CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2013, n. 28389
Tributi – IVA – Cooperativa che cede ai soci la tessera per il pedaggio autostradale – Rimborso – Non sussiste
Svolgimento del processo
E. s.a. società cooperativa, con sede in Francia, costituita da società di trasporto (già Coop.T.RO.DE.OP.SERVICES), avendo acquistato in Italia tessere per pedaggi autostradali (ovvero il titolo per la fruizione, dietro corrispettivo, di prestazioni di servizi consistite nell’utilizzo di infrastrutture stradali) successivamente cedute a titolo oneroso ai propri soci, proprietari dei mezzi di trasporto che sono transitati sulle autostrade, ha chiesto il rimborso dell’IVA relativa alle fatture passive emesse nell’anno 2003, ai sensi dell’art. 38 ter Dpr n. 633/1972, quale soggetto comunitario non residente e privo di rappresentante nominato ai sensi dell’art. 17 medesimo decreto presidenziale e di stabile organizzazione in Italia.
L’Ufficio opponeva diniego sostenendo che le prestazioni di servizi erano state acquistate dalla società quale mero “rivenditore od intermediario” dei servizi, essendo state cedute le tessere di pedaggio ai soci della cooperativa, in tal modo essendo stata realizzata una operazione attiva imponibile nel territorio nazionale, difettando quindi le condizioni legali per erogare il rimborso chiesto dalla società cooperativa.
Il diniego di rimborso veniva annullato dalla CTP di Pescara adita dalla società con decisione integralmente riformata con sentenza 5.7.2006 n. 105 dalla Commissione tributaria della regione Abruzzo.
I Giudici territoriali ritenevano ostativa al rimborso la effettuazione di operazioni attive da parte della società nel territorio italiano (rivendita ai soci delle tessere per pedaggi autostradali), atteso che le prestazioni di servizi non erano state utilizzate dall’acquirente nell’esercizio della propria attività d’impresa, ma erano state cedute a titolo oneroso ai singoli soci della cooperativa da individuare quali esclusivi destinatari delle prestazioni di servizio. Peraltro questi ultimi avrebbero potuto richiedere il rimborso IVA soltanto nel caso in cui avessero effettuato l’acquisto da soggetto passivo d’imposta in Italia, e dunque soltanto se la società cooperativa avesse previamente richiesto l’attribuzione di partita IVA ai sensi dell’art. 35 ter Dpr n. 633/72.
La sentenza non notificata è stata impugnata per cassazione dalla società E. s.a. con due motivi ai quali ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
La società ha depositato anche memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Occorre premettere che la VIII Direttiva del Consiglio della Comunità Europea, emanata il 6.12.1979, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle imposte sugli affari, ha stabilito le modalità di rimborso IVA ai soggetti passivi non residenti alfintemo del paese, con l’obbligo per gli Stati membri di adottare, con effetto dall’ 1 gennaio 1981, le disposizioni necessarie per l’adeguamento delle legislazioni nazionali in conformità dei criteri dettati dalla direttiva stessa.
La direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale con l’art. 16 del D.P.R. n. 793/81 mediante l’introduzione nella disciplina dell’IVA dell’art. 38 ter Dpr n. 633/1972, il quale, nel regolamentare il nuovo sistema di rimborsi ai soggetti non residenti, dispone (nel testo modificato dal Dlgs n. 191/2002, applicabile ratione temporis) che “i soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri della Comunità ‘ economica europea, che non si siano identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter e che non abbiano nominato un rappresentante ai sensi del secondo comma dell’art 17, assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, che non hanno effettuato operazioni in Italia, ad eccezione delle prestazioni di trasporto e relative prestazioni accessorie non imponibili ai sensi dell’art. 9, nonché delle prestazioni indicate all’art. 7, quarto comma, lettera d), possono ottenere, in relazione a periodi inferiori all’anno, il rimborso dell’imposta, se detraibile a norma dell’art 19, relativa ai beni mobili e ai servizi importati o acquistati, semprechè di importo complessivo non inferiore a duecento euro. Se l’importo complessivo relativo ai periodi infrannuali risulta inferiore a duecento euro il rimborso spetta annualmente, semprechè di importo non inferiore a venticinque euro. Le disposizioni del presente comma non si applicano per gli acquisti e le importazioni di beni e servizi effettuati da soggetti residenti all’estero tramite stabili organizzazioni in Italia
Sono assoggettate ad IVA le operazioni aventi ad oggetto cessioni di beni e prestazioni di servizi ove effettuate nel territorio dello Staio” da soggetti che agiscano “nell’esercizio dì imprese o nell’esercizio di arti e professioni” (art. 1 Dpr n. 633/1972). In particolare le prestazioni di servizi sono definite dall’art. 3, comma 1, Dpr n. 633/72, con elencazione non tassativa, come “prestazioni verso corrispettivo” dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione deposito in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere, quale ne sia la fonte”, prevedendo espressamente il successivo comma 2 che, debbono considerarsi prestazioni di servizio “se effettuate verso corrispettivo”, anche le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili (n.1) nonché le cessioni di contratti di ogni tipo ed oggetto (n. 5), e precisando il comma 3, ultima parte, che “le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante ed il mandatario”. Nel caso di mandato all’acquisto del servizio, la base impobilie IVA relativa alla operazione di ritrasferimento del servizio al mandante è costituita “dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione” (art. 13co2, lett. b), ultima parte, Dpr n. 633/72); nel caso in cui al mandatario sia stata conferita procura ad agire “in nome e per conto” del mandante, ed il primo abbia anticipato le somme dovute per il corrispettivo dell’acquisto del servizio, “le somme dovute a titolo di rimborso” dai mandante “non concorrono a formare la base imponibile” a fini IVA (art. 15 co 1 n. 3) Dpr n. 633/72).
Con specifico riferimento alle “prestazioni di servizi” il requisito di territorialità della imposta trova disciplina nell’art. 7 del Dpr n. 633/72 che, al terzo comma -nel testo vigente ratione temporis- prevedeva il criterio generale fondato sul luogo in cui il prestatore ha il domicilio (sede legale) o la residenza (sede effettiva della impresa), derogato -per quanto interessa la presente controversia- dal criterio speciale indicato dal comma quarto lett. a): “3. Le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da sospetti che hanno il domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero, nonché quando sono rese da stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati e residenti all’estero; non si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da stabili organizzazioni all’estero di soggetti domiciliati o residenti in Italia. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche, agli effetti del presente articolo, si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva.
4. In deroga al secondo e terzo comma:
a) le prestazioni di servizi relativi a beni immobili, comprese le perizie, le prestazioni di agenzia e le prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando l’immobile è situato nel territorio stesso.
Le disposizioni dell’art. 7 del Dpr n. 633/1972 riproducevano sostanzialmente la corrispondente norma comunitaria dell’art. 9, nn. 1 e 2, lett. a), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977, che prevedeva quanto segue:
«1. Si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.
2. Tuttavia:
a) il luogo delle prestazioni di servizi relative a un bene immobile, incluse le prestazioni di agente immobiliare e di perito, nonché le prestazioni tendenti a preparare o a coordinare l’esecuzione di lavori immobiliari come, ad esempio, le prestazioni fornite dagli architetti e dagli uffici di sorveglianza, è quello dove il bene è situato….”.
La disposizione derogatoria di cui all’art. 9 paragr. 2 lett. a) della direttiva, è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia” nel senso che deve esistere un nesso «sufficientemente diretto» tra la prestazione di servizi e il bene immobile in questione, poiché sarebbe contrario all’economia di detta disposizione far rientrare nell’ambito di applicazione di tale norma speciale ogni prestazione di servizi che presenti un nesso anche minimo con un bene immobile, visto che i servizi che si riferiscono in una maniera o nell’altra a un bene immobile sono ben numerosi” (cfr. Corte giustìzia sentenza 7 settembre 2006, causa C-l 66/05, Heger, Racc. pag. 1-7749, punto 23; id. sentenza 3 settembre 2009, causa C-37/08, RCI Europe; id. sentenza 16 dicembre 2010, causa C- 270/09, Macdonald Resorts Ltd; id. sentenza 27 ottobre 2011, causa C-530/09, Inter-Mark Group sp. Zo.o., punto 30; id. sentenza 27 giugno 2013, causa C-155/12, RR Donneley Global Turnkey Solutions Poland sp. Zo.o., punti 33-37).
Tanto premesso, la sentenza della CTR, recependo integralmente la tesi sostenuta dalla Amministrazione finanziaria, ha ritenuto che la operazione, avente ad oggetto la cessione dei diritti di pedaggio sulle autostrade italiane, intercorsa tra la società cooperativa ed i singoli soci (entrambi soggetti non residenti in Italia, privi di numero identificativo IVA, né dotati di stabile organizzazione o di rappresentante nominato ai fini IVA), costituisse “operazione attiva” effettuata a titolo oneroso ed imponibile nello Stato, dovendo ravvisarsi il presupposto di territorialità della imposta nel collegamento della prestazione al bene immobile – autostrada ubicato in Italia, con la conseguenza che la società non poteva richiedere il rimborso dell’imposta che le era stata addebitata al momento del precedente acquisto delle tessere di pedaggio fomite da soggetto passivo residente nello Stato, essendo subordinato tale diritto, dall’art. 38 ter, comma 1, Dpr n. 633/72 -nel testo vigente ratione temporis- alla condizione negativa di non avere effettuato altre “operazioni in Italia”.
I capisaldi della sentenza di appello vanno individuati nei seguenti passaggi motivazionali:
– la messa a disposizione di una infrastruttura stradale deve considerarsi prestazione di servizi a titolo oneroso
– la società cooperativa non ha usufruito direttamente di tali servizi ma li ha “ceduti a terzi dietro corrispettivo”
– i soci debbono considerarsi soggetti terzi rispetto alla società cooperativa in quanto, in difetto di prova che quest’ultima abbia agito “in nome e per conto” dei soci, “le somme versate alla società per l’ottenimento delle tessere sono configurabili quali pagamento di un servizio reso dalla cooperativa stessa piuttosto che rimborso delle spese come tale non imponibile”
– la cessione delle tessere dalla società ai soci integra una “operazione attiva in Italia”.
La società cooperativa ha impugnato la sentenza di appello: 1-) in ordine all’accertamento del requisito di territorialità della imposta relativo alla operazione effettuata con i soci, denunciando, ai sensi dell’art. 360col n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1, 7 e 38 ter del Dpr n. 633/72 (primo motivo), nonché 2-) in ordine all’accertamento della onerosità della medesima operazione, denunciando il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 co l n. 5 c.p.c. (secondo motivo).
Quanto alla prima censura la tesi sostenuta dalla società a sostegno del motivo può essere riassunta come di seguito:
– la disposizione dell’art. 7 co 4, lett. a), Dpr n. 633/72 deve essere interpretata restrittivamente, ricomprendendo la deroga soltanto i casi in cui la prestazione di servizi realizzi “un concorso alla formazione fisica dell’immobile” (ricorso pag. 11) come nelle ipotesi di costruzione, riparazione e trasformazione che determinano “un ’alterazione fisica o giuridica.” degli immobili (ricorso pag. 12), e cioè con riferimento alle sole prestazioni in cui “il bene immobile costituisce l’oggetto-fine specifico e non il mezzo-strumento necessario”, con la conseguenza che rimarrebbe esclusa dalla portata della disposizione la mera locazione di immobili, nel cui schema contrattuale dovrebbe ricondursi il servizio erogato in corrispettivo al pagamento del pedaggio autostradale.
A tale conclusione, secondo la società, dovrebbe pervenirsi in considerazione della tipologia dei servizi indicati nella norma e della esigenza di evitare una estrema generalizzazione della deroga speciale, tenuto conto della molteplicità dei servizi riferibili ad un bene immobile. Aggiunge la ricorrente che ulteriori ragioni a sostegno di tale interpretazione deriverebbero dalla vicenda relativa alle modifiche della VI direttiva e della successiva adozione della direttiva 2006/112 in cui la proposta avanzata nel 2003 dalla Commissione (COM 822 del 23.12.2003), volta ad includere nella disposizione derogatoria anche “la concessione dei diritti di utilizzazione di un bene immobile”, non è stata recepita nei testi normativi (la modifica è stata successivamente introdotta nella riformulazione dell’art. 47 della direttiva 2006/112/CE ad opera della Direttiva Comunità Europea del 12/02/2008 n. 8, art 2, attuata nell’ordinamento interno dal Dlgs 11.2.2010 n. 18, art. I co 1, lett. c), che ha introdotto nel Dpr n. 633/72 l’art. 7 quater, comma 1, lett. a)).
Occorre premettere che secondo la giurisprudenza comunitaria “la nozione di prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva presuppone l’esistenza di un nesso diretto fra il servizio prestato e il corrispettivo ricevuto…..Orbene…..la messa a disposizione di un’infrastruttura stradale contro il pagamento di un pedaggio risponde a tale definizione. L’uso dell’infrastruttura stradale, infatti, è subordinato al pagamento di un pedaggio il cui importo dipende, in particolare, dalla categoria del veicolo e dalla distanza percorsa. Esiste, quindi, una relazione diretta e necessaria tra il servizio prestato e il corrispettivo pecuniario ricevuto…. Alla luce di quanto sopra, la messa a disposizione di un’infrastruttura stradale contro il pagamento di un pedaggio costituisce una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso ai sensi dell’art. 2, punto l, della sesta direttiva…” (cfr. Corte di Giustizia sentenza in data 12 settembre 2000, causa C-260/98, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica ellenica, punti 29-31 che richiama le sentenze 8 marzo 1988, causa 102/86, Apple and Pear Development Council, punto 12, e 16 ottobre 1997, causa C-258/95, Fillibeck, punto 12; id. sentenza in data 12 settembre 2000, causa C-276/97, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese; id. sentenza in data 12 settembre 2000, causa C-408/97, Commissione delle Comunità europee contro Regno dei Paesi Bassi. Nell’ordine di idee che anche la “concessione di uso della autostrada”, quale bene del demanio eventuale, debba ricondursi tra le prestazioni “ex contractu”, dovendo riconoscersi al pedaggio la natura di corrispettivo e non di tassa, è pervenuta anche questa Corte di cassazione Sez. 3, Sentenza n. 298 del 13/01/2003 affermando che “il pagamento del pedaggio (ove previsto) determina la nascita di un rapporto contrattuale, poiché quest’ultimo configura un “prezzo pubblico”, costituendo il corrispettivo versato per l’utilizzazione di un’opera già compiutamente realizzata per fini di interesse generale”).
Diversamente da quanto sostenuto dalla Agenzia fiscale resistente nel controricorso, la qualificazione dell’oggetto dell’obbligazione a carico del soggetto che concede l’uso de! bene come “prestazione di servizi” -assoggettata ad Iva- non è ex se sufficiente a ritenere accertato il requisito di territorialità della imposta anche per la successiva operazione negoziale intercorsa tra la società cooperativa ed i singoli soci, occorrendo stabilire sé nella specie il trasferimento della tessera di pedaggio sia qualificabile come cessione di beni o prestazione di servizi e se, in quest’ultima ipotesi, debba applicarsi il criterio generale (il luogo della prestazione di servizi è quello in cui il prestatore ha fissato al sede della propria attività economica) ovvero quello speciale che individua il luogo della prestazione di servizi in quello in cui è ubicato l’immobile (oggetto del servizio), essendo del tutto priva di rilievo, a tal fine, la circostanza addotta dalla Agenzia fiscale secondo cui diverse pronunce del Giudice comunitario avevano sanzionato l’obbligo degli Stati membri di prelevare la imposta sui pedaggi versati dagli utenti il richiamo a tali precedenti non è pertinente in quanto, che nelle cause sottoposte al suo esame, la Corte di Giustizia era intervenuta ad affermare che nella gestione dei servizi autostradali non poteva ravvisarsi esercizio di potestà pubbliche, sicché il fatto che il servizio venisse erogato da soggetti di diritto pubblico non era ostativo al riconoscimento dello svolgimento di un’attività economica, in quanto tale soggetta alla disciplina del tributo armonizzato. Appare evidente, pertanto, come la questione esaminata dal Giudice comunitario non fornisce alcuna indicazione dirimente in ordine alla soluzione della attuale controversia in cui si sostiene, da parte della Agenzia fiscale resistente, sussistere il requisito della territorialità della operazione di “cessione” effettuata tra soggetti (società cooperativa e singoli soci) non residenti nello Stato.
Venendo alla qualificazione giuridica della operazione di trasferimento della tessera di pedaggio autostradale dalla cooperativa ai soci, ritiene il Collegio che la stessa debba considerarsi alla stregua della disciplina normativa come “prestazione di servizi relativi a bene immobile”, non trovando ostacolo tale conclusione nel rilievo secondo cui la società cooperativa, cedendo la tessera, non assume nei confronti dei singoli soci alcuna obbligazione in ordine alla concessione in uso delle infrastrutture autostradali (ed infatti nella cessione delle tessera di pedaggio, potrà al più ravvisarsi il trasferimento del diritto di credito alla predetta prestazione di servizi che è dovuta comunque da un soggetto terzo – l’ente gestore della autostrada-, non potendo evidentemente essere erogata detta prestazione di servizio a favore dei soci autotrasportatori direttamente dalla cooperativa che non dispone -a titolo proprietario o come possessore- di poteri di disposizione o godimento sul bene immobile). Se infatti occorre certamente tenere distinto il rapporto concernente l’acquisto delle tessere di pedaggio, tra soggetto passivo residente in Italia e società cooperativa non residente, dal rapporto concernente il trasferimento delle tessere pedaggio, tra la predetta società cooperativa ed i singoli soci, anche questa seconda operazione (che può essere attuata mediante differenti fattispecie negoziali: cessione a favore dei soci del contratto concluso tra la società cooperativa e l’ente gestore della autostrada; trasferimento del solo diritto di credito alla prestazione del servizio; stipula di contratto a favore di terzo -soci- che acquista direttamente il diritto alla prestazione di servizi; adempimento del mandato senza rappresentanza mediante ritrasferimento ai soci mandatari del diritto di transito acquistato; acquisto della tessera di pedaggio da parte della cooperativa “in nome e per conto” dei soci), non perde la caratteristica di “prestazione di servizi”, atteso che, nel diritto comunitario dell’IVA, la figura negoziale della “cessione di diritti” viene ad essere configurata diversamente in relazione alla natura giuridica dell’oggetto (bene o servizio) sul quale si riflette il diritto trasferito, assumendo la categoria dei servizi carattere residuale rispetto a quella della cessione di beni, con la conseguenza che tutte le operazioni che non hanno ad oggetto la attribuzione del potere di disporre “uti domino” su una “casa materiale” (mobile od immobile) debbono necessariamente qualificarsi come “prestazioni di servizio”, come inequivocamente emerge dall’art. 6, paragr. 1, primo trattino, della VI direttiva che configura come prestazione di servizio anche “una cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo” (conformemente l’art. 2 co l del Dpr n. 633/1972 definisce “cessione di beni” soltanto gli atti a titolo oneroso che comportano trasferimento della proprietà, ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento). Dovendo pertanto ricondursi in tale categoria anche la operazione intercorsa tra la società cooperativa ed i propri soci avente ad oggetto la cessione del diritto all’accesso ed al transito sulle autostrade italiane (nell’ipotesi in cui, poi, ricorra la figura del mandato senza rappresentanza, il ritrasferimento del diritto dal mandatario al mandante è espressamente identificato nella stessa “prestazione di servizio” ricevuta dal mandatario ex art. 3, comma 3, ultima parte, e comma 4, lett. h), del Dpr n. 633/1972).
Se dunque la cessione del diritto non assume ai fini IVA una propria autonomia dovendo qualificarsi “prestazione di servizio” in relazione all’oggetto del diritto trasferito, ne segue che anche la operazione effettuata tra la società cooperativa ed i soci ha per oggetto (il diritto a conseguire) il medesimo servizio che l’ente gestore della autostrada è tenuto a prestare in favore dei soggetti che utilizzano la tessera di pedaggio (consentire l’accesso ed il transito sul bene immobile-autostrada), con la ulteriore conseguenza che il luogo di esecuzione della prestazione di servizi non può che essere individuato in relazione al luogo in cui è sito il bene immobile, in base al criterio speciale della territorialità della imposta disposto dall’art. 9 paragr. 2, lett. a), VI direttiva e dall’art. 7 comma 4, lett. a), Dpr n. 633/1972, in deroga al criterio generale del luogo in cui il prestatore di servizi ha stabilito la sede della propria attività economica.
La distinzione prospettata dalla società ricorrente tra immobili soltanto strumentali al servizio (esclusi dall’ambito di applicazione della disposizione in deroga) ed immobili che costituiscono invece il risultato-finale del servizio (ricompresi nella disposizione derogatoria), non trova riscontro nelle norme comunitarie ed interne, venendo in questione nella interpretazione dell’art. 9 paragr. 2, lett. a), secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, soltanto l’elemento della riferibilità oggettiva del servizio al bene immobile “che ricorre in particolare qualora un bene immobile espressamente determinato debba essere considerato come elemento costitutivo di una prestazione di servizi, in quanto ne costituisce elemento centrale indispensabile…Infatti è giocoforza constatare che le prestazioni di servizi elencate nell’articolo 47 della direttiva IVA [ndr. n. 2006/112/CEE del Consiglio in data 28.11.2006] che riguardano l’uso o la sistemazione di un bene immobile oppure la gestione, compreso lo sfruttamento e la valutazione dello stesso, sono caratterizzate dal fatto che il bene immobile costituisce il loro stesso oggetto” (cfr. Corte Giustizia sentenza in data 27.6.2013 , causa C-155/12, RR Donnelley Global Turnkey Solutions Poland sp. Z o.o, punto 35-36, con riferimento all’art. 47 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28.11.2006; Corte Giustizia sentenza in data 7.9.2006, causa C- 166/05, Heger Rudi GmbH, punti 23-26 che ha ravvisato il “nesso sufficientemente diretto” tra prestazione di servizio e bene immobile, richiesto per integrare la ipotesi prevista dall’art. 9, paragr. 2, lett. a), della VI direttiva, nella relazione tra “diritti di pesca”e “zona del fiume” nel quale possono essere esercitati, in quanto “i diritti di pesca possono essere esercitati solo in rapporto al fiume considerato e nei tratti di quest’ultimo menzionati nei permessi. Il corso d‘acqua medesimo, rappresenta dunque un elemento integrante dei permessi di pesca e, pertanto, della cessione dei diritti di pesca. Là dove una prestazione di servizi….consiste proprio nella cessione di un diritto d’uso del bene, che è il fiume, tale immobile costituisce un elemento centrale ed indispensabile della prestazione. Il luogo di ubicazione dell’immobile, corrisponde inoltre al luogo di consumo finale del servizio. “)
Il diritto di utilizzo della infrastruttura autostradale cui corrisponde la prestazione di servizio di messa a disposizione del tratto stradale che deve essere percorso, non può, evidentemente, sussistere al di fuori del bene immobile (autostrada) al quale specificamente si riferisce e che viene a costituire, pertanto, l’elemento “centrale e determinante” della prestazione di servizi, ricadendo quindi tale prestazione di servizi nella previsione della disposizione comunitaria derogatoria che, ai fini della territorialità della imposta, privilegia il luogo in cui è situato il bene immobile. Non condivisibile, pertanto, è l’assunto della società ricorrente secondo cui detta prestazione, dovendo essere inquadrata nello schema della locazione, rimarrebbe sottratta alla applicazione della norma derogatoria sulla territorialità della imposta, considerato, per un verso, che anche la “locazione immobiliare” (come qualsiasi altro diritto personale di godimento su bene immobile) ricade nella previsione dell’art. 9, paragr. 2, lett. a), della VI direttiva (“uso …di un bene immobile”) e la diversa formulazione dell’art. 7 co 4, lett. a), Dpr n. 633/72 non consente una differente interpretazione (sia in considerazione della prevalenza da riconoscere alla norma comunitaria rispetto alla norma interna incompatibile; sia in considerazione della non tassatività della elencazione delle prestazioni afferenti strettamente alla esecuzione di lavori immobiliari, riferendosi chiaramente la disposizione, in via generale, a tutte le “prestazioni di servizi relativi a beni immobili” tra le quali ha poi inteso specificare che sono “comprese” anche quelle concernenti la “preparazione e al coordinamento ed alla esecuzione dei lavori immobiliari”) tenuto conto, per altro verso, che l’esercizio del diritto personale di godimento, nel caso di specie, viene a coniugarsi esclusivamente con l’utilizzo del bene immobile-autostrada che ne costituisce, pertanto, l’oggetto finale e non soltanto il “mezzo” attraverso il quale il soggetto realizza un interesse alieno (significative in proposito le pronunce della Corte di giustizia che, in relazione alla attività di scambio svolta da una società di diritti di godimento temporaneo su immobili tra i diversi soggetti titolari, ha riconosciuto applicabile l’art. 9 paragr. 2 lett. a) VI direttiva, pur se le prestazioni fornite dalla società ai clienti si limitavano al mero scambio dei diritti temporanei e non anche alla prestazione del servizio di locazione immobiliare, in quanto tali prestazioni si riferivano pur sempre all’immobile sul quale il proprietario che intendeva procedere allo scambio vantava il proprio diritto, e la logica di fondo delle disposizioni riguardanti il luogo della prestazione di servizi contenute all’art. 9 della sesta direttiva impone che i beni e i servizi siano tassati, per quanto possibile, nel luogo della loro fruizione” e, nella specie, la fruizione delle prestazioni di servizi non avveniva presso la sede della società “bensì nel luogo in cui è situato il bene immobile su cui sussiste il diritto di godimento a tempo ripartito oggetto del servizio di scambio Corte giustizia sentenza in data 3.9.2009 , causa C-37/08, RCI Europe; id. sentenza in data 16.12.2010, causa C-270/09, Macdonald Resorts Ltd ).
Non dirimente appare anche l’argomento, addotto dalla società ricorrente, fondato sulla proposta (COM 822) di modifica della disposizione derogatoria di cui all’art. 9 paragr. 2 lett. a) della VI direttiva, formulata dalla Commissione europea in data 23.12.2003, che venne fatta propria dal Consiglio (2003/0329 CNS) e successivamente accantonata.
Nella relazione illustrativa della nuova disposizione che avrebbe dovuto sostituire l’art. 9 della VI direttiva, Si osservava, tra l’altro, che “Il testo rimane praticamente invariato ma vi saranno incluse “le prestazioni di servizi alberghieri o di sistemazione analoga” e “la concessione di diritti per l’utilizzazione di beni immobili” per fare in modo che i servizi alberghieri e l’accesso alle strade a pedaggio siano considerati connessi ai beni immobili”.
Da tale vicenda la società ricorrente argomenta che la modifica proposta tendeva proprio ad innovare alla disposizione vigente, inserendo tra le prestazioni di servizi riferite a beni immobili, per le quali operava la deroga al criterio generale di territorialità della imposta, anche quelle relative ai transiti stradali a pedaggio, concludendo che, anteriormente alla modifica indicata, dette prestazioni dovevano intendersi escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 9 paragr. 2 lett. a) VI direttiva.
Premesso che la modifica normativa ha trovato attuazione soltanto con l’art. 2 della direttiva 2008/8/CE del Consiglio in data 12.2.2008 che ha sostituito l’art. 47 della direttiva 2006/112/CE (la norma nella formulazione attuale dispone che “il luogo delle prestazioni di servizi relativi a un bene immobile, incluse le prestazioni di periti, di agenti immobiliari, la fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzione analoga, quali i campi di vacanza o i terreni attrezzati per il campeggio, la concessione di diritti di utilizzazione di un bene immobile e le prestazioni tendenti a preparare o a coordinare l’esecuzione di lavori edili come, ad esempio, le prestazioni fornite dagli architetti e dagli uffici di sorveglianza, è il luogo in cui è situato il bene.”), l’argomento “a contrario” dedotto dalla parte ricorrente non tiene conto, da un lato, che la disposizione previgente non conteneva alcuna espressa previsione di esclusione dei diritti di utilizzazione delle infrastrutture stradali a pedaggio, mentre era pacifico per la giurisprudenza comunitaria che fossero ricompresi nella norma derogatoria del criterio di territorialità anche le prestazioni di servizi concernenti il trasferimento dei diritti di uso o sfruttamento di beni immobili, anche di natura demaniale, assoggettati al pagamento di canoni o altri corrispettivi (cfr. Corte giustizia sentenza 7 settembre 2006 , causa C-l66/05, Heger Rudi GmbH che ha ritenuto operazione attiva compiuta nello Stato in cui era ubicato l’immobile, la rivendita a clienti residenti in differenti Stati membri, da parte di una società tedesca, di licenze di pesca relative ad un fiume ubicato in Austria, acquistate da una società austriaca); dall’altro che la modifica normativa in questione è inserita in un più ampio contesto volto ad innovare radicalmente lo stesso criterio generale della territorialità della imposta, venendo ad essere mutato l’originario regime del luogo in cui ha sede il soggetto prestatore del servizio con quello del luogo in cui ha sede il soggetto destinatario della prestazione di servizi (cfr. direttiva 2008/8/CE del Consiglio del 12.2.008 intervenuta “a modernizzare e esemplificare il funzionamento del sistema comune di IVA ” che al terzo considerando premette che “per tutte le prestazioni di servizi il luogo di imposizione dovrebbe essere di norma il luogo in cui avviene il consumo effettivo”, precisando al quarto considerando che “la regola generale relativa al luogo delle prestazioni di servizi dovrebbe essere basata sul tuo in cui è stabilito il destinatario e non su quello in cui è stabilito il prestatore”, puntualizzando tuttavia, al sesto considerando, che “in talune circostanze dovrebbero invece applicarsi regole specifiche. Tali deroghe dovrebbero essere basate in gran parte sui criteri vigenti e riflettere il principio della imposizione nel luogo di consumo..”: anche nella precedente proposto di modifica del 2003 il criterio speciale determinativo della territorialità era inserito nella più amoia modifica del criterio generale predetto), sicché si appalesava opportuna in tale sede -proprio al fine di evitare possibili equivoci interpretativi- la integrazione, meramente confermativa e chiarificatoria, della disposizione derogatoria in questione, con la quale -introducendo nell’elenco, meramente esemplificativo, delle prestazioni di servizi relativi a beni immobili anche “la concessione di diritti di utilizzazione di un bene immobile si è voluto soltanto specificare che la modifica del criterio generale non immutava anche al previgente criterio speciale che rimaneva, invece, integralmente confermato nella originaria estensione applicativa ad esso riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, con particolare riferimento a quelle ipotesi di “cessione di diritti di uso” che potevano presentare aspetti problematici di collegamento con il bene immobile e che, in precedenza, avevano dato luogo a richieste di pronunce pregiudiziali da parte dei Giudici degli Stati membri (cfr. Corte giustizia causa C-166/05; id. causa C-37/08; id. causa C-270/09, citate).
Stabilito, pertanto, che la operazione effettuata tra la società cooperativa ed i singoli soci deve essere qualificata come “prestazione di servizi riferibili a bene immobile ubicato nello Stato”, ricorrendo dunque il presupposto della territorialità della imposta, occorre tuttavia dare conto dell’ulteriore rilievo critico mosso dalla società ricorrente alla sentenza di appello (che introduce l’esame del secondo motivo di ricorso avverso la sentenza di appello) in quanto i Giudici di merito avrebbero erroneamente ravvisato nella predetta operazione l’elemento della controprestazione (necessario a configurare una “prestazione di servizi imponibile” ex art. 2 paragr. 1 VI direttiva ed art. 3 comma 1 Dpr n. 633/1972) qualificando come corrispettivo del servizio le somme versate dai soci alla Cooperativa, trattandosi invece soltanto di un rimborso dei costi sostenuti dalla società per l’acquisto dei diritto di transito sulle autostrade.
La critica che potrebbe risultare “tranchant” avuto riguardo alla interpretazione dell’art. 2 paragr. 1 della VI direttiva (che assoggetta ad IVA”…le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto che passivo che agisce in quanto tale”) fornita dal Giudice comunitario secondo cui la onerosità va ravvisata -e conseguentemente la operazione deve ritenersi imponibile- “solo quando tra l’autore di tale prestazione ed il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazione sinallagmentiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario” (cfr. Corte giustizia sentenza 14 luglio 1998, causa C-172/96, First National Bank of Chicago; id. sentenza 21 marzo 2002, causa C-174/00, Kennemer Golf; id. sentenza 3.9.2009, causa C-37/08, RC1 Europe: id. sentenza 16.12.2010, causa C-270/09 MacDonald Resorts; id. sentenza 20 giugno 2013, causa C-653/11, Paul Newey), occorrendo al riguardo riferirsi alla realtà economica e commerciale della operazione -piuttosto che allo scopo od al risultato perseguito dalle parti- potendo trarsi elementi di convincimento anche dalle clausole contrattuali a meno che non emerga “una costruzione meramente artificiosa, non corrispondente all’effettività economica e commerciale delle operazioni” (Corte giustizia, causa C-653/11, cit. punti 42-46).
La censura svolta dalla società ricorrente pecca, tuttavia, di autosufficienza in quanto, a fronte dell’accertamento contenuto nella sentenza impugnata che ha considerato corrispettivo del servizio la somma versata dai soci alla società cooperativa, quest’ultima non solo non fornisce gli elementi ricostruttivi in fatto della operazione, omettendo finanche di riferire sia l’ammontare delle somme in questione, sia, soprattutto, da quali prove documentali -se ritualmente prodotte nei gradi di merito- risultasse la perfetta corrispondenza degli importi relativi all’acquisto delle tessere di pedaggio e di quelli richiesti e versati dai soci, ma non indica alcun elemento probatorio decisivo che, se non trascurato od inesattamente valutato dal Giudice di merito, avrebbe determinato con certezza una decisione favorevole alla ricorrente, venendo meno all’onere di completezza del motivo dedotto con il mezzo di impugnazione di cui all’art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.. Non può evidentemente assolvere alla indicazione della prova determinante l’allegazione della società ricorrente (ricorso pag. 18) secondo cui “lo stesso Ufficio nell’atto di appello.,..riconosceva sostanzialmente che….non ve rivendita ma mero riaddebito”, tenuto conto che la stessa ricorrente, proseguendo nella esposizione del motivo, afferma che poi, “contraddittoriamente”, nel medesimo atto di appello, l’Ufficio insisteva a sostenere che nella operazione intercorsa con i soci “la cooperativa ….in tale fattispecie…assume la veste di rivenditore (o intermediario) di tale servizio…” (ricorso pag. 18), rimanendo esclusa proprio in considerazione della rilevata contraddittorietà, che in ordine alla mancanza di un corrispettivo a fronte della prestazione del servizio possa ravvisarsi un fatto “non contestato” dall’Ufficio finanziario, tanto più che il provvedimento di diniego di rimborso, opposto in giudizio, era fondato proprio sulla “imponibilità” della prestazione di servizi resa dalla cooperativa ai singoli soci in quanto ricondotta nel paradigma normativo degli artt. 1 e 3 co l Dpr n. 633/72. Non assolve al requisito di decisività della prova neppure il richiamo all’art. 267 del “Code generai des impots” secondo cui il recupero dei costi effettuato dalla società cooperativa nei confronti dei propri soci è escluso dal campo IVA. Ed infatti, premesso che la fattispecie astratta descritta nella norma di diritto richiamata non surroga evidentemente la prova del fatto (la somma versata dai soci alla cooperativa è un mero riaddebito e non un corrispettivo) che deve essere fornita in relazione alai fattispecie concreta, vale peraltro osservare come la norma in questione trova applicazione soltanto nel caso in cui la società abbia acquistato le tessere di pedaggio spendendo il nome dei singoli soci ed anticipando le somme relative al pagamento del corrispettivo che le vengono poi rimborsate dai rappresentati (“les sommes remboursees aux intermediaries… qui effectuent des depenses au nom et pour le compte de leurs commettants…” ricorso pag. 18), venendo quindi a corrispondere alla norma di cui airart. 15 co l n. 3) del Dpr n. 633/72 per cui “Non concorrono a formare la base imponibile: 3) le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”, e presuppone pertanto un ulteriore accertamento in fatto, concernente il conferimento alla società del potere rappresentativo da parte dei singoli soci, e della spendita del nome dei singoli soci nella operazione negoziale effettuata dalla società cooperativa con il soggetto passivo residente nello Stato dal quale ha acquistato le tessere di pedaggio, questione del tutto indimostrata e che non risulta neppure sia stata sottoposta all’esame od oggetto di pronuncia da parte dei Giudici di merito nei precedenti gradi di giudizio, rimanendo preclusa alla Corte, avuto riguardo alla funzione propria del sindacato di legittimità, ogni indagine in merito.
Pertanto la sentenza di appello va esente dai vizi di legittimità denunciati, avendo correttamente ritenuto integrati nella fattispecie tutti i presupposti della “operazione attiva” (prestazione di servizi resa verso un corrispettivo; soggetti esercente un’attività economica; territorialità della imposta) che costituisce condizione preclusiva del diritto al rimborso ex art. 38 ter Dpr n. 633/1972.
In conclusione il ricorso proposto dalla società deve essere rigettato, con conseguente condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 7.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
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