Corte di Cassazione sentenza n. 28978 del 18 luglio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – DATORE DI LAVORO – OMISSIONE DI MISURE IDONEE AD ELIMINARE IL RISCHIO DI CADUTA DALL’ALTO
massima
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Vi è la responsabilità del titolare di una ditta perché, nell’eseguire presso un cantiere opere edili di restauro, non adottava le misure idonee ad eliminare il rischio di caduta del personale, per i lavori da realizzarsi ad altezza superiore a 2 metri, nè curava gli interventi necessari per la sicurezza sul lavoro, nè, peraltro, metteva a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della salute e della sicurezza, in relazione al lavoro da svolgere.
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FATTO
Il Tribunale di Cuneo, con sentenza del 26/5/2011, dichiarava (Omissis) colpevole dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 122 e 71, perché nella sua qualità di titolare della omonima ditta, nell’eseguire presso un cantiere opere edili di restauro, non adottava le misure idonee ad eliminare il rischio di caduta del personale, per i lavori da realizzarsi ad altezza superiore a 2 metri, né curava gli interventi necessari per la sicurezza sul lavoro, né, peraltro, metteva a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della salute e della sicurezza, in relazione al lavoro da svolgere, e lo condannava alla pena di euro 5.000,00 di multa.
La Corte di Appello di Torino, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, rilevato che l’imputato era stato ritenuto responsabile di un reato contravvenzionale e la condanna era stata per errore di euro 5.000,00 di multa, anziché di ammenda, ha, qualificato il gravame quale ricorso per cassazione rimesso gli atti a questa Corte.
Con la impugnazione la difesa del (Omissis), formula i seguenti motivi:
– il Tribunale, nel ritenere provata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato in contestazione, è incorso in una erronea applicazione della legge penale, in particolare del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 122 e 71, ritenendo che i dipendenti della ditta lavorassero effettivamente ad una altezza superiore ai due metri, in difetto di prova su tale circostanza;
– erronea determinazione della pena in quanto trattandosi nella specie di contravvenzione il Tribunale non avrebbe potuto infliggere la multa;
– la modesta gravità dei fatti commessi avrebbe dovuto indurre il decidente alla concessione delle attenuanti generiche;
– eccessività del trattamento sanzionatorio, che sarebbe da quantificare entro i limiti di minimi edittali.
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente a sostegno della ritenuta concretizzazione dei reati in contestazione e della ascrivibilità degli stessi in capo al prevenuto, si rivela logica e corretta.
Il Tribunale rileva che le emergenze istruttorie – deposizione dell’agente accertatore, fascicolo fotografico e verbali di PG – hanno permesso di potere ritenere provata la responsabilità del (Omissis), che, quale titolare della omonima impresa edile, non aveva adottato idonee opere professionali, atte ad eliminare il rischio di caduta del personale operante nel cantiere in cui erano in corso interventi di restauro edilizio.
La prima censura formulata in ricorso non può trovare accoglimento perchè è esclusivamente di merito e l’accertamento del fatto ha formato oggetto di motivazione esaustiva, immune da vizi logici: non può, in sede di legittimità, procedersi ad una analisi rivalutativa della piattaforma probatoria, in quanto a questa Corte è precluso effettuare un nuovo esame estimativo delle emergenze istruttorie.
Del tutto inconferente si palesa la contestata erronea determinazione della pena, rilevato che l’avere indicato come sanzione la multa, anziché l’ammenda non comporta alcuna nullità del decisum perché è evidente che trattasi di un mero errore.
Del pari manifestamente infondata è la ulteriore doglianza, attinente alla mancata concessione delle attenuanti generiche, visto che il Tribunale giustifica il diniego sulla base di un giudizio di immeritevolezza, determinato da un precedente specifico di cui è gravato l’imputato.
Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il (Omissis) abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna.
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