CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2013, n. 27908
Tributi – IVA – Detrazione dell’imposta – Ristrutturazione di un immobile finalizzata ad alloggi dipendenti – Ristrutturazione non strumentale all’attività aziendale – Non sussiste
Ritenuto in fatto
1. A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Como, in data 24.3.99, l’Amministrazione finanziaria emetteva avviso di rettifica, ai fini IVA per l’anno 1996, nei confronti della società D. s.r.l., con il quale rilevava l’indebita detrazione dell’IVA esposta in fatture relative a prestazioni per la ristrutturazione di un immobile, di proprietà di detta società e non strumentale all’attività dalla medesima svolta (gestione di un supermercato), intesa ad ottenere la realizzazione di dodici miniappartamenti, da destinare ad alloggi dei propri dipendenti.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Varese, che accoglieva il ricorso. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate dinanzi alla CTR della Lombardia veniva, altresì, rigettato con sentenza n. 200/6/05, depositata il 22.12.05, con la quale il giudice di seconde cure riteneva che i costi di ristrutturazione della palazzina di proprietà della società contribuente, per ricavarne alloggi da destinare ai dipendenti, fossero inerenti e funzionali allo svolgimento dell’ attività imprenditoriale svolta dalla D. s.r.l.
3. Per la cassazione della sentenza n. 200/6/05 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un unico motivo, al quale la contribuente ha replicato con contro- ricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. In via pregiudiziale, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di giudicato proposta dalla D. s.r.l., con riferimento al fatto che, per lo stesso anno 1996 oggetto dell’atto impositivo impugnato nel presente giudizio, si sarebbe formato il giudicato sulla sentenza n. 85/12/01, emessa dalla CTP di Varese relativamente all’avviso di accertamento con il quale era stato rettificato – in relazione alla medesima situazione di fatto – il reddito della società ai fini delle imposte dirette.
1.1. Deve, invero, considerarsi, al riguardo, che – secondo l’insegnamento costante di questa Corte – perché una lite possa ritenersi coperta dal giudicato con riferimento ad una precedente sentenza resa tra le stesse parti, è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa lo stesso rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo. In mancanza di tale essenziale presupposto, pertanto, non rileva che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima (conf. Cass. 2594/10).
Ciò posto, è del tutto evidente, ad avviso della Corte, che l’identità di rapporto debba essere esclusa nel caso in cui – come nella fattispecie in esame – le due controversie riguardino imposte strutturalmente e oggettivamente diverse, come l’IVA e le imposte dirette. Ne discende che il giudicato formatosi in materia di tributi diretti non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di IVA, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto (cfr., ex plurimis, Cass. 15396/08, 25200/09).
1.2. Per tali ragioni, dunque, l’eccezione di giudicato in esame non può che essere rigettata.
2. Passando, quindi, all’esame del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, va rilevato che, con l’unico motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. 633/72 e 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere che i costi di ristrutturazione di una palazzina, adiacente il supermercato gestito dalla D. s.r.l., fossero inerenti all’attività svolta dalla medesima, per essere stati due degli appartamenti, realizzati a seguito di detta ristrutturazione, locati a dipendenti della società.
2.2. Il giudice di appello sarebbe, invero, pervenuto – a parere dell’Amministrazione finanziaria – a siffatta conclusione senza che la contribuente avesse addotto, come era suo onere, elementi di prova idonei ad evidenziare, con sufficiente evidenza, le ragioni di pertinenza di tale ristrutturazione, e della conseguente locazione delle unità immobiliari ricavate dall’immobile ristrutturato, all’attività aziendale svolta dalla D. s.r.l., ed avente ad oggetto il commercio di generi alimentari.
3. La censura è fondata.
3.1. Ed invero, va osservato, al riguardo, che l’art. 19, co. 1, del d.P.R. n. 633/72, consentendo al contribuente, per le operazioni passive, cioè per i beni o servi portati o acquistati, di portare in detrazione l’addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore o prestatore, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso. La disposizione in parola, inoltre, non introduce deroga alcuna ai comuni criteri in tema di onere della prova, lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato, senza che la sussistenza dei predetti requisiti possa presumersi in ragione della sola qualità di società commerciale dell’acquirente (cfr., tra le tante, Cass. 16730/07, 2362/12, 16853/13).
3.2. Con particolare riferimento alle spese di ristrutturazione di un immobile va, dipoi, osservato che, poiché in base alla disciplina dettata dagli artt. 1, 4, 17 e 19 del d.P.R. n. 633/72, la qualità di imprenditore societario è condizione unicamente per rendere assoggettabili ad IVA le operazioni attive, la compatibilità con l’oggetto sociale di spese relative alla compravendita e/o alla ristrutturazione di immobili costituisce – per contro – rispetto alla detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, elemento puramente indiziario della loro inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa. Siffatto elemento deve, pertanto, essere valutato dal giudice di merito unitamente alle altre circostanze, idonee a formarne il convincimento circa l’effettiva inerenza delle medesime operazioni passive all’espletamento della progettata attività imprenditoriale, all’interno di un criterio di ripartizione che vede onerata della prova la società contribuente (cfr. Cass. 3706/10, 4157/13).
3.3. Tanto premesso, non può certamente dirsi, con riferimento al caso concreto, che il giudice di appello abbia fatto corretta applicazione dei suesposti principi, affermati dalla costante giurisprudenza di questa Corte.
3.3.1. Gli elementi addotti dalla D. s.r.l., a supporto del dato meramente indiziario costituito dalla ristrutturazione di un immobile non strumentale all’attività aziendale, erano, invero, soltanto due:
1) l’adiacenza di detto immobile al supermercato dalla società;
2) il fatto che due dei dodici appartamenti realizzati, a seguito della ristrutturazione della palazzina in questione, fossero stati locati a dipendenti della D. s.r.l.
3.3.2. Orbene, è di tutta evidenza la totale insignificanza di detti elementi in relazione alla prova – il cui onere, come detto, incombeva sul contribuente dell’inerenza della ristrutturazione in parola all’ attività di impresa, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione di imposta sulle prestazioni ad essa relative. E’ chiaro, infatti, che la mera adiacenza dell’immobile, non adibito all’attività commerciale, al supermercato gestito dalla D. s.r.l., e la circostanza dell’avvenuta locazione di due unità in esso realizzate a dipendenti della società, sono del tutto insufficienti ad integrare la corretta applicazione delle disposizioni succitate.
Si tratta – per vero – di circostanze idonee, semmai, ad evidenziare l’intento della contribuente di utilizzare detto immobile, casualmente adiacente alla sede dell’ attività di impresa, men che all’attività imprenditoriale di vendita di beni alimentari, piuttosto al conseguimento di rendite derivanti dalla locazione degli appartamenti in esso realizzati. E, del resto, anche la circostanza che due di dette unità fossero state locate a dipendenti – in difetto di elementi di prova circa l’applicazione agli stessi di un canone agevolato, ovvero in ordine alla carenza di alloggi che rendesse impossibile reperire il reclutamento di personale al fine dell’esercizio dell’attività di impresa – non può che apparire del tutto casuale.
3.3.3. Ne discende che, nel caso di specie, il giudice di seconde cure non ha fatto corretta applicazione dei criteri enunciati dagli artt. 19 d.P.R. 633/72 e 2697, 2727- 2729 c.c., ai fini del riconoscimento del diritto della contribuente alla detrazione dell’IVA sulle fatture relative alle spese inerenti alla ristrutturazione dell’immobile di proprietà della D. s.r.l. Di guisa che il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate non può che essere accolto.
4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo della contribuente .
5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della resistente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudici”di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente; condanna la resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
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