Corte di Cassazione sentenza n. 31493 del 02 agosto 2012
RAPPORTO DI LAVORO – TRUFFA – DENUNCIA RELATIVA A FITTIZI RAPPORTI DI LAVORO IN AGRICOLTURA – FINTO BRACCIANTE – RICHIESTA DISOCCUPAZIONE ALL’INPS
massima
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Integra il reato di truffa aggravata e non l’ipotesi di illecito amministrativo di cui agli artt. 115 e 116 del R.D.L. 1827/1935 il fatto di chi, mediante dichiarazioni false, indebitamente ottenga prestazioni erogate da istituti previdenziali o assistenziali, così indotti in errore.
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RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Palmi, con sentenza in data 16.12.2009, dichiarava C.M.T. responsabile del reato di truffa, di cui all’art. 640, cpv., n. 1, c.p., per avere presentato, in concorso con C.N. – datore di lavoro separatamente giudicato – ai competenti uffici, la denuncia relativa a fittizi rapporti di lavoro in agricoltura, ai fine di indurre in errore l’INPS e conseguire l’ingiusto profitto relativo ad indebite prestazioni assistenziali e previdenziali, per gli anni 2003 e 2004. Il Tribunale condannava l’imputata alla pena – condizionalmente sospesa – pari ad anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa.
2. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 23.11.2011, in parziale riforma della richiamata sentenza del Tribunale di Palmi, dichiarava non doversi procedere nei confronti della prevenuta, in ordine al reato ascrittole, limitatamente alla richiesta di prestazioni avanzata per l’anno 2003, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione. La Corte territoriale, concesse le attenuanti generiche in ragione dell’incensuratezza, rideterminata la pena in mesi cinque di reclusione ed € 600 di multa, confermava nel resto la sentenza di primo grado. Il Collegio evidenziava che C.M.T. aveva presentato domanda di disoccupazione agricola in data 31 marzo 2004 per l’anno 2003 ed in data 31 maggio 2005 per l’anno 2004; e che dai registri di impresa allegati alle predette domande figurava che la predetta aveva lavorato in terreni siti nel comune di Varapodio per 102 giornate, dal 21 agosto al 31 dicembre 2003; e successivamente dal 23 agosto al 31 dicembre 2004, per ulteriori 102 giornate. La Corte territoriale considerava che, sulla scorta della espletata istruttoria dibattimentale, il Tribunale aveva accertato che in realtà negli anni 2003 e 2004 non vi era disponibilità dei fondi nel comune di Varapodio e che comunque in quegli anni gli stessi non risultavano coltivati.
3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.M.T., per mezzo del difensore.
Con il primo motivo l’esponente deduce la violazione di legge, in riferimento all’art. 640 c.p.; agli artt. 115 e 116 R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827, 23, Legge 4 aprile 1952, n. 218 e 82 D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797. La parte assume che non sussista alcun artificio, avendo l’imputata presentato la domanda di che trattasi senza nascondere la verità dei fatti; ed osserva di non avere raggiunto lo scopo per il quale l’istanza era stata avanzata. Osserva che la fattispecie è disciplinata dalle leggi speciali sopra richiamate, di talché non è ipotizzabile nella semplice richiesta dell’indennità di disoccupazione basata su false dichiarazioni dell’interessato il reato di truffa aggravata.
Con il secondo motivo la parte deduce il vizio motivazionale. Rileva di avere prodotto, nel giudizio di appello, sentenze di assoluzione emesse nei confronti di altri lavoratori ed anche del supposto datore di lavoro della C., chiamati a rispondere di truffe aggravate ai danni dell’INPS, in relazione a fittizi rapporti di lavoro intercorsi con la cooperativa agricola A.; e considera che la Corte di Appello ha ritenuto dette pronunce prive di valore probatorio.
Con il terzo motivo, l’esponente si duole del trattamento sanzionatone Al riguardo, evidenzia che l’imputata deve rispondere, eventualmente, di tentativo, fattispecie che implica una riduzione di pena; osserva che lo stato di incensuratezza della prevenuta giustifica la concessione della attenuanti generiche; e ritiene che la pena inflitta sia superiore a quella dovuta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4, Il ricorso è inammissibile, per la ragioni di seguito esposte.
4.1 La doglianza affidata al primo motivo di ricorso è manifestamente infondata.
Giova, al riguardo, evidenziare che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che integra il reato di truffa aggravata, e non la violazione amministrativa prevista dall’art. 116 R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827, il fatto di chi, mediante false denunce aziendali, ottenga l’erogazione di prestazioni previdenziali non dovute (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza n. 14479 del 18.02.2011, dep. 11.04.2011, Rv. 250127, in motivazione). E preme pure considerare che la Corte regolatrice ha chiarito che la produzione di dichiarazioni false, volta al conseguimento di erogazioni pubbliche, costituisce il “quid pluris” richiesto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 640, c.p., per la sussistenza dell’illecito penale, in luogo di quello previsto dalle norme speciali di cui agli artt. 115 e 116, r.d.l. n. 1827/1935 (Cass. Sez. 2, sentenza n. 30682 del 6.06.2006, dep. 15.09.2006, Rv. 234857).
Tanto ritenuto, deve poi osservarsi che parte ricorrente, laddove esclude la sussistenza di alcun artificio posto in essere dalla prevenuta, propone, in realtà, una lettura alternativa del materiale probatorio, che risulta inammissibile in sede di legittimità. Si è da tempo chiarito, infatti, che “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945); e che non sono consentite censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la Corte di Appello di Reggio Calabria, nel censire i motivi di doglianza dedotti dalla parte appellante, ha evidenziato che risultava accertata la falsità del rapporto di lavoro; e che si era raggiunta la piena prova della riconducibilità della condotta truffaldina alla C.
4.2 II secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di Appello, con motivazione di ordine dirimente, ha considerato che le sentenze allegate dalla difesa erano prive di ogni valore probatorio, giacché si trattava di decisioni non irrevocabili; oltre a ciò, e, il Collegio ha sottolineato che le predette sentenze riguardavano soggetti diversi dalla odierna imputata.
Orbene, le considerazioni svolte dalla Corte territoriale si collocano nell’alveo dell’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, circa i limiti dell’utilizzabilità, nel giudizio penale, di sentenze rese nell’ambito di distinti procedimenti, non ancora passate in giudicato. Sul punto, giova considerare che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che le sentenze pronunciate in distinti procedimenti penali, non ancora divenute irrevocabili, pur legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento, possono essere utilizzate come prova, limitatamente all’esistenza della decisione e alle vicende in esse rappresentate e non già ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti (Cass. Sez. U. Sentenza n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Rv. 231677).
4.3 II terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile.
Si osserva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto concerne la dosimetria della pena. E’ appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la cd. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La Corte territoriale ha, infatti, rilevato che la prevenuta risultava meritevole delle attenuanti generiche ed ha rideterminato la pena originariamente inflitta. Deve pure considerarsi che i giudici del gravame hanno ritenuto sussistente il delitto di truffa in fattispecie tentata, secondo i termini dell’imputazione riportata in sentenza; e che il trattamento sanzionatolo risulta coerente rispetto ai limiti della diminuzione di-pena, di cui all’art. 56 c.p.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
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