Corte di Cassazione sentenza n. 32343 del 10 agosto 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – APPALTO – COMMITTENTI – CANTIERE E TELONE DI COPERTURA NON ADEGUATAMENTE FISSATO – MANCANZA DI SICUREZZA PER I PEDONI
massima
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Vi è la responsabilità del legale rappresentante gestrice del cantiere edile, per colpa dovuta e negligenza, imprudenza ed imperizia, nonchè inosservanza delle norme sulla disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (in particolare art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 547/1955), omettendo di curare che il telone di copertura dei materiali e dei luoghi utilizzati dai lavoratori dipendenti per il compimento delle opere fosse adeguatamente fissato, in modo da rendere sicura la circolazione dei pedoni che transitavano lungo la predetta via. In tal modo, cagionava lesioni personali gravi (consistite in una frattura alla testa dell’omero destro, giudicate guaribili in più di novanta giorni) al lavoratore, che, impegnando a piedi il tratto di strada parzialmente occupato dal citato telone, veniva investita dallo stesso, rimosso dalla sua sede da una forte folata di vento, e di conseguenza cadeva rovinosamente a terra, riportando le suddette lesioni.
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FATTO
Ricorre per cassazione (Omissis) avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma in data 29.4.2011 che, in riforma di quella del Tribunale di Civitavecchia in composizione monocratica in data 8.7.2009 appellata dalla parte civile (Omissis), con la quale la ricorrente era stata assolta dal delitto di cui all’art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3 per non aver commesso il fatto, veniva dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per estinzione del reato ascrittole per intervenuta prescrizione e condannata al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile alla quale veniva altresì assegnata una provvisionale di euro 10.000,00.
In particolare, secondo l’imputazione, alla (Omissis) era contestato di aver, nella sua qualità di legale rappresentante della ” (Omissis) s.r.l”, gestrice del cantiere edile ubicato in (Omissis), per colpa dovuta e negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché inosservanza delle norme sulla disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (in particolare Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, art. 11, comma 3), omettendo di curare che il telone di copertura dei materiali e dei luoghi utilizzati dai lavoratori dipendenti per il compimento delle opere fosse adeguatamente fissato, in modo da rendere sicura la circolazione dei pedoni che transitavano lungo la predetta via, cagionava lesioni personali gravi (consistite in una frattura alla testa dell’omero destro, giudicate guaribili in più di novanta giorni) ad (Omissis), che, impegnando a piedi il tratto di strada parzialmente occupato dal citato telone, veniva investita dallo stesso, rimosso dalla sua sede da una forte folata di vento, e di conseguenza cadeva rovinosamente a terra, riportando le suddette lesioni (in (Omissis)).
La Corte territoriale riteneva a carico della (Omissis), legale rappresentante ed appaltatrice dei lavori oltre che proprietaria dell’immobile ove dovevano essere eseguiti, la posizione di garanzia attesa l’ingerenza nell’esecuzione dell’opera sul presupposto che il contratto di appalto prevedeva che la Direzione dei Lavori venisse affidata ad un tecnico di nomina della committenza, deducendo da ciò che la committenza non aveva affatto perduto la disponibilità del cantiere e non riteneva l’esclusione della sua responsabilità in forza della presenza di un contratto di appalto, atteso il totale stato di abbandono del cantiere e la mancanza di idonei fissaggi per il telone di copertura (come da deposizioni testimoniali e documentazione fotografica) al momento del sinistro avvenuto a pochi giorni dalla stipula del contratto. Ma, ravvisato il decorso del termine prescrizionale previsto per il reato contestato, pronunciava declaratoria d’improcedibilità per estinzione del reato per l’intervenuta causa. La ricorrente deduce l’erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, art. 7, assumendo che nessuna colpa poteva ricadere sul committente dei lavori in appalto (odierna ricorrente) che si era rivolto a ditta in possesso dei requisiti necessari (e nulla era risultato circa le capacità tecniche o assenza dei requisiti della ditta) contestando che alcunché fosse emerso in istruttoria riguardo al mantenimento della disponibilità del cantiere da parte della committenza (come da artt. 5 e 6 del contratto). Il cit. art. 7, comma 2, prevedendo la cooperazione del datore di lavoro nell’attuazione e prevenzione dei rischi incidenti sull’attività lavorativa, non implicava l’obbligo dell’appaltante di intervenire in sostituzione dell’appaltatore in caso di omissioni di quest’ultimo in materia antinfortunistica.
Si duole, altresì, della mancanza e manifesta illogicità della motivazione poiché, attesa l’assenza nel cantiere di altre maestranze, non poteva esservi alcun coordinamento con l’appaltatore che viene ascritto alla committenza; non era vero che il cantiere fosse in stato di abbandono, poiché era, anzi, attivo, come da dichiarazioni teste (Omissis), figlio della parte offesa; il telo protettivo vi era e quindi era presente la misura di prevenzione, ma la cattiva esecuzione del fissaggio non poteva essere addebitata alla committenza che non aveva l’obbligo di presenza sul cantiere e di controllo di ogni attività svolta dall’appaltatore.
Si rappresenta, infine, la mancanza di motivazione in ordine al nesso di causalità e alla responsabilità, rilevando come nessuno dei testi escussi fosse stato in grado di riferire in modo preciso a quale cantiere appartenessero i teloni e si chiede annullamento della sentenza impugnata.
è stata depositata una memoria nell’interesse della parte civile (Omissis) con la quale si contestano le argomentazioni difensive.
DIRITTO
Preliminarmente va rilevato ex officio che, essendo stato proposto appello avverso la sentenza assolutoria di primo grado ad opera della sola parte civile ex art. 576 c.p.p., non era consentito alla Corte di Appello di riformare la sentenza impugnata anche sotto il profilo penale con la declaratoria di improcedibilità per prescrizione del reato contestato. S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla statuizione di estinzione del reato per prescrizione, così ripristinandosi l’originaria statuizione assolutoria per non aver commesso il fatto. Nel merito, il ricorso è sostanzialmente fondato, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili e rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell’art. 622 c.p.p.
E’ vero che il committente è costituito come corresponsabile con l’appaltatore per le violazioni delle misure prevenzionali e protettive sulla base degli obblighi sullo stesso incombenti ex Decreto Legislativo n. 626 del 1994, art. 7 (Cass. pen. Sez. 3, n. 1825 del 4.11.2008, Rv. 242345) e che in materia di infortuni sul lavoro, nel caso di appalto di lavori di ristrutturazione edilizia il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati (Cass. pen. Sez. 4, n. 8589 del 14.1.2008 Rv. 238965). E’ vero, altresì, che l’esistenza di un contratto d’appalto o di un contratto d’opera, non esclude la responsabilità del committente per gli infortuni subiti dal medesimo, atteso che il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica esclusivamente con riguardo ai rischi specifici delle attività proprie dell’appaltatore o del prestatore d’opera (Cass. pen. Sez. 4, n. 12348 del 29.1.2008, Rv. 239252), ma la motivazione addotta dalla sentenza impugnata per ritenere la responsabilità della (Omissis), quale proprietaria dell’immobile e committente dei lavori, risulta ictu oculi insufficiente e generica, dal momento che non consente di comprendere come l’omesso fissaggio del telone s’inserisca nella mancanza di coordinamento di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, art. 7.
Ad ogni modo, non può escludersi la possibilità di integrazione motivatoria sul punto. Si ritiene di demandare al giudice civile anche il regolamento delle spese tra le parti private relativamente al presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione di estinzione del reato per prescrizione così ripristinandosi l’originaria statuizione assolutoria per non aver commesso il fatto.
Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche il regolamento delle spese fra le parti private per questo giudizio.
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