Corte di Cassazione sentenza n. 3083 del 21 gennaio 2013 n.3083
PREVIDENZA SOCIALE – CONTRIBUTI – OMESSO VERSAMENTO – REATO – DECRETO DI CITAZIONE E RICORSO
massima
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In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La corte ha richiamato recente giurisprudenza di legittimita’ che ha precisato che l’esercizio dell’azione penale per il reato di omesso versamento delle ritenute non e’ subordinato alla contestazione della violazione ovvero alla notifica dell’accertamento da parte dell’ente previdenziale e al decorso dei tre mesi concessi al datore di lavoro per adempiere. Non vi e’ infatti condizione di procedibilita’, prevedendo invece la norma la non punibilita’ del reato gia’ perfezionatosi nel momento in cui scade il termine utile per il versamento, non punibilita’ che deriva dal pagamento nei tre mesi. L’imputato deve essere messo nelle condizioni di fruire di tale causa di non punibilita’ attraverso la regolare contestazione dell’accertamento delle violazioni; se manca la prova dell’avviso il giudice deve sollecitare l’ente a provvedere alle incombenze che possono permettere al debitore di accedere entro tre mesi alla procedura di definizione dell’illecito.
Cio’ posto, la corte ha ritenuto necessario stabilire se l’imputato era stato regolarmente informato della violazione, tenendo conto che la giurisprudenza ha affermato che la notifica dell’accertamento della violazione non e’ soggetta a particolari formalita’, non applicandosi a essa il regime delle notificazioni previsto per i soli illeciti amministrativi dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689 ne’ il regime delle notificazioni del codice di rito penale: puo’ quindi effettuarsi anche a mezzo di servizio postale mediante raccomandata sia al domicilio del datore di lavoro sia presso la sede dell’azienda. La scelta del rito abbreviato comporta la piena utilizzabilita’ del materiale probatorio contenuto nel fascicolo per le indagini preliminari, nel quale si rinviene l’attestazione dell’Inps di avere regolarmente inviato all’imputato la comunicazione della violazione con raccomandata ricevuta il 20 gennaio 2006. Non rileva l’omessa allegazione della ricevuta di ritorno perche’ la prova di un fatto nel processo penale puo’ essere fornita non solo mediante produzione documentale ma anche attraverso un’attestazione da parte di un soggetto dell’avvenuto compimento di un atto. Se poi l’imputato avesse voluto porre in dubbio l’attendibilita’ dell’attestazione data dall’Inps attraverso la dichiarazione di un proprio funzionario avrebbe dovuto affrontare il giudizio e nel contraddittorio tra le parti contestarla. D’altronde nell’appello non sostiene la mancata ricezione dell’atto, ma si incentra sulla mancanza, a suo dire, di prova al riguardo.
La corte ha poi ritenuto congrua la pena inflitta, in considerazione della reiterazione nel tempo dell’omesso versamento e della consistenza dell’importo delle somme trattenute, rilevando che la dichiarazione di fallimento non e’ un elemento di valutazione significativa, poiche’ dalla documentazione prodotta dalla difesa non emergono le cause del dissesto finanziario, che possono quindi anche ricondursi a una cattiva gestione aziendale dell’imputato.
Contro la sentenza ha presentato ricorso l’imputato a mezzo del difensore, proponendo due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione del combinato disposto dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, articolo 148 ss. c.p.p. e Decreto Legislativo n. 211 del 1994, articolo 1. Osserva il ricorrente che la corte ha richiamato S.U. 18 gennaio 2012 n. 1855 evincendone che l’avviso dell’ente ad effettuare il pagamento entro tre mesi non configura condizione di procedibilita’ bensi’ prevede la possibilita’ della non punibilita’ per reato gia’ perfezionatosi nel momento in cui scade il termine utile per il versamento. Il pagamento nei tre mesi e’ una condotta ripristinatoria del danno subito dall’ente pubblico che la norma intende favorire. Tale giurisprudenza insegna che per avere la certezza che l’imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilita’ il giudice di merito e prima di lui il pubblico ministero hanno l’onere di verificare, in caso di mancata notifica dell’accertamento, se in sede giudiziaria l’imputato sia stato raggiunto da un atto di contenuto equivalente all’avviso dell’ente previdenziale. La corte, nel caso in esame, ha attribuito rilevanza equivalente all’attestazione dell’ente previdenziale dell’avvenuto compimento di tale formalita’, censurando l’imputato di non averne contestato l’attendibilita’ nel giudizio ordinario, praticamente sottraendosi a tale onere con il rito abbreviato. Cio’ costituisce violazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite. Il rito abbreviato non altera le regole del contraddittorio con la parte pubblica del processo che aveva l’onere di fornire la prova documentale di quanto asserito dall’Inps nella sua denuncia del 26 giugno 2006, consentendo il corretto esercizio del diritto di difesa al denunciato. L’imputato avrebbe dovuto essere prosciolto ex articolo 530 c.p.p., comma 2, visto anche il contenuto della nota del 5 settembre del 2006 dell’Inps alla Procura della Repubblica di Teramo sui procedimenti in corso tra cui quello in esame, che rende insufficiente l’asserto della sentenza secondo cui l’imputato non avrebbe contestato la ricezione dell’avviso lamentandosi solo della mancanza di tale prova, essendo comunque un atto ricettizio.
Il secondo motivo denuncia vizio motivazionale sulla congruita’ della pena, ritenuta sussistente “in considerazione della reiterazione nel tempo dell’omesso versamento e della – consistenza dell’importo delle somme trattenute”. Secondo la corte il fallimento non e’ elemento di valutazione significativo perche’ dalla documentazione prodotta dalla difesa non si evincono le cause del dissesto finanziario, per cui non puo’ escludersi che queste fossero riconducibili all’imputato. La corte pero’ non ha considerato che in tal caso il ricorrente sarebbe stato sottoposto a diverso procedimento ex articoli 223 e ss., L.F. L’insolvenza, poi, non e’ dipesa da abusi dell’amministratore bensi’ dalla crisi generale economica, come risulta dalla sentenza dichiarativa di fallimento prodotta. Le risultanze processuali avrebbero percio’ consentito una pena in misura prossima al minimo edittale: in conclusione il ricorrente chiede la riduzione della pena in tale minimo confermando la sospensione condizionale gia’ concessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ fondato.
Il primo motivo attiene alla questione della mancata notificazione all’imputato dell’avviso da parte dell’Inps dell’accertamento da cui e’ sorta la contestazione del reato, questione che era stata oggetto di eccezione da parte del ricorrente e che e’ stata esaminata, come sopra si e’ visto, nell’impugnata sentenza.
Centro della soluzione, effettivamente, non puo’ che essere il recente arresto delle Sezioni Unite, che nella sentenza 24 novembre 2011-18 gennaio 2012 n. 1855 hanno affermato il seguente principio: “In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilita’ del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio e’ equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilita’.” Cio’ in relazione al fatto, evidenziato anche dalla corte territoriale, che entro i tre mesi successivi alla contestazione della violazione (cioe’, dalla notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Inps o, per equivalente, dalla notifica del decreto di citazione a giudizio dotato dei requisiti identificati dalle Sezioni Unite per conferirgli la fungibilita’ rispetto all’avviso di accertamento) il destinatario della stessa puo’ adempiere, “disinnescando” il reato gia’ consumato nel momento in cui scadeva il termine per il versamento e avvalendosi di una sopravvenuta causa di non punibilita’. Ne consegue, allora, che, per provare (e infatti e’ stato correttamente invocato l’articolo 530 c.p.p., comma 2) non la sussistenza (l’azione penale e’ comunque esercitarle) bensi’ la concreta rilevanza penale in termini di punibilita’ del reato de quo occorre dimostrare il decorso dei tre mesi dalla messa in condizione di potenziale esercizio della facolta’ di adempimento, vale a dire la decorrenza di tale periodo intercorsa dalla notifica dei suddetti atti fungibili. L’onere della prova, secondo i principi generali, e’ proprio della pubblica accusa, come condivisibilmente prospetta il motivo in esame: non spetta quindi all’imputato che lo eccepisce dimostrare (prova negativa, per di piu’, cioe’ sul piano logico probatio diabolica) di non aver fruito della causa di non punibilita’. La pronuncia delle Sezioni Unite, peraltro, tenuto conto della particolarita’ della fattispecie disegna una sequenza di obblighi di verifica, tale da non confinare questa a compito del PM: in primo luogo l’obbligo di verifica della regolarita’ della contestazione e della notifica dell’accertamento compete all’ente previdenziale; in secondo luogo sussiste appunto l’obbligo del pubblico ministero di verificare che l’indagato sia stato posto concretamente nella condizione di esercitare la facolta’ di fruire della causa di non punibilita’; da ultimo spetta al giudice di entrambi i gradi di merito verificare la condizione di fruizione. La verifica ha per oggetto che l’imputato sia stato raggiunto da un atto di contenuto equipollente all’avviso dell’ente previdenziale. Se la verifica e’ obbligo dell’ente previdenziale, la prova dell’adempimento dell’obbligo, secondo i principi generali, non puo’ individuarsi in una mera e generica “attestazione” – rectius asserzione – da parte dell’Inps di avere inviato la comunicazione della violazione con raccomandata senza produzione della ricevuta di ritorno, come ritiene invece la corte territoriale. Ne’ tanto meno e’ condivisibile la valutazione della corte che l’imputato, lamentando la mancanza della prova dell’avviso, non avrebbe contestato la ricezione di questo, giacche’ in tal guisa si interpreta il contenuto dell’eccezione in modo illogico e sofistico. Risulta pertanto fondato il motivo in esame, con conseguente assorbimento del secondo motivo e annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello dell’Aquila.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello dell’Aquila.
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