CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 dicembre 2013, n. 27840
Tributi – Fatture false – Società cartiera – Assenza di dipendenti – Contestabilità – Sussiste
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate di Roma emetteva nei confronti della M. spa Roma – già C.F. spa- un avviso di accertamento con il quale veniva rettificata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1997, disponendo la ripresa a tassazione di tributi IRPEG e ILOR per utili derivanti da fatture per operazioni inesistenti, interessi attivi di competenza non contabilizzati su crediti di imposta chiesti a rimborso, perdite su partecipazioni non documentate ed accantonamento TFR eccedente i limiti previsti dall’art. 70 TUIR.
2. Secondo l’Ufficio la C. – capogruppo all’epoca dei fatti di un gruppo al cui interno operava anche la M. controllata dalla prima, aveva in particolare emesso fatture per operazioni rese alla società controllata M. in realtà inesistenti, creando un utile alla società contribuente oggetto di verifica.
3. La M. ha proposto ricorso innanzi alla CTP di Roma che lo ha accolto parzialmente.
4. Sulle impugnazioni proposte dall’Agenzia delle Entrate e dalla contribuente la CTR del Lazio, con sentenza n. 1/28/06, depositata il 2 febbraio 2006, ha accolto l’appello incidentale della contribuente confermando per il resto la decisione di primo grado.
5. Secondo la CTR era necessario evidenziare che la vicenda vedeva coinvolte due società facenti parte di un unico gruppo, tra loro collegate sul piano organizzativo anche da obiettivi comuni.
Peraltro, era emersa l’esistenza di un contratto di procacciamento di affari verso il corrispettivo di un compenso intercorso fra prestatrice controllante e la committente controllata. Per tali ragioni, l’indagine della Guardia di Finanza avrebbe dovuto esaminare in maniera particolareggiata la gestione del gruppo di società e non limitarsi ai soli rapporti intercorsi fra le società in questione.
5.1 Aggiunge che le fatture emesse dalla C. erano state ritenute non valide ancorché fosse mancata un’esauriente motivazione da parte degli organi ispettivi.
5.2 Del resto, era evidente che per l’attività di procacciamento di affari da parte della C. fosse dovuto dalla controllata un corrispettivo alla capogruppo.La CTR, inoltre, rispetto alla questione della perdita su partecipazioni, riteneva fondato l’appello incidentale proposto dalla società.
6. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un’unica complessa censura, al quale ha resistito la società contribuente – nelle more divenuta C.P. srl-con controricorso.
Motivi della decisione
7. Con un unico motivo, al cui interno risultano chiaramente esposte due diverse censure, l’Agenzia ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 75 TUIR, nonché dell’art. 39 dpr n. 600/73, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ed ancora l’omessa, insufficiente e/contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
7.1 Lamenta che la valorizzata esistenza, da parte della CTR, di un gruppo societario al cui interno operavano la C. e la M. era di scarso valore probatorio, anzi potendosi ritenere che proprio la presenza di rapporti di gruppo potesse favorire scambi interni a fini evasivi. Né poteva ritenersi che l’ipotesi prospettata dalla CTR circa l’esistenza di vere e proprie spese di regia sostenute dalla casa madre e riaddebitate alla società operativa in quanto sostenute nell’interesse generale dello stesso gruppo fosse idonea a giustificare le fatture non avendo quest’ultima trovato alcuna conferma, visto che erano mancati gli elementi dai quali potere inferire che la prestatrice avesse sostenuto dei costi, nemmeno risultando la preventiva autorizzazione al riaddebito e la registrazione delle operazioni nelle rispettive contabilità.
7.2 Peraltro, la CTR aveva omesso di prendere in considerazione gli elementi indicati dall’Ufficio a sostegno dell’inesistenza delle operazioni – operatività della C. all’interno dei locali della M.; descrizione vaga delle prestazioni indicate nelle fatture, assenza di personale della C.; emissione in uno stretto lasso di tempo delle fatture emesse nell’anno 1999; assenza di costi specifici, reale natura della nota di credito del 31.8.2000 e della fattura del 30.9.2000, entrambe rivolte a creare un incremento – decremento del risultato economico dell’esercizio in base alle esigenze delle due società; scarsa comprensibità di operazioni di storno effettuate con note di credito emesse in prossimità delle scadenze riguardanti la presentazione del bilancio; carattere sproporzionato dei servizi per prestazioni e rimborso spese in relazione alle fatture risultanti dal 1995 al 1998; inesistenza dal punto di vista economico del soggetto che fatturava le prestazioni.
7.3 La decisione impugnata era pertanto lacunosa ed illogica nella parte in cui aveva escluso la falsità delle operazioni, anche a volere ritenere che incombesse sull’Ufficio la prova di siffatta inesistenza.
8. La società C.P. srl, nel controricorso, ha dedotto l’inammissibilità ed infondatezza delle censure, priva di quesito di diritto e comunque infondate nel merito, avendo la CTR correttamente motivato in ordine agli elementi che escludevano il carattere inesistente delle operazioni, gravando peraltro sull’amministrazione l’onere di fornire la prova circa la non esistenza di quanto indicato in fattura. Peraltro, la ricorrente aveva accomunato, all’interno della censura, elementi relativi ad annualità diverse da quella a cui si riferiva l’accertamento.
9. Le due censure sopra sintetizzate, ritualmente esposte non risultando vigente l’art. 366 bis c.p.c. in relazione alla data di deposito della sentenza di appello – 2.2.2006, appaiono fondate per le considerazioni di seguito esposte.
9.1 Ed invero, benché più volte questa Corte ha avuto modo di affrontare il tema dell’onere della prova che governa le ipotesi di fatture per operazioni inesistenti, sembra utile ripercorrere in via di sintesi gli approdi ai quali è ormai giunta sul tema.
9.2 Orbene, in caso di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, si deve ritenere che non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva. La tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti nella dichiarazione fiscale, non onera, infatti, il predetto anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale. Incombe, invece, sull’amministrazione che adduce la falsità del documento e, quindi, l’inesistenza di un maggiore imponibile l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere.
9.3 Tale prova è raggiunta dall’Amministrazione allorché questa fornisca oggettivi elementi per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione (prova che può essere data anche attraverso “i verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti” in possesso dell’Ufficio) – Cass. n. 9108/2012.
9.4 E’, infatti, l’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (come lo speculare art. 39 dpr n. 600/73 in tema di imposte sui redditi) ad assumere rilevanza centrale ai fini che qui interessano, sancendo che “…le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze, dati e notIzie a norma dell’art. 53 o anche sulla base di presunzioni semplici”, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe” – Cass. n. 9784/2010.
9.5 Proprio in relazione al contenuto precettivo della disposizione appena evocata, le presunzioni semplici costituiscono, ai rilevati fini, una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. A tali affermazioni si è poi fatto seguire l’ulteriore non marginale principio che se il fatto o i fatti indizianti allegati dall’Amministrazione finanziaria, unitariamente considerati, rivestono i caratteri della presunzione semplice, nessun ulteriore dato probatorio occorrerà ai fini del raggiungimento della prova, non essendo richiesta l’acquisizione “a conforto” di ulteriori “elementi presuntivi o probatori”. Ciò perché le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza ed infine scegliere tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Si è così ricordato che in tema di presunzioni vale il principio secondo cui non occorre che la relazione tra fatto noto e fatto ignoto presenti carattere di certezza, ma basta che abbia contenuto di ragionevole certezza, essendo sufficiente che all’accertamento del fatto ignoto si pervenga dalla considerazione di un fatto noto attraverso un processo logico deduttivo basato sull’id quod plerumque accidit – Cass. n. 3846/1980; Cass. n. 3402/1983; Cass. n. 497/1981, Cass. 3721/1985.
9.6 Pertanto, una volta che l’amministrazione abbia fornito oggettivi elementi di prova, anche indiziari, in ordine all’inesistenza dell’operazione o dell’inattendibilità della scrittura addotta dal contribuente a base della richiesta di detrazione, sarà il contribuente a dovere offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima – v. Cass. n. 12802/2011;Cass. n. 5292/2011.
9.7 Ne consegue che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ.-cfr., ancora, Cass. 24 luglio 2013 n.17959.
9.8 Orbene, fermi i superiori principi, rileva il Collegio che la sentenza impugnata non ha svolto in modo adeguato il compito di giustificare la ritenuta illegittimità delle pretese impositive attivate dall’Ufficio, corredando l’apparato motivazionale di elementi privi del carattere di logicità, in modo da impedire a questa Corte di individuare la ratio decidendi posta a base della decisione.
9.9 Ed infatti, quando la CTR ha affermato che l’esistenza di un rapporto di gruppo fra prestatore e committente avrebbe dovuto indurre la Guardia di finanza ad una verifica particolareggiata in ordine alla gestione del gruppo, senza limitarsi all’esame dei rapporti intercorsi fra le due società, il giudice di appello ha esposto un argomento per nulla logico e coerente rispetto ai temi di indagine posti al suo vaglio che, secondo l’impianto esposto dall’Agenzia delle Entrate nell’atto di appello, si fondavano anche su un corposo quadro indiziario, dal quale l’Ufficio aveva tratto il convincimento che le operazioni erano state in realtà fittiziamente fatturate.
9.10 Ora, l’esistenza fattuale e giuridica di un gruppo di imprese al quale partecipavano i soggetti coinvolti nelle verifiche fiscali non consentiva di inferire, in modo non assiomatico, la “realità delle operazioni”, dovendo il giudicante farsi carico in ogni caso di verificare se le operazioni documentate erano state realmente state svolte. Ed infatti, la possibilità, sicuramente data, che fra società del medesimo gruppo si instaurino rapporti negoziali non costituisce, tuttavia, elemento capace di confermare, da solo, l’esistenza di un’operazione, le quante volte vengano prospettati elementi concreti che depongono per l’inesistenza delle stesse e tali elementi non vengano, all’interno dei poteri valutativi riservati al giudice, esaminati né sottoposti ad alcuna verifica. E’ noto, del resto, che alla stregua della giurisprudenza di questa Corte il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste qualora il giudice di merito non abbia tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte degli elementi dimostrativi addotti in giudizio ed indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione, e si sia limitato ad assumere l’insussistenza della prova, senza compiere una analitica considerazione delle risultanze processuali-cfr. Cass. n. 3370/2012.
9.11 Per tale ragione l’omesso esame da parte della CTR, sia in chiave unitaria che in base ad una valutazione complessiva, di quegli elementi, puntualmente rappresentati dall’Agenzia nel motivo di ricorso – assenza di dipendenti da parte della società fornitrice e sproporzione fra la struttura organizzativa della prestatrice e l’ammontare dei servizi resi alla committente, svolgimento dell’attività della C. presso i locali della M. carattere generico delle fatture contestate emesse in un ridotto lasso di tempo, assenza di costi specifici da parte della C. propedeutici ai servizi offerti alla M., storno di prestazioni e rimborsi spese effettuati in prossimità delle scadenze riguardanti la presentazione del bilancio e delle dichiarazioni dei redditi, ecc., ha per ciò solo inficiato la correttezza argomentativa della decisione, minando la congruità della stessa laddove ha, per l’appunto, unicamente valorizzato l’elemento del gruppo per giungere ad una totale ed illogica svalutazione degli elementi esposti dall’Ufficio.
9.12 Ed anche l’ulteriore argomento esposto dalla CTR a sostegno della decisione e cioè che non era emersa alcuna irregolarità formale e sostanziale in ordine alla documentazione contabile, non poteva ex se giustificare l’irrilevanza del compendio indiziario esposto dall’Ufficio, se solo si consideri che il carattere inesistente di un’operazione ai fini dell’indebita detrazione di costi presuppone quasi ineludibilmente un’apparenza di regolarità che, tanto più sarà realizzata dal contribuente, quanto più garantirà a chi ha ordito la frode fiscale il raggiungimento dell’obiettivo illecito perseguito.
9.13 In questa prospettiva, l’avere indicato che le operazioni trovavano giustificazione nell’attività di procacciatore di clienti svolta dalla capo-gruppo nei confronti della M. e che tanto giustificava la corresponsione di provvigioni e consulenze per l’appunto riportate nelle fatture in contestazione finisce con il risultare solo un’apparente motivazione, la stessa ponendosi in stridente contrasto con quel compendio di elementi, puntualmente richiamati dall’Ufficio ma non adeguatamente ponderati dalla CTR, alla cui stregua era davvero oneroso ipotizzare che C., se priva di dipendenti, operante all’interno dei locali della M., sulla base di fatture genericamente compilate, avesse realmente potuto offrire senza personale un prolungato servizio di spese di regia senza che ad esso corrispondesse, peraltro, alcun costo da parte della fornitrice medesima.
9.14 In definitiva, la netta ed apodittica svalutazione del compendio indiziario fornito dall’Ufficio senza una sua analitica considerazione, a fronte di una fin troppo ampia considerazione di elementi in favore del contribuente, alcuni dei quali come si è visto privi di reale e giuridico peso, ha dato luogo ad una motivazione gravemente carente, non potendosi in alcun modo condividere gli assunti difensivi di segno opposto esposti dalla controricorrente.
10. La sentenza impugnata, pertanto, in accoglimento dei motivi proposti dall’Agenzia,va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR del Lazio per nuovo esame da compiersi alla stregua delle considerazioni appena esposte e tenendo in considerazione gli elementi di prova forniti dall’Agenzia attraverso una valutazione individuale e complessiva degli indizi.Il giudice del rinvio pure provvederà alla liquidazione delle spese dei giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Lazio, la quale la quale pure provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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