Corte di Cassazione sentenza n. 28053 del 9 febbraio 2011
PROCESSO PENALE – IMPOSTE SUI REDDITI – IVA – EVASIONE FISCALE – ACCERTAMENTO INDUTTIVO – USO DEL PVC – SOGLIE DI PUNIBILITA’ – SUSSISTE
massima
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Il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale. Tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dal codice di rito altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile
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Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Catania, con sentenza depositata l’11 maggio 2010 (ud. 6 maggio 2010), in riforma della sentenza del Tribunale di Siracusa – sez. distaccata di Lentini, ha concesso all’imputato L.C., per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, il beneficio della non menzione, ferma la condanna alla pena di anni due di reclusione, alle pene accessorie e al pagamento delle spese processuali, con la sospensione condizionale della pena. Secondo il giudice di secondo grado, il C., quale legale rappresentante del C.N.C. (in apparenza un ente no-profit ma in realtà una società di fatto), avente sede in Lentini, aveva omesso di presentare le dichiarazioni ai fini dell’IVA e dell’imposta sui redditi per l’anno 2002, lucrando – da prestazioni di intrattenimento verso clienti occasionali, registrati come soci – ricavi di Euro 1.348.620 e un’evasione d’imposta sui redditi di Euro 614.859,32 e di IVA per Euro 276.924,00.
Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, forte di due motivi di doglianza.
2. Il difensore, anzitutto, ha censurato la decisione sotto il profilo della violazione dell’art. 606, lett. c), in relazione agli artt. 191 e 234 c.p.p. (e art. 220 disp. att. c.p.p.) chiedendo l’annullamento della sentenza di merito per l’inutilizzabilità del processo verbale di constatazione redatto dalla GdF.
Secondo il ricorrente, i giudici di merito (di primo grado e di appello) avrebbero errato utilizzando, nel processo penale, un mezzo di prova – decisivo ai fini del giudizio – formatosi al di fuori del contraddittorio delle parti.
Infatti, il verbale sarebbe stato redatto in un momento successivo all’insorgere degli indizi di reato, atteso che l’indagine sarebbe iniziata nel 2003 e il PVC redatto il 25 maggio 2005, senza che il documento possa, altresì, definirsi come atto irripetibile, contenente ampie valutazioni senza la cristallizzazione di alcuna situazione di fatto.
Inoltre, secondo il ricorrente, l’accertamento della c.d. soglia di punibilità sarebbe stato demandato all’acritica accettazione delle risultanze del PVC.
Di qui la censura di violazione degli artt. 191 e 234 c.p.p., (e art. 220 disp. att. c.p.p.).
3. Il ricorso censura, altresì, la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per la manifesta contraddittorietà della sentenza rispetto agli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, con specifico riferimento ai c.d. fogli prima nota, rinvenuti all’interno del locale oggetto di indagine.
In particolare, secondo il difensore, il giudice di merito avrebbe errato nella quantificazione complessiva dell’imposta evasa sia in ragione del calcolo delle somme corrisposte con le c.d. quote associative sia con riferimento al calcolo delle c.d. serate organizzate. Le une e le altre sarebbero state enfatizzate sia perchè le prime erano corrisposte solo dai frequentatori al loro primo accesso (una volta associati si sarebbe acceduto gratuitamente al locale) sia perchè le seconde sarebbero state ipotizzate ben oltre l’accertamento di quelle risultanti dalle c.d. prime note e dalle riunioni del c.d. consiglio direttivo dei sodalizio. Tali censure, già avanzate con l’appello, sarebbero state disattese nella sentenza impugnata facendo riferimento ad atti allegati al PVC (questionari e fogli prima nota) di incerta provenienza, di incerta comprensione e di valore probatorio alquanto dubbio (per essere, i primi, resi in condizione di anonimato e, i secondi, con l’uso di sigle difficilmente decifrabili relative al sesso ed allo status dei soci e frequentanti).
Considerato in diritto – 1. Osserva la Corte che il ricorso è complessivamente infondato.
2. Con riferimento al primo motivo di doglianza, il ricorrente intende sostanzialmente aderire all’indirizzo giurisprudenziale consolidato di questa Corte (da ultimo espresso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6881 del 18/11/2008, Ceragioli) secondo cui “il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale; tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., giacchè altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile”. Inutilizzabilità ancora di recente ribadita da questa Sezione (nella sentenza n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo) a termini della quale “è causa di inutilizzabilità dei risultati probatori la violazione delle disposizioni del codice di procedura penale la cui osservanza, nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, è prevista per assicurare le fonti di prova in presenza di indizi di reato”.
2.1. Tuttavia, tale questione è già stata posta davanti al (e respinta dal) giudice di appello, il quale ha osservato che, da un lato, la sentenza (di prime cure) è basata su una pluralità di fonti di prova (risultanze della perquisizione eseguita il 30/05/2003, accertamento sullo stato delle cose – con verbale mai contestato – deposizioni testimoniali, altra documentazione acquisita) e l’imputato non avrebbe neppure dedotto la rilevanza della censura sull’economia della decisione, e da un altro, le doglianze sarebbero state generiche e prive della specificazione delle parti del verbale inutilizzabili perchè redatte dopo l’insorgere degli indizi di reato.
Gli odierni termini del ricorso ricalcano, sostanzialmente le predette censure, già respinte dal giudice di appello e, nonostante le prescrizioni impartite in sede di gravame, risultano oggi formulate pressochè negli stessi termini di allora.
Si assume la centralità probatoria di quel PVC, nel contesto probatorio e nell’economia della motivazione, senza spiegarne il perchè; si censura la sua redazione dopo l’emersione degli indizi a carico dell’imputato senza indicare quali siano stati, e quando e come essi sarebbero insorti e, quel che più vale, senza neppure distinguere nel PVC – in relazione a tale emergenza indiziaria – le parti relative ai fatti accertati dopo l’insorgenza degli indizi (specificati) e quelli idonei a cristallizzare dati non altrimenti accettabili.
Le censure, del tutto identiche a quelle svolte in appello, appaiono a fortiori del tutto ingiustificate se si esamina la complessità della motivazione svolta dallo stesso giudice di secondo grado, che si nutre di un vero e proprio ventaglio probatorio.
2.2. Lo stesso dicasi dell’ultimo profilo di doglianza del primo motivo, quello relativo all’accertamento della c.d. soglia di punibilità, che si assume rimessa all’acritica quantificazione fatta dalla GdF nel suo PVC.
Infatti, il giudice di appello (a p. 3) della sentenza ha già demolito tale censura, sia richiamando la pluralità delle prove analizzate dal giudice di primo grado sia la regola di giudizio (da ultimo espressa da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5786 del 18/12/2007, D’Amico) secondo cui “ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nonchè ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute”.
L’assenza di diverse deduzioni, rispetto al ragionamento del giudice di appello, rende l’intera prima censura palesemente inammissibile.
3. Con riguardo al secondo motivo di doglianza, il ricorso si palesa ammissibile, in quanto esso, pur riproponendo le censure già svolte in appello, ne critica gli approdi e, quindi, offre all’esame di questa Corte la necessaria materia oggetto sostanziale della impugnazione per cassazione.
Nel merito, tuttavia, anche queste censure non possono trovare accoglimento, essendo infondate.
3.1. Infatti, con riguardo alla loro reiezione da parte del secondo giudice, si deve osservare che le stesse non colpiscono tutta la ratio decidendi adottata in quanto il secondo giudice ha ribadito che il fondamento dell’accertamento del reato non si rinviene solo e soltanto nel PVC, ma anche in altri elementi, quali (p. 6 sent.) le pubblicità su carta (quotidiano La Sicilia), su internet (attraverso il sito dell’associazione, ove erano pubblicizzate le quote di ammissione, o associative, e quelle di ingresso), le deposizioni testimoniali raccolte (pp. 6 e 7 sent.), sui documenti allegati e, pertanto, su un complesso di elementi convergenti verso l’accertamento del fatto (p. 8 sent.).
3.2. Inoltre, con riferimento al calcolo dell’imponibile evaso (e, quindi, ai fini dell’accertamento della c.d. soglia di punibilità del fatto) il giudice di appello, giustamente, richiama la giurisprudenza di questa Sezione, a cui si deve dare continuità in questa sede riprendendo (Cass. Sez. Sez. 3, Sentenza cass. n. 8036/1991, Fanti) l’enunciato secondo cui “anche nell’accertamento dei reati tributari trova applicazione il principio contenuto nel D.P.R. 29 marzo 1973, n. 600, art. 39, e secondo cui il ricorso a forme di accertamento induttivo dell’imponibile di una Impresa è consentito solo quando non sia stata tenuta o sia stata tenuta irregolarmente la contabilità imposta dalla legge”, contabilità del tutto sconosciuta, nel caso di specie.
Infatti, il delitto contestato ed accertato è reato che comprende e si nutre, nell’ambito della sua fattispecie astratta, di alcuni elementi appartenenti al diritto ed alla legislazione tributaria, recepiti senza che gli stessi possano mutare significato e contenuto. Ciò che accade anche per l’accertamento induttivo del reddito evaso, il quale – per ovvie e intuibili ragioni – non può essere ricavato in via meramente aritmetica (l’evasore d’imposta sovente non lascia agli agenti accertatori alcuna documentazione, neppure informale), ma – come insegna la stessa giurisprudenza tributaria – attraverso indici presuntivi che consentano di risalire, attraverso un ragionamento induttivo, dal particolare accertato al complessivo imponibile desunto da detti elementi di presunzione. Nella specie, il difensore, per indebolire il ragionamento svolto sostiene un dato che è stato già confutato nel corso del giudizio di merito e cioè che i soci pagassero una sola volta l’ingresso, ossia al momento dell’associazione, ciò che è risultato smentito dagli accertamenti compiuti e non solo in base al PVC (v. il prezziario pubblicizzato via internet). Nè il fatto che i questionari siano stati raccolti in via anonima (per ragioni di privacy, trattando anche di attività concernenti la sfera sessuale) indebolisce il loro valore indiziario, atteso che proprio la mancata di discovery consente al privato, altrimenti portato a negare il proprio coinvolgimento per ragioni di immagine, di chiarire tutti i dati utili all’accertamento tributario.
Infine, il ricorrente tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi (ispirati a minor rigore) da quelli adottati dai giudici di appello, che con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento, in ordine alla responsabilità dell’imputato.
3. Il ricorso dell’imputato, in conclusione, va respinto e lo stesso va condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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