CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 dicembre 2013, n. 27837
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Mancata allegazione della copia dell’atto impositivo – Inammissibilità del ricorso del contribuente – Non sussiste
Svolgimento del processo
Con ricorso alla commissione tributaria di Cosenza, S.D.L. Di Lizzano impugnava un avviso di liquidazione dell’Invim, emesso dal locale ufficio del registro a seguito della rettifica del valore di un terreno da essa alienato in data 24 dicembre 1973.
Nel contraddittorio con l’agenzia delle entrate, l’adita commissione dichiarava il ricorso inammissibile, ritenendo ostare al suo esame l’art. 6 del d.p.r. n. n. 731 del 1981, di modifica dell’art. 15 del d.p.r. n. 636 del 1972 all’epoca vigente, non essendo stata dalla contribuente allegata al ricorso la copia dell’atto impugnato.
La sentenza è stata confermata, in appello, dalla commissione tributaria regionale della Calabria, che ha condiviso la prospettazione secondo cui la mancata allegazione, al ricorso, di copia dell’atto impugnato costituiva causa di inammissibilità del ricorso stesso.
In consecuzione, la commissione ha aggiunto che la dedotta pendenza, dinanzi alla corte d’appello di Catanzaro, di una causa civile involgente la asserita proprietà demaniale di un’ampia porzione del terreno compravenduto non legittimava la riforma della decisione di primo grado. Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, articolando sette motivi, A.G., erede della parte originaria deceduta dopo la pubblicazione della decisione.
L’amministrazione ha replicato con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria.
Motivi della decisione
I. – Il ricorso per cassazione risulta così articolato.
Col primo motivo, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15 del d.p.r. n. 636 del 1972, la ricorrente chiede alla corte di dire se la mancata allegazione al ricorso in commissione tributaria della copia dell’avviso di liquidazione impugnato possa, o meno, comportare, come stabilito in sentenza, una pronuncia di inammissibilità del ricorso stesso.
Col secondo motivo, si deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su punto controverso (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Col terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, sul rilievo che la commissione tributaria regionale avrebbe dovuto riformare, in base alla norma citata, la decisione di primo grado per non aver utilizzato i poteri d’ufficio tesi a imporre alle parti il deposito della copia dell’atto impugnato, ritenuto essenziale ai fini della decisione.
Col quarto mezzo, la ricorrente ulteriormente denunzia un vizio di omessa motivazione su fatto controverso (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Col quinto, la violazione e la falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 38 del d.p.r. n. 131 del 1986 e dell’art. 31 del d.l. n. 429 del 1982, conv. in l. n. 516 del 1982, sul rilievo che, essendo nel frattempo intervenuto il giudicato civile sulla questione relativa alla titolarità (di parte) dell’immobile in capo al demanio, l’agenzia delle entrate avrebbe dovuto procedere “alla rideterminazione, sulla base dell’art. 31 cit., dell’imposta Invim da condono”, imposta che era stata a suo tempo calcolata in relazione all’atto ritualmente impugnato.
Col sesto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., la ricorrente eccepisce essere stata la sentenza della commissione tributaria regionale emessa in contrasto con la statuizione suddetta, passata in giudicato, della corte d’appello di Catanzaro, adottata a conclusione del giudizio civile inteso ad accertare la proprietà damaniale della porzione del terreno compravenduto.
Col settimo motivo, infine, deduce la violazione dell’art. 295 c.p.c., affermando che la commissione tributaria regionale avrebbe dovuto in ogni caso sospendere il giudizio tributario, appunto in attesa della definizione della questione pregiudiziale allora pendente dinanzi alla corte d’appello di Catanzaro.
II. – Il ricorso è fondato con riferimento al primo e al terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi.
Giova premettere che la commissione tributaria regionale ha reso la decisione sulla base di un’unica ratio, incentrata sulla inammissibilità del ricorso in sede giurisdizionale in quanto, nell’ottica di cui al d.p.r. n. 636-72, art. 15, allora vigente, era mancata la produzione, a onere della contribuente, di copia dell’atto impugnato. La restante argomentazione, che nella sentenza attiene alla ritenuta irrilevanza della simultanea pendenza (allora) della causa civile concernente la rivendicazione della proprietà demaniale su parte del terreno, non assume dignità di ratio decidendi, a essa non essendo stata affidata la statuizione di conferma dell’inammissibilità dichiarata in primo grado.
III. – La tesi dell’inammissibilità del ricorso, per mancata allegazione, a questo, di copia dell’atto impugnato, è giuridicamente errata. Sicché la sentenza va cassata sullo specifico punto.
Difatti l’art. 15 del d.p.r. n. 636 del 1972, pro tempore vigente allorché il ricorso introduttivo del giudizio tributario era stato proposto, imponeva al ricorso alla commissione tributaria di contenere: a) l’indicazione della commissione adita; b) l’oggetto della domanda; c) l’indicazione dell’atto, cui la controversia si riferisse, oppure dell’ufficio tributario nei confronti del quale il ricorso era proposto; d) i motivi; e) le indicazioni necessarie per individuare il ricorrente e, se del caso, il suo legale rappresentante nonché la residenza e il domicilio eventualmente eletto; f) la sottoscrizione del ricorrente o del suo legale rappresentante o del procuratore alla lite.
La norma aggiungeva che al ricorso doveva essere allegata “copia in carta semplice dell’atto di cui alla lettera c) del comma precedente”.
Il ricorso era affermato inammissibile “se manca o risulta assolutamente incerto uno degli elementi indicati nel primo comma, salvo quando disposto dal terzo comma dell’art. 32- bis”.
Questa corte, con riguardo alla corrispondente previsione dell’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha definitivamente chiarito che, in tema di contenzioso tributario, la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti espressamente previsti [per il nuovo contenzioso, dal 1° comma dell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992, non anche degli atti previsti dal 4° comma dello stesso articolo]. Sicché – è stato affermato – l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato può essere prodotto anche in un momento successivo ovvero su impulso del giudice tributario, che si avvalga, per le cause soggette al d.lgs. n. 546 del 1992, dei poteri previsti dal 5° comma del citato art. 22 (Cass. n. 18872- 07; n. 4431-10).
Il principio rileva anche in rapporto al testo dell’art. 15 dell’anteriore d.p.r. n. 636-72.
La conclusione, seppure avversata da una parte ben vero minoritaria della dottrina, è infatti sorretta dall’interpretazione – sistematica e letterale – del d.p.r. n. 636 del 1972, anche tenuto conto della scelta ribadita nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 22.
Ne risulta che la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è pur sempre da relegare nell’alveo delle misure eccezionali, siccome funzionali alla chiusura del processo in rito. Donde, con riguardo alle controversie soggette al regime processuale previgente, poteva essere disposta soltanto per mancanza o assoluta incertezza di uno degli elementi indicati nel primo comma del ripetuto art. 15.
E del resto, quanto all’omesso deposito di atti e documenti, nessuna disposizione del d.p.r. consentiva un’esegesi sanzionatoria del tipo di quella affermata dalla sentenza.
Anche con riguardo al regime processuale previgente era da considerare corretta – allora – la conclusione che il mancato deposito dell’atto impugnato, ove di questo fossero stati correttamente indicati gli estremi identificativi, poteva essere supplito dalla produzione anche in un momento successivo, ed eventualmente su impulso del giudice tributario, che si fosse avvalso di poteri conformi a quelli previsti, al riguardo, dal quinto comma dell’attuale art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992.
IV. – Può aggiungersi che non si è mai dubitato, nell’ambito del contenzioso tributario, che l’acquisizione d’ufficio dei documenti necessari per la decisione costituisse una facoltà discrezionale attribuita alle commissioni tributarie; facoltà dapprima contemplata per implicito, in base ai principi che governano il processo documentale, e infine espressamente prevista dall’art. 7, 3° co., d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Se è vero che l’esercizio di tale potere processuale non può sopperire al mancato assolvimento dell’onere della prova dei fatti a ciascuna parte rimessi secondo il criterio distributivo ex art. 2697 c.c., è anche vero che, qualora la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza l’acquisizione d’ufficio di un documento essenziale (come certamente è l’atto impugnato, che non è atto del processo), l’esercizio di tale potere istruttorio si configura come un dovere, il cui mancato assolvimento dev’essere per lo meno compiutamente motivato (cfr. per utili riferimenti applicativi Cass. n. 905-06; n. 4617-08).
V. – L’impugnata sentenza si è discostata dai principi sopra evidenziati, e per questo va cassata con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, la quale provvederà a esaminare la regiudicanda nel merito.
VI. – I restanti motivi sono invece inammissibili.
E’ appena il caso di osservare che nel secondo e nel quarto, col quale si deducono vizi della motivazione, è stata omessa la sintesi necessaria a specificare il fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione al quale la motivazione andrebbe considerata carente.
Il quinto, il sesto e il settimo non sono assistititi da interesse.
Invero la commissione tributaria regionale, ribadendo l’inammissibilità del ricorso, si è spogliata della potestas iudicandi sul merito, né l’argomentazione contro la quale i detti motivi sono volti ha nella sentenza assunto – come detto – dignità di ratio.
VII. – In conclusione, quindi, accolti il primo e il terzo motivo, e ritenuti inammissibili gli altri, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio.
Il giudice di rinvio si uniformerà ai principi di diritto sopra richiamati e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il terzo motivo; dichiara l’inammissibilità degli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Calabria.
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