Corte di Cassazione sentenza n. 28665 del 17 luglio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – INFORTUNIO DI UN MACELLAIO – DUBBI SULLA PRESENZA E ADEGUATEZZA DI UN DPI – RESPONSABILITA’ PENALE DEL DATORE DI LAVORO
massima
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Vi è la responsabilità del legale rappresentante di una s.r.l. per aver cagionato lesioni personali – cui faceva seguito uno stato di malattia e l’impedimento alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a giorni 40 – al dipendente che, mentre svolgeva mansioni di macellaio facendo uso della mannaia per tagliare bistecche, si era colpito la mano sinistra priva del guanto a maglia metallica, non fornitogli dal datore di lavoro; ciò in seguito alla violazione colposa di specifiche disposizioni antinfortunistiche di protezione individuale.
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FATTO
Con sentenza in data 21 luglio 2011, la Corte d’appello di Firenze parzialmente riformava – previo riconoscimento delle attenuanti generiche dichiarate equivalenti all’aggravante contestata e, conseguentemente, previa riduzione della pena – la sentenza emessa il 22 febbraio 2010 dal Tribunale di Pistoia – Sezione staccata di Monsummano Terme nei confronti di (Omissis) quale responsabile del delitto di cui all’art. 590 c.p., comma 3, art. 583 c.p., comma 1, n. 1, per aver cagionato, in qualità di legale rappresentante della ditta (Omissis) s.r.l., lesioni personali – cui faceva seguito uno stato di malattia e l’impedimento alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a giorni 40 – al dipendente (Omissis) che, mentre svolgeva mansioni di macellaio facendo uso della mannaia per tagliare bistecche, si era colpito la mano sinistra priva del guanto a maglia metallica, non fornitogli dall’imputato; ciò in seguito alla violazione colposa di specifiche disposizioni antinfortunistiche di protezione individuale (Decreto Legislativo n. 626 del 1994, art. 42, e art. 43, comma 3); fatto commesso in (Omissis).
La Corte d’appello, nel far luogo alla reiezione del gravame proposto dall’imputato, ha preliminarmente dichiarato infondata l’eccezione di nullità sollevata dal difensore per la mancata citazione dell’INAIL ad iniziativa del P.M., a norma del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, art. 61, sul rilievo che l’intervento dell’Istituto nel giudizio penale in veste di parte civile, resta eventuale, tuttalpiù potendo dar luogo l’omissione ad una mera irregolarità in relazione alla quale la difesa dell’imputato era priva di interesse. Ed ha altresì ribadito la sussistenza della penale responsabilità dell’imputato sul rilievo che il dipendente infortunatosi non indossava il guanto di protezione al momento del fatto, ciò rilevando agli effetti del concorso di colpa, ma non valendo ad esentare da responsabilità l’imputato che aveva fornito al dipendente un guanto inadeguato, per dimensioni, rispetto alla mano del (Omissis).
Ricorre per l’annullamento della sentenza l’imputato, per tramite del difensore, articolando tre distinti motivi, così sintetizzati.
Con la prima doglianza denunzia la difesa il vizio di inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, non integrando la violazione, già dedotta in atto d’appello, del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, art. 61, comma 1, un caso di mera irregolarità, contrariamente agli assunti della Corte distrettuale, ma una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lettera c, e art. 180 dello stesso codice, tempestivamente dedotta dal ricorrente,anche con il conforto della giurisprudenza di legittimità.
Con il secondo ed il terzo motivo di ricorsola trattarsi congiuntamente siccome intimamente connessi, deduce il ricorrente il vizio di contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione. La Corte distrettuale avrebbe sostanzialmente travisato le risultanze istruttorie circa la ritenuta inadeguatezza del guanto metallico ad evitare il rischio di infortuni della specie di quello subito dal (Omissis) che ebbe ad ammettere di averne fatto uso per effettuare talune operazioni di macellazione, a tanto non ostando quindi le dimensioni sproporzionate dello stesso, rispetto a quelle della sua mano. Inoltre, con argomentazioni contraddittorie, i Giudici di secondo grado si sarebbero limitati a ravvisare un concorso di colpa dell’operaio per non aver indossato il guanto o per aver omesso di segnalarne l’inadeguatezza al datore di lavoro,senza logicamente pervenire ad escludere profili di colpa a carico dell’imputato, rimasto del tutto all’oscuro delle doglianze del dipendente. Nè in sentenza si era fatto il minimo accenno alla individuazione della condotta alternativa atta ad impedire l’evento.
DIRITTO
La prima censura dedotta è inammissibile. Non l’imputato (come già osservato dalla Corte distrettuale nel rigettare l’impugnativa dell’ordinanza 16 febbraio 2009 del Giudice di prime cure, reiettiva della medesima eccezione) ma l’INAIL è titolare dell’interesse processuale a dolersi dell’asserita inosservanza del disposto del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, art. 61, mirando la disposizione a “stimolare” l’eventuale costituzione di parte civile dell’Istituto previdenziale in caso di procedimenti penali per delitti colposi concernenti l’incolumità personale dei lavoratori, commessi con violazione della normativa antinfortunistica (cfr. Sez. 4 n. 47374 del 2008 che ha invero accolto il ricorso proposto dall’INAIL anche in relazione alla mancata osservanza dell’art. 3 della legge n. 123 del 2007, riprodotto poi nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008, art. 61).
Non si sottrae invece l’impugnata sentenza ai vizi motivazionali articolati con gli altri motivi di ricorso.
La Corte d’appello, condividendo la motivazione della sentenza di primo grado, ha ravvisato la responsabilità colposa dell’imputato per aver omesso di dotare il dipendente (Omissis) (poi infortunatosi usando la mannaia nel reparto macelleria) di idonei dispositivi individuali di protezione quali: guanto a maglia metallica, ergonomicamente adatto alle dimensioni della sua mano.
In punto di fatto si era invero acclarato, grazie alle deposizioni testimoniali dell’Ufficiale di P.G. verbalizzate e di altri dipendenti oltreché dello stesso infortunato (del cui contenuto da atto la sentenza di primo grado) che, all’interno dell’azienda, vi era, a disposizione dei vari addetti al reparto macellazione – e quindi anche del (Omissis) – “un unico guanto”, di “dimensioni esagerate e certamente non idoneo ad assicurare la protezione delle mani del lavoratore (Omissis)” (cfr. fgl. 2 della motivazione della sentenza di primo grado). Tanto varrebbe quindi a comprovare l’omissione ascritta all’imputato, connotata da colpa specifica per la violazione della richiamata prescrizione cautelare finalizzata alla prevenzione degli infortuni che, ove osservata, avrebbe certamente evitato l’evento. È ovviamente incontestabile che mettere a disposizione del dipendente un mezzo di protezione individuale, allo stesso inadeguato (di guisa da esser inutilizzabile allo scopo) equivale,nella sostanza, a non fornirne alcuno con il conseguente inadempimento agli specifici obblighi imposti al datore di lavoro. La sentenza impugnata individua tuttavia “un indubbio concorso di colpa della vittima” nel fatto di non aver indossato il guanto e/o nel non aver fatto presente la “sua inadeguatezza”. Ora, proprio in punto alla ritenuta impossibilità di indossare il guanto (che funge da presupposto ai fini della configurazione della colpa specifica, come contestata) lamenta il ricorrente il vizio motivazionale di cui all’art. 606, lettera e), codice di rito in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale, per aver omesso di valutare che la stessa parte offesa (Omissis) (come emerso dal brano della deposizione testimoniale resa e debitamente trascritta in ricorso) ebbe ad ammettere di aver invece indossato guanto e grembiule a maglia metallica nell’esecuzione di talune operazioni di taglio e che l’ispettore ASL (Omissis) non ebbe ad eseguire “la misurazione” del guanto sulle dimensioni della mano del (Omissis), limitandosi a riferire della ritenuta sproporzione del guanto, dopo averlo provato sulla propria mano, come del pari specificato dal ricorrente sulla base del brano della deposizione resa in dibattimento e riportata in ricorso. È quindi del tutto ovvio che, se il guanto fosse stato inadeguato di guisa da non poter fungere da mezzo di protezione antinfortunistica individuale, non avrebbe potuto mai esser indossato dal lavoratore.
Invero nella motivazione della sentenza impugnata – pur senza rendere adeguata e logica spiegazione di una siffatta affermazione – si accenna,contraddittoriamente, alla circostanza che il (Omissis) abbia continuato “a non usare il guanto protettivo, adeguato alle sue caratteristiche fisiche” di guisa da ravvisare, a tale titolo, un ulteriore profilo di colpa a carico dell’imputato per aver omesso di “prendere nei suoi confronti provvedimenti più incisivi dei meri richiami e rimproveri” (peraltro per nulla specificati o chiariti in relazione alla disciplina del rapporto di lavoro in atto tra le parti od in virtù di altra fonte giuridica) dopochè l’imputato stesso ed il teste (Omissis) ebbero a dichiarare di aver veduto il lavoratore non indossare il guanto, limitandosi semplicemente a redarguirlo.
L’impugnata sentenza,attesa la ricorrenza dei dedotto vizio di motivazione, deve esser quindi annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze che, tenuto conto dei rilievi testé evidenziati, dovrà riesaminare la vicenda processuale in punto alla responsabilità per colpa ascritta all’imputato, chiarendo in special modo, nell’ambito delle facoltà discrezionali demandate al giudici di merito in tema di valutazione delle prove acquisite, se, coerentemente con le risultanze istruttorie, sia possibile ritenere dimostrato o che il datore di lavoro aveva fornito al lavoratore un mezzo di protezione antinfortunistica inadeguato ovvero che di tanto il lavoratore aveva reso edotto l’imputato ovvero che il citato strumento di lavoro fosse invece ex se adeguato allo scopo e che non fosse stato deliberatamente utilizzato dal lavoratore nello svolgimento dell’operazione da cui conseguì la produzione delle gravi lesioni personali, chiarendo, in tale ultima ipotesi, quale condotta commissiva od omissiva dell’imputato sia da porre in relazione eziologica con l’evento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze.
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