Corte di Cassazione sentenza n. 28344 del 13 luglio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – CADUTA DAL LUCERNAIO – OMESSA FORMAZIONE – IMBRACATURA NON AGGANCIATA ALLA FUNE DI SICUREZZA
massima
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Vi è la responsabilità di un datore di lavoro per infortunio mortale di un lavoratore: l’imputazione consiste nell’aver consentito che quest’ultimo, al primo giorno di lavoro, operasse sopra un tetto senza essere stato formato in ordine ai rischi connessi alle modalità di lavoro e senza l’utilizzo di presidi anticaduta. Accadeva così che l’operaio cadeva da una altezza di circa 11 metri a causa della rottura di un lucernaio, decedendo a causa delle gravi lesioni patite.
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Fatto
1. Con sentenza del Tribunale di Perugia, sez. dist. di Assisi, del 19/2/2008, (Omissis) veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione (pena condonata) per il delitto di cui all’articolo 589 c.p., omicidio colposo in danno dell’operaio (Omissis), aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione infortuni (acc. (Omissis)). L’imputato veniva inoltre condannato al risarcimento del danno in favore delle parti civili ed al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva.
All’imputato era stato addebitato che, in qualità di datore di lavoro (titolare della ditta (Omissis)) del (Omissis), aveva consentito che questi, al primo giorno di lavoro, operasse sopra un tetto senza essere stato formato in ordine ai rischi connessi alle modalità di lavoro, senza l’utilizzo di presidi anticaduta, di modo tale che il predetto operaio cadeva da una altezza di circa 11 metri a causa della rottura di un lucernaio, decedendo a causa delle gravi lesioni patite. Con sentenza del 19/2/2010 la Corte di appello di Perugia confermava la pronuncia di condanna.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando il difetto di motivazione della pronuncia di condanna. Invero la diversa ricostruzione dei fatti offerta dall’ispettore dell’ASL, conduceva a ritenere che l’infortunio non si era verificato durante il camminamento, ma dopo che il (Omissis) aveva già raggiunto la postazione di lavoro. Pertanto perdevano di rilevanza tutte le indicate violazioni relative alla scarsa sicurezza del percorso di camminamento.
Diritto
3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. La Corte di merito, nel confermare la condanna dell’imputato, ha osservato che:
– il (Omissis) era al primo giorno di lavoro;
– per raggiungere nel pomeriggio il posto di lavoro, percorrendo il camminamento sul tetto, era caduto a causa della rottura di un lucernaio di vetroresina su cui si era passato;
– benchè fosse dotato di imbracatura, non era agganciato alla fune di sicurezza e tale condotta era prassi degli operai dell’azienda;
– il datore di lavoro non aveva allestito passerelle o camminamenti adeguati, nè erano state segnalate le zone di pericolo;
– il lavoratore non aveva avuto la dovuta formazione, nè aveva avuto in dotazione il borsello con i cavi retrattili;
– sebbene il tecnico dell’ASL avesse avanzato l’ipotesi che il (Omissis) non fosse caduto per avere calpestato il lucernaio, ma perchè forse si era chinato a prendere qualcosa, così appoggiando la mano sul lucernaio, tale diversa ricostruzione del fatto, peraltro basata solo su congetture, in ogni caso non mutava il giudizio di responsabilità, in quanto l’infortunio pur sempre era riconducibile all’assenza di formazione e adozione delle misure di sicurezza.
3.2. Sul punto va ricordato che, nella sua valutazione sulla determinazione causale, il giudice deve discernere quali siano quelle che costituiscono mere ipotesi, da quelle invece che si prospettano come probabili cause in quanto ancorate ad elementi di fatto emergenti dagli atti del processo. Invero, come già in passato osservato da questa Corte (Cass. 4, 30057/06, imp. Talevi), una mera ipotesi che si appartenga al novero del solo astrattamente possibile non è idonea, di per sè, a togliere rilievo a fatti diversi storicamente accertati che esplicano i loro effetti non più nella sfera dell’astrattamente possibile, ma in quella del concretamente probabile. A fronte di una spiegazione causale del tutto logica, siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e spiegabilmente ritenute, la prospettazione di una spiegazione causale alternativa e diversa, capace di inficiare o caducare quella conclusione, non può essere affidata solo ad una indicazione meramente possibilista, ma deve connotarsi di elementi di concreta probabilità, di specifica possibilità, essendo necessario, cioè, che quell’accadimento alternativo, ancorchè pur sempre prospettabile come possibile, divenga anche, nel caso concreto, hic et nunc, concretamente probabile, alla stregua, appunto, delle acquisizioni processuali.
Nel caso di specie, come visto, la Corte di Appello, sulla base dei dati probatori raccolti ha indicato una logica ricostruzione del decorso causale dell’evento, il quale ha trovato scaturigine in plurime omissioni colpose del datore di lavoro, il quale non ha preteso che sul tetto i lavoratori fossero ancorati alla fune di sicurezza; non ha informato e formato il lavoratore sui rischi specifici dell’attività che andava a svolgere; non ha messo in protezione l’area dei lucernai, che è rimasta aperta ed accessibile, sia durante i camminamenti, sia in caso di occasionali appoggi sulla loro superficie.
Le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso generico ed aspecifico rispetto alla ricostruzione del fatto (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado) ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.
Segue per quanto detto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
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