CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 dicembre 2013, n. 28259
Tributi – Imposta di registro – Conferimento del ramo d’azienda – Recupero d’imposta – Sussiste
Svolgimento del processo
La commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza in data 11 dicembre 2007, confermava la decisione della commissione tributaria provinciale di Milano che aveva respinto un ricorso di B.I. s.p.a. e di B.R. s.p.a. contro due avvisi di liquidazione di imposte di registro, ipotecarie e catastali, e conseguenti sanzioni, in relazione a un rogito notarile di aumento di capitale sociale, sottoscritto da distinte società del gruppo B. (tra cui l’I.B.F.E. s.p.a., incorporata in B.I. s.p.a.) mediante conferimenti di rami immobiliari d’azienda.
L’operazione era avvenuta nell’ambito del riassetto societario del gruppo B., con accentramento in un unico soggetto (B. immobili s.p.a., poi divenuta B.R. s.p.a.) delle proprietà immobiliari delle società del gruppo.
In particolare, la B. immobili s.p.a. aveva deliberato l’aumento di capitale mediante conferimenti di rami d’azienda, e le società conferenti avevano ceduto, con atto di poco successivo, alla capogruppo popolare di Lodi, per un corrispettivo di pari valore, le partecipazioni ricevute a fronte dei conferimenti. In ultimo la capogruppo aveva ceduto a una società estera, non appartenente al gruppo, una quota (49 %) del capitale sociale della conferitaria.
La commissione tributaria regionale riteneva che il perfezionamento dei primi due atti a distanza di pochi mesi, con il coinvolgimento praticamente simultaneo di tutte le società del gruppo, fosse da considerare avvinto dall’unitario intento di attuare una cessione d’azienda; sicché, atteso il collegamento tra le operazioni, riteneva giustificata la tassazione nei termini indicati negli avvisi impugnati, ai sensi degli artt. 20 e 21 del d.p.r. n. 131 del 1986, conformemente alla pretesa fiscale complessiva di euro 626.423,15.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso, sorretto da quattro motivi, il popolare società cooperativa (in qualità di società derivante dalla fusione di Banca popolare di Lodi, incorporante la B.I., con Banca popolare di Verona e Novara) e la B.R. s.p.a.
L’agenzia delle entrate ha replicato con controricorso.
Le ricorrenti hanno depositato una memoria.
Motivi della decisione
I. – I motivi ai quali è affidato il ricorso per cassazione sono i seguenti.
Col primo mezzo si deduce l’insufficiente motivazione della sentenza (art. 360, n. 5, c.p.c.) sul fatto controverso inerente alla affermata esistenza di un intento unitario e originario delle società del gruppo B. di liberarsi del ramo di azienda immobiliare incassandone immediatamente l’equivalente pari al valore di mercato.
Col secondo mezzo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., le ricorrenti sostengono – a ciò correlando l’errore giuridico dell’impugnata sentenza – che l’art. 20 cit. non consentirebbe di valorizzare, nell’interpretazione dell’atto presentato per la registrazione, altro che l’intrinseca natura e gli effetti dell’atto stesso, senza possibilità di ricorrere a elementi estrinseci, e quindi senza possibilità di apprezzare il collegamento tra questo e altri eventuali atti posti in essere dal contribuente.
Col terzo motivo si deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 21, 2° co., del d.p.r. n. 131 del
1986, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. Le ricorrenti lamentano che la commissione tributaria regionale non abbia considerato che, ai sensi della disposizione citata, è consentita l’applicazione del regime fiscale più oneroso solo con riferimento ai casi in cui un unico atto contenga più disposizioni tra loro necessariamente connesse, e non anche nel caso di più atti, solo funzionalmente collegati, recanti, ciascuno, un autonomo regolamento di interessi.
Col quarto motivo, infine, di nuovo si deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 20 e 21, 2° co., del d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., sul rilievo che, in ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione tributaria regionale, un’operazione di conferimento di ramo d’azienda, seguita, come nella specie, dalla cessione della partecipazione – ricevuta a fronte del conferimento – a un soggetto diverso dalla conferitaria, non potrebbe considerarsi produttiva del medesimo effetto giuridico finale di una cessione di ramo d’azienda.
II. – I motivi si palesano tra loro connessi, così da consigliare una trattazione unitaria.
A questa è necessario premettere che, diversamente da quanto dalle ricorrenti sostenuto nel secondo (e anche nel terzo) motivo, in tema d’ interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20 – per cui rilevano l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti stessi, al di là del titolo e della forma apparente -, da un lato comporta che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti; e dall’altro consente al giudice di merito di accertare l’intenzione effettiva dei contraenti (di effettuare, per es., trasferimenti aziendali) come risultato finale della operazione nel suo complesso (negoziale e, nella specie, societaria), attraverso l’esame congiunto dei singoli atti, stipulati contestualmente o non contestualmente. Questo criterio e questi effetti prescindono dalla sussistenza o insussistenza di un intento elusivo dei contraenti (v. ex multis Cass. n. 9162-10; n. 11769-08; n. 13580-07; n. 273-07; n. 10660-03; n. 2713-02; n. 14900 – 01).
Pertanto è errato sostenere, come invece ancora fatto dalla difesa delle ricorrenti nell’udienza di discussione, che l’elemento dirimente della controversia fosse costituito dalla possibilità, o meno, di apprezzare un simile intento. Ed è errato sostenere che l’indagine rilevante ai fini dell’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 dovesse essere limitata da una verifica di tipo atomistico, incentrata sul contenuto del singolo atto presentato alla registrazione, senza possibilità di far ricorso, nell’ indagine sulla reale intenzione delle parti, a elementi estrinseci allo stesso o a negoziazioni ulteriori e funzionalmente collegate.
La contraria tesi delle ricorrenti, nella giurisprudenza della corte sostenuta da un orientamento del tutto minoritario (di cui, nel periodo più recente, può ritenersi espressione solo Cass. n. 3571-10), è stata invero in prevalenza disattesa in virtù della condivisibile considerazione che l’interpretazione di un atto negoziale, ai fini fiscali, deve avvenire con criteri diversi da quelli utilizzabili ai comuni fini civilistici, dovendosi comunque attribuire preminente rilievo agli effetti della negoziazione in vista della necessità di prevenire possibili abusi (v. da ultimo, sebbene con specifico riferimento all’analisi intesa a stabilire la soggezione di un negozio a imposta di registro piuttosto che a Iva, Cass. n. 1405-13; n. 23485-12; e v. anche, per ulteriori riferimenti, la recentissima Cass. n. 14150-13, cui adde Cass. n. 6835-13).
A una a tal punto dilatata necessità di garantire la coerenza del sistema impositivo sul piano effettuale (cui c da ascrivere la funzione antielusiva della norma nel suo esatto significato) consegue che il risultato finale di un’operazione complessa non può essere disgiunto dal contesto di una disamina globale, e presuppone come doverosa la considerazione degli elementi ritraibili da tutti gli atti che in essa si inseriscono.
III. – Ora, la commissione tributaria regionale della Lombardia ha fatto corretta applicazione di un simile criterio esegetico. E ha in tal guisa accertato che l’effetto giuridico finale delle operazioni poste in essere all’interno del gruppo Banco popolare [l’aumento di capitale mediante conferimento di rami d’azienda in B. immobili s.p.a. e la successiva cessione di tutte le partecipazioni in detta società – divenuta, contestualmente all’aumento, B.R. – alla capogruppo Banca popolare di Lodi] era stato quello di attuare un trasferimento di rami d’azienda.
Al riguardo ha offerto congrua motivazione, valorizzando la concatenazione emergente dal dato temporale e dalla sostanziale contestualità di una medesima operazione da parte di tutte le società del gruppo, nel quadro, dunque, di una congiunta valutazione degli elementi caratterizzanti la scelta operata.
Il ripetuto accertamento di fatto resta intangibile in questa sede, non essendo inciso dalle critiche sollevate dalle ricorrenti nel primo motivo, perché questo infine omette di specificare su quale fatto controverso, decisivo, l’impugnata sentenza avrebbe insufficientemente motivato.
Certo non può ritenersi tale quello che compare nella sintesi finale all’uopo redatta in calce all’illustrazione del mezzo, posto che la “sussistenza di un intento unitario e originario delle società di liberarsi del ramo di azienda delle attività immobiliari, incassandone immediatamente il valore di mercato” (così la sintesi) non è il fatto, ma la questione sottostante, vista peraltro nell’ottica unilaterale di un’interpretazione della parte. Donde, limitandosi a rimarcare tale elemento, il primo motivo nella sostanza si risolve in un sindacato di merito, inteso a sollecitare alla corte la revisione del giudizio di fatto.
IV. – Il terzo e il quarto motivo sono a loro volta infondati.
Non si trattava di applicare, nella specie, il regime fiscale più oneroso (e in questi termini va corretto – ai sensi dell’art. 384, 4° co., c.p.c. – l’inciso che in proposito compare nell’impugnata sentenza), ma di dar luogo alla forma impositiva coerente con l’effetto finale dell’operazione eseguita (il risultato giuridico reale), una volta appurato che tale effetto era quello di assicurare una cessione di ramo immobiliare d’azienda alla capogruppo.
Né in questa prospettiva giova insistere (in base alla tesi illustrata nel quarto motivo) sulla circostanza di essere state poi le partecipazioni cedute, dalla capogruppo, a una società estranea.
Difatti la commissione tributaria regionale non ha omesso di considerare tale fatto, ma, nel contesto di una valutazione di pieno merito, l’ha semplicemente reputato ininfluente.
La riferita valutazione non è d’altronde censurata sul piano della congruenza motivazionale, per cui si sottrae – essa pure – alla potestà di sindacato (solo indiretto) della corte.
E vai bene aggiungere che la stessa non appare illogica, posto che il collegamento affermato come rilevante, in base alla ricostruzione operata dal giudice di merito, atteneva agli atti posti in essere tra le società del gruppo, intesi ad attuare la cessione dei rami d’azienda alla società che ne era a capo; sicché a questi atti – e a questi soltanto – doveva conseguire il pagamento d’imposta correttamente preteso, senza incidenza di ulteriori successive negoziazioni sul capitale della cessionaria.
In ogni caso, e conclusivamente, non si apprezza alcuna violazione, né tanto meno una falsa applicazione, di norme di diritto a petto della surriferita conclusione del giudice d’appello, volta a considerare nei termini detti il collegamento rilevante ai fini dell’imposizione indiretta, giacché – secondo la ricostruzione al riguardo operata da quel giudice, insindacabile in questa sede – l’effetto giuridico reale riguardava l’operazione a monte rispetto alla cessione della partecipazione rimarcata nel quarto motivo.
V. – Il ricorso è rigettato.
Spese alla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
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