Corte di Cassazione sentenza n. 3160 del 9 febbraio 2011
ICI – CATEGORIA CATASTALE «D» – FABBRICATI POSSEDUTI DA IMPRESE – RIMBORSO – ECCEDENZA VERSATA – CONTRASTO – ISCRIZIONI CONTABILI – CALCOLO – IMPONIBILE – LIMITI
massima
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Per i fabbricati diversi da quelli indicati dall’art. 9, comma 3, non iscritti in catasto, e per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti la determinazione della base imponibile deve essere effettuata avuto riguardo alla rendita catastale a prescindere dalla data di attribuzione e/o di comunicazione della medesima.
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Svolgimento del processo
Con ricorso notificato alla s.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena, il Comune di Pomigliano d’Arco (NA) premesso che con “domanda” del 20 novembre 2001 detta Banca aveva chiesto il rimborso dell’ICI relativa all’anno 1998 adducendo di averla versata “in base ai coefficienti presuntivi secondo il disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3” anzi che in base alla “rendita” attribuita e mai ad essa notificata -, in forza di due motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 161/20/04 (depositata il 27 maggio 2004) con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva respinto il suo appello avverso la decisione (618/17/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva recepito il ricorso della contribuente. Nel proprio controricorso la Banca intimata instava per la reiezione dell’impugnazione.
Il Comune depositava memoria ex art. 378 c.p.c.. Con ordinanza interlocutoria depositata il 9 aprile 2010 la sezione tributaria della Corte disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della causa a queste sezioni unite avendo ravvisato un contrasto nella giurisprudenza della sezione in ordine all’oggetto della controversia.
Il Comune depositava ulteriore memoria ex art. 378 detto.
Motivi della decisione
p.1. La sentenza impugnata.
La Commissione Tributaria Regionale ha disatteso l’appello del Comune affermando:
– “la data di attribuzione della rendita, indipendentemente da quella in cui sia avvenuta, ad opera degli Uffici del Territorio, la cosiddetta messa in atti, coincide con la data di presentazione da parte del contribuente della denunzia di variazione”: “diversamente opinando, poichè la data di messa in atti da parte dell’UTE non soggiace ad alcun termine, perentorio o ordinatorio, il danno per il contribuente sarebbe del tutto ingiustificato derivando da ritardi operativi degli uffici nel provvedere a detta messa in atti”;
– la “L. n. 342 del 2000, art. 14”, detta “un criterio generale non prevedendo alcuna esclusione che non troverebbe giustificazione perchè contrasterebbe con i principi della logicità della norma stessa ove dovesse riconoscersi una diversa data di attribuzione della rendita a seconda dell’appartenenza dell’immobile ad una, determinata categoria piuttosto che ad un’ altra”. p.2. Il ricorso del comune.
L’ente impugna la decisione per due motivi.
A. Con il primo il ricorrente denunzia “violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3”, “violazione e falsa applicazione” dell'”art. 7″ (recte: 74) “L. n. 342 del 2000”, nonchè “violazione art. (non indicato) Cost.” esponendo:
– dall’art. 3 “emerge che, per i fabbricati… classificabili nel gruppo catastale D, in assenza di attribuzione di rendita, l’ICI è determinata sulla base dei coefficienti presuntivi individuati” nella stessa norma per cui nel caso, “non essendo stata attribuita alcuna rendita catastale all’immobile”, esso Comune ha “correttamente calcolato l’ICI 1998 sulla base degli indici presuntivi” detti;
– il “disposto” della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, “non trova applicazione nel caso di specie” essendo esso entrato “in vigore il 10 dicembre 2000 e, non avendo efficacia retroattiva, non può… influire sul previgente sistema della messa in atti delle rendite”.
B. Con il secondo (ed ultimo) motivo il Comune – assunto avere “evidenziato, in sede di appello, che la circolare ministeriale… non avendo valore di legge, non poteva… derogare alla normativa generale, nè… attribuire portata retroattiva alle norme di cui alla L. n. 342 del 2000”, nonchè “chiarito”, “in entrambi i gradi di giudizio”, che “la portata delle disposizioni recate dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, non poteva essere svuotata dall’applicazione della… circolare” stessa – denunzia “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” deducendo:
– “la Commissione Tributaria Regionale, ignorando quanto sopra, ha… riportato, pedissequamente, le motivazioni del primo giudice senza superare in alcuna maniera le specifiche censure di esso appellante”;
– “ciò che si contesta non è l’applicabilità… della previsione recata dalla L. n. 342 del 2000, art. 14, quanto… che siffatta previsione è applicabile soltanto a partire dalla entrata in vigore della stessa e non… per i tributi da versare per i periodi precedenti”. p.3. L’ordinanza n. 8486 depositata il 9 aprile 2010 dalla sezione tributaria.
La sezione – premesso che “la controversia ha per oggetto l’impugnazione” proposta dalla società “avverso il silenzio – rifiuto del Comune… in ordine all’istanza di rimborso delle somme versate, a titolo di ICI negli anni dal 1994 al 1999, per un fabbricato di categoria D”, corri sposta “assumendo quale parametro il valore contabile, sul presupposto che l’immobile fosse sprovvisto di rendita catastale, mentre da successive verifiche era emerso che il 10 dicembre 1999 era stata messa in atti la rendita attribuita dall’UTE…, a seguito di variazione di ufficio, già dal 22 aprile 1994”, ritenendo essa “contribuente di avere diritto a vedere calcolata l’ICI sulla base della rendita così come attribuita fin dal 1994, ed al rimborso di quanto, nelle more, pagato in eccedenza” – rileva che “sulla questione oggetto del ricorso sussiste contrasto nella giurisprudenza” di essa sezione in ordine alla “norma di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3”, (la quale “regola la determinazione della rendita di fabbricati posseduti da imprese secondo valori contabili dei soli immobili non iscritti in catasto, ma precisa che la determinazione dell’imponibile riferita al costo contabile va eseguita, relativamente a tali fabbricati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendità con riferimento alla data di inizio di ciascun anno solare, ovvero, se successiva, alla data di acquisizione (in questo senso:
Cass. n. 12271/2004; 24235/2004, nonchè da ultimo e motivata con riguardo alla sopravvenuta Corte cost. n. 67/06, Cass. n. 27062/08)”) perchè:
– “secondo la giurisprudenza sopra richiamata, il riferimento all’attribuzione della rendita contenuto nel citato art. 5, comma 3, evita che si possa valutare isolatamente la circostanza del solo accatastamento senza attribuzione di rendita, quando si tratti, come nella specie, di immobili speciali, cui non si attaglia il regine ordinario di cui al successivo art. 5, comma 4; gli immobili del gruppo D rientrano infatti nel regime ordinario ICI soltanto dopo che sia loro attribuita la rendita”;
– “varie sentenze, anche successive, della… medesima Sezione (Cass. 10969/09: 15764/08; 11391/07; 6255/07) ed ordinanze deliberate in camera di consiglio (5376, 5377 e 5378/09) hanno, invece, ribadito che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale a tali immobili, ha natura dichiarativa e non costitutiva, con possibilità di efficacia retroattiva e di applicazione ai periodi precedenti a detta attribuzione, fino all’epoca della presentazione dell’istanza di accatastamento”.
Per la sezione, “secondo il primo orientamento, la rendita catastale può essere utilizzata, in forza della L. n. 342 del 2000, art. 74, soltanto dall’annualità in cui avviene la notificazione dell’atto di attribuzione della rendita medesima (Cass. n. 3233/05), dovendosi riconoscere carattere costitutivo a detta attribuzione; mentre l’aggiornamento, in più o in meno, delle rendite degli anni pregressi, riguarderebbe i soli casi di variazione di rendite già attribuite (cfr. Cass. 5109/2005; 11162/2005; 16701/2007), rispetto alle quali non sembrerebbe controverso l’aggiornamento abbia valore ricognitivo – dichiarativo” mentre “in base al secondo orientamento, l’espressione attribuzione di rendita di cui al citalo D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, deve intendersi nel senso che l’efficacia dell’atto coincide con l’istanza di accatastamento o variazione, che ha dato inizio al procedimento di attribuzione, non già con la materiale e finale annotazione dell’esito della procedura (c.d. messa in atti)”;
tale “assunto si fonda su varie argomentazioni…”:
(1) “l’attribuzione della rendita procede dalla denuncia di accatastamento e si fonda su tali dati, quindi è riferibile allo stato dell’immobile in quel momento storico”;
(2) “il contribuente assolve al proprio onere con la denuncia all’Ufficio del territorio ed il tempo che l’Ufficio impiega per svolgere i propri compiti non può andare a vantaggio o detrimento dell’uno o dell’altro soggetto d’imposta, attivo e passivo”;
(3) “il conguaglio è positivo o negativo tra la rendita definitiva e quella provvisoria anteriormente versata dal contribuente previsto per gli altri immobili dal combinato disposto di cui all’art. 5, comma 4, ed art. 11, comma 1, vigenti ratione temporis, e non vi sarebbe motivo per ritenere una disciplina diversa per gli immobili del gruppo D, in quanto il sistema delineato dal legislatore sarebbe sostanzialmente simile”.
La remittente ricorda, ancora, che “sulla ratio della diposizione contenuta nel citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, si è pronunziata – ritenendola giustificata – la Corte Costituzionale nella sentenza n. 67 del 2006, nella quale si è posto in evidenza come i fabbricati soggetti ad ICI e classificabili in gruppi catastali diversi dal gruppo D, in quanto a destinazione ordinaria, sono ordinati in catasto per tariffe d’estimo, con la conseguenza che, in attesa dell’attribuzione della rendita, la loro base imponibile è agevolmente determinabile in relazione alla rendita presunta deducibile da fabbricati similari già iscritti in catasto (come previsto dal citato art. 5, comma 4). Viceversa i fabbricati del gruppo catastale D sono, per le loro caratteristiche funzionali e tipologiche, “a destinazione speciale “, e sono, quindi, ordinati per rendita catastale ottenuta con stima diretta (D.P.R. n. 604 del 1973, art. 7, comma 1), con la conseguenza che, in mancanza di tale stima, il legislatore ha preferito il criterio già sperimentato in tema di imposta straordinaria sugli immobili (ISI) – del costo rivalutato rilevabile dalle scritture contabili, in luogo di quello basato sulla rendita presunta, di più difficile applicazione riguardo a tali immobili. Un metodo, invece, obbligatorio riguardo ai fabbricati non posseduti da imprese, mancando un obbligo di tenuta delle scritture contabili a carico del possessore”.
La sezione osserva, infine, che, “essendosi riproposto anche dopo di essa il richiamato contrasto…”, “dovrà verificarsi se detta pronuncia della Corte costituzionale sia dirimente in ordine alla questione del carattere costitutivo o dichiarativo dell’atto di attribuzione di rendita in relazione ai fabbricati di cui alla categoria D”. p.4. La risoluzione del contrasto.
A. La divergenza interpretativa che queste sezioni unite sono chiamate a comporre, come emerge dalla riprodotta ordinanza della sezione tributaria, investe, in via principale, il disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, secondo il quale (limitatamente a quanto qui interessa) “per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con giusta rettifica in Gazz. Uff. n. 101 del 14 gennaio 1993) attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, applicando i… coefficienti” previsti dalla norma stessa (ovverosia con il criterio contabile, detto, comunemente, “valore di libro”).
La diversità di interpretazione emersa in giurisprudenza, in particolare, riguarda la individuazione dell'”anno” in cui deve ritenersi verificato il presupposto legislativo che impone di considerare, non più il “valore di libro”, ma il valore catastale attribuito all’immobile della categoria detta:
nell’una tesi, infatti, si è affermato che l'”anno” deve identificarsi in quello nel quale il titolare del diritto sul fabbricato ha chiesto all’Ufficio competente di attribuire all’immobile la rendita catastale propria e, per l’altra, nel diverso (se successivo) anno in cui tale rendita sia stata effettivamente attribuita, con l’ulteriore distinzione data dalla sufficienza della sola attribuzione (c.d. “messa in atti”) ovvero dalla necessità di tener conto della notifica dell’attribuzione al contribuente, eventualmente operata in anno ancora diverso da quello dell’attribuzione.
B. Il contrasto va risolto affermando il principio di diritto (conforme a quello già enunciato da Cass., trib.: 17 giugno 2005 n. 13077; 16 marzo 2007 n. 6255; 15 maggio 2007 n. 11139; 11 marzo 2010 n. 5933) secondo cui “in tema di ICI e con riferimento alla base imponibile dei fabbricati non iscritti in catasto, posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, ha previsto, fino alla attribuzione della rendita catastale, un metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili valido fino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata” dal contribuente:
“dal momento in cui fa la richiesta egli”, invece, “pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile”, “diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può avere il dovere di pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tal senso) o può avere il diritto a pagare una somma minore ed a chiedere il relativo rimborso nei termini di legge”.
C. In via preliminare va ricordato:
(a) che con la L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4, (contenente “delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di… finanza territoriale”) – in forza del quale (giusta il “preambolo”) il “Governo” ha emanato il D.Lgs. 33 dicembre 1992, n. 504, (“riordino della finanza degli enti territoriali” proprio “a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4″), istitutivo (art. 1) dell'” imposta comunale sugli immobili” (ICI) – il legislatore delegante ha prescritto al delegato:
(1) con il n. 1, di tener conto del “valore” degli immobili soggetti all’imposta comunale da istituire, e (2) con il n. 3, di fissare la “determinazione del valore dei fabbricati sulla base degli estimi del catasto edilizio o valore comparativo in caso di non avvenuta iscrizione”;
(b) che con la sentenza n. 67 del 24 febbraio 2006 la Corte Costituzionale ha escluso la irragionevolezza (“non è irragionevole”) del “criterio di calcolo dell’ICI… basato sul valore dei fabbricati risultante dalle scritture contabili dell’imprenditore” (“cioè sul costo di acquisto, aumentato degli eventuali costi incrementativi”), nonchè negato “maneppure comporta”) che tale criterio comporti “un tributo necessariamente maggiore di quello calcolato in base alla rendita catastale effettiva o presunta degli stessi fabbricati”.
Di conseguenza deve ritenersi definitivamente acquisito che il “criterio di calcolo dell’ICI… basato sul valore dei fabbricali risultante dalle scritture contabili dell’imprenditore” costituisce, per i fabbricati considerati nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, un “criterio di calcolo dell’ICI” autonomo rispetto a quello (da adottare, invece, per i “fabbricati iscritti in catasto”) che assume a parametro di riferimento l'”ammontare delle rendite risultanti in catasto” o (specificamente “per i fabbricati, diversi indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti,..”) che impone di far riferimento (in via provvisoria) alla rendita di “fabbricati similari già iscritti”, e, soprattutto, definitivo, nel senso (Cass., trib., 29 ottobre 2010 n. 21123) della immodificabilità di quel “criterio” (contabile) almeno per i periodi di imposta antecedenti (oppure, fino) all’anno di presentazione della richiesta di attribuzione della rendita catastale.
D. La corretta risoluzione della divergenza giurisprudenziale impone, poi, di tener conto, a fini ermenutici, del pregnante valore dei precetti contenuti nel comma 1, sia dell’art. 53 Cost. (“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”) che dell’art. 3 Cost. (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione”), il rispetto dei quali esige che si adotti sempre, tra le possibili, una soluzione interpretativa che non sia in contrasto con il dettato costituzionale.
D.1. Per la prima di dette norme, la “capacità contributiva” (quale concretamente individuata, per ciascuna imposta, dal legislatore ordinario, con scelte il giudizio relativo alle quali è rimesso alla corte delle leggi non irrazionali) deve costituire l’unico parametro di riferimento effettivo; il suo senso concreto, quindi, impone di escludere qualsiasi interpretazione da cui possa derivare la soggezione del contribuente ad un prelievo fiscale maggiore o minore di (comunque diverso da) quello effettivamente voluto dal legislatore: “la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese”, infatti, “esige” (Corte Cost., ordinanza 28 novembre 2008 n. 394) “… l’aggettivo e ragionevole collegamento del tributo a un effettivo indice di ricchezza”.
D.2. L’eguaglianza tutelata dall’altra disposizione, poi, non consente di operare una interpretazione dalla quale discenda una regolamentazione diversa di situazioni giuridiche identiche.
E. La portata precettiva di dette disposizioni costituzionali legittima solo il percorso interpretativo per il quale, ai fini dell’ICI, gli effetti dell’attribuzione cella rendita catastale ad un immobile classificato nel “gruppo catastale D” debbono decorrere dalla data di richiesta di accatastamento e non dalla successiva di “messa in atti” o di notificazione al contribuente della rendita attribuita.
E.1. In base al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, per i “fabbricati classificabili nel gruppo catastale D”, il criterio “contabile” deve essere applicato “fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita”: per la norma, quindi, l’iscrizione in catasto di detti “fabbricati” determina, ipso jure, il passaggio dal criterio (di determinazione del valore) “contabile” a quello “catastale”.
L’attribuzione della rendita, pertanto, fa sorgere (in capo ad entrambi i soggetti del rapporto obbligazionario) il diritto-dovere di determinare (e, quindi, corrispondere) l’imposta sulla (sola) “base imponibile” individuata, come per tutti i “fabbricati iscritti in catasto”, ai sensi del art. 5, comma 2.
Nonostante l’indubbia influenza del tenore testuale (“fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita”), la lettura della norma nel senso della individuazione, in quello di attribuzione della rendita e/o di notifica della stessa, dell'”anno” sino al quale (giuridicamente) si deve applicare (in via definitiva) il criterio contabile di cui all’art. 5, comma 3, (e, di converso, in quello successivo l'”anno” dal quale l’imposta, per il medesimo art. 5, comma 2, deve essere calcolata sulla base della “rendita catastale”), giusta i parametri costituzionali evocati all’inizio, non è condivisibile.
Quella lettura, infatti, fa dipendere il momento del passaggio dall’uno all’altro criterio di imposizione da quello in cui il fatto (attribuzione della rendita e sua “messa in atti” e/o notifica) è posto in essere da un terzo (l’ufficio competente), al quale finisce per riconoscere il potere di vanificare, quand’anche solo per il tempo (comunque necessario per l’adozione del provvedimento, quindi a prescindere anche da ritardi abnormi ed ingiustificati) intercorrente tra la domanda di accatastamento e la “messa in atti” e/o la notifica della rendita attribuita, la legittima ed insindacabile scelta del contribuente a che la “base imponibile” dell’imposta comunale dovuta sul suo fabbricato classificato “nel gruppo catastale D” sia determinata in forza del dettato di cui all’art. 5, comma 2, e, quindi, in definitiva, coonesta l’applicazione (in via definitiva) del criterio impositivo c.d. del “valore di libro” diverso da quello voluto dal legislatore.
E.2. Ciò detto, è tuttavia necessario soffermarsi sul disposto della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, secondo il quale “a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita”.
Tenuto conto dell’art. 3 Cost., invero, l’espressione “sono efficaci solo da decorrere dalla loro notificazione” va intesa nel senso che la notifica degli atti attributivi è soltanto condizione della loro efficacia: la valenza semantica, oltre che tecnico giuridica, dell’aggettivo “efficaci”, invero, non consente di inferire nessuna volontà legislativa di attribuire alla notifica, “ai soggetti intestatari della partita”, del provvedimento attributivo della rendita una qualche forza costitutiva (una efficacia, cioè, ex nunc) e non (quale portato naturale proprio del provvedimento di attribuzione della rendita) meramente accertativa della concreta situazione “catastale” dell’immobile: il successivo inciso ” solo a decorrere dalla loro notificazione” indica inequivocamente l’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita se non notificata ma non esclude affatto la utilizzabilità della rendita (una volta) notificata a fini impositivi anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.
Si consideri, in proposito, che sino al momento della loro abrogazione – disposta dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 173, lett. a), -, quindi sino al 31 dicembre 2006, vigevano:
– il D.Lgs. ICI, art. 5, comma 4, secondo cui “per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti, anche se dovute ad accorpamento di più unità immobiliari, che influiscono sull’ammontare della rendita catastale, il valore è determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti” e l’art. 11, comma 1, del medesimo D.Lgs., il quale – dopo aver disposto che ” se la dichiarazione è relativa ai fabbricati indicati nell’art. 5, comma 4, il comune trasmette copia della dichiarazione all’ufficio tecnico erariale competente il quale, entro un anno, provvede alla attribuzione della rendita, dandone comunicazione al contribuente e al comune” – reca (va) il seguente inciso: “entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione, il comune provvede, sulla base della rendita attribuita, alla liquidazione della maggiore imposta dovuta senza applicazione di sanzioni, maggiorata degli interessi nella misura indicata nell’art. 14, comma 5, ovvero dispone il rimborso delle somme versate in eccedenza, maggiorate degli interessi computati nella predetta misura…”.
Dalla logica combinazione di tali norme non può non evincersi (atteso che l’eventuale opinione contraria finirebbe per elidere del tutto la valenza della ultimo disposto normativo in ordine all’obbligo del comune di provvedere “alla liquidazione della maggiore imposta dovuta” od al “rimborso delle somme versate in eccedenza”) (1) che il “valore… determinato con riferimento alta rendita dei fabbricati similari già iscritti” produce effetti meramente provvisori (cioè fino alla “comunicazione” della “rendita attribuita”) e, soprattutto, (2) che la comunicazione di attribuzione della rendita impone alle parti del rapporto tributario concernente l’ICI (pure nel vigore dell’art. 74 detto) di determinare l’imposta effettivamente dovuta, anche per le annualità pregresse, in base alla “rendita attribuita” (intesa per tale, naturalmente, quella divenuta comunque definitiva, o per mancata impugnazione o per conclusione dell’eventuale giudizio di impugnazione).
L’inciso dell’art. 11 detto, quindi, quanto agli immobili ivi considerati, svolge l’evidente funzione di ricondurre ad uniformità il sistema di determinazione dell’imposta perchè prescrive di considerare (in via definitiva) comunque – giusta il principio generale posto dall’art. 5, per il quale comma 1, la “base imponibile dell’imposta è il valore degli immobili”, da determinare comma 2, in relazione all'”ammontare dette rendite risultanti in catasto” – unicamente il “valore”, voluto dal legislatore (anche delegante:
supra, sub B), fissato (stesso art. 5, comma 2) in base all'”ammontare delle rendite risultanti in catasto”: nell’ipotesi regolata, quindi, il legislatore, per i fabbricati “indicati nell’art. 5, comma 4”, considera “rendite risultanti in catasto” quelle attribuite successivamente all’anno d’imposta considerato:
in sintesi, “per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti” la determinazione della “base imponibile” ai fini dell’ICI va sempre definitivamente effettuata sulla base della rendita catastale, a prescindere dall’epoca sia di attribuzione che di comunicazione della stessa.
E.3., La necessità scaturente dagli artt. 3 e 53 Cost., di applicare l’imposta, in via definitiva, in base al parametro impositivo prescelto dal legislatore evidenzia, infine, la fragilità della tesi giurisprudenziale che esclude l’applicabilità, alle annualità di imposta anteriori all’attribuzione, della rendita attribuita ai fabbricati classificati “nel gruppo catastale D”: tale tesi, infatti, è fondata unicamente sul dato testuale del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 4, (“i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto”), ma non considera che quel dato trova la logica della esclusione dei “fabbricati… indicati nel comma 3” non già in una volontà del legislatore di diversificare il trattamento fiscale degli stessi ma solo (cfr. Corte Cost. cit.) nell’impossibilità (perchè la valutazione catastale di quelli è operata con “stima diretta”, quindi, con valutazione di ciascun fabbricato, considerato per le sue peculiarità) di applicare a tali “fabbricati”, anche se in via meramente provvisoria, la “rendita dei fabbricati similari già iscritti” (la cui valutazione catastale è, invece, determinata con criteri di “estimo”). p.5. Le ragioni della decisione.
Dalla piana applicazione alla specie del principio di diritto testè affermato discende l’infondatezza delle doglianze dell’ente impositore, il ricorso del quale deve essere, di conseguenza, respinto. p.6. Le spese processuali.
Il contrasto giurisprudenziale esistente all’interno della sezione tributaria di questa Corte integra le “gravi ed eccezionali ragioni” per le quali l’art. 92 c.p.c., comma 2, consente di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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