 2000).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, dovendo farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012. n. 140. Al riguardo va precisato che l’art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, dispone: “1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. 2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso dì liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, (omissis) 3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Con Decreto 20 luglio 2012, n. 140, è stato, quindi, emanato il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del citato art. 9. Il Regolamento trova applicazione in difetto di accordo tra le parti in ordine al compenso (art. 1 D.M. 140/2012 in riferimento all’art. 9, comma 4, D.L. n. 1/2012, conv. 1. 24 marzo 2012 n. 27). L’art. 41 di tale decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.
Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell’art. 41 citato (“le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”) depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell’abrogato sistema tariffario forense.
Nel nuovo sistema, che non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, ma esige che la valutazione dell’opera del professionista avvenga per fasi processuali (artt. 4 e 11) e secondo parametri specifici (art. 11 e tabella A – Avvocati), l’apprezzamento dell’attività difensiva, alla stregua dei criteri di cui al secondo e terzo comma dell’art. 4, non è più correlato al momento in cui l’opera è prestata, ma al momento in cui questa viene valutata dal giudice.
Qualsiasi diversa soluzione interpretativa che consentisse l’applicazione del sistema tariffario alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del d.m. in esame contrasterebbe non solo con la disposizione regolamentare di cui all’art. 41 citato, ma anche con il dettato normativo di cui al comma terzo dell’art. 9, d.l. n. 1/2012, conv. L. 24 marzo 2012 n. 27, che ha – con chiarezza – escluso l’ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore dei decreto ministeriale, avvenuta anteriormente alla scadenza del termine (di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) fissato per la transitoria applicazione del sistema tariffario abrogato.
Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nel menzionato art. 4 del D.M. e non ravvisandosi elementi che giustifichino un discostamento dal valore medio di riferimento indicato per ciascuna delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di euro 3.000,00, oltre euro 40,00 per esborsi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 40,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge.
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