Corte di Cassazione sentenza n. 3243 del 11 febbraio 2013
ACCERTAMENTO – IRPEG – ILOR – SINDACABILITA’ DEI COMPENSI DEGLI AMMINISTRATORI
massima
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Il fisco può sindacare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori delle società, con l’onere della prova contraria a carico del contribuente, ed eventualmente contestare l’abuso del diritto. Sono contestabili i soli casi in cui il carico impositivo gravante sull’amministratore risulti apprezzabilmente inferiore alle imposte “risparmiate” dalla società attraverso la deduzione dei compensi. La sindacabilità della congruità dei compensi in esame può fondarsi anche sul principio della contestabilità degli atti che costituiscono abuso del diritto. Il fisco può sindacare la congruità dei componenti reddituali senza essere vincolati ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti, e con l’onere della prova contraria che incombe sul contribuente. Nel caso di specie, la società non ha “fornito prova dell’esistenza di ragioni economiche giustificative”.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia promossa da Sacif s.r.l. contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla società contribuente contro la sentenza della CTP di Sondrio n. 50/1/2009 che ne aveva respinto accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) per IRPEG ed IRAP relative all’anno 2005. La CTR riteneva legittimo il recupero a tassazione di parte del compenso corrisposto all’Amministratore Unico in quanto costo sproporzionato, non avendo peraltro la contribuente nè dedotto nè fornito prova dell’esistenza di ragioni economiche giustificative.
Il ricorso proposto si articola in due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., chiedendo il rigetto del ricorso.
Il presidente ha fissato l’udienza del 10/1/2013 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con primo motivo (con cui deduce: violazione e comunque falsa applicazione di legge – D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 109 e 95;
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis) la ricorrente censura la decisione della CTR laddove ha riconosciuto all’A.F. il potere di valutare la deducibilità del compenso corrisposto all’A.U.
La censura è infondata. Questa Corte ha affermato (Sez. 5, Sentenza n. 9497 del 11/04/2008), che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti. Ha altresì ripetutamente ritenuto (Sez. 5, Sentenza n. 4554 del 25/02/2010; Sez. 5, Sentenza n. 26480 del 30/12/2010), che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, incombe al contribuente l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986; e che, poiché rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi.
Tali principi non risultano incompatibili con la formulazione dell’art. 95, vigente pro tempore, secondo cui compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’art. 72, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti. Ed invero dall’eliminazione (in sede di redazione del TUIR) del riferimento del limite delle “misure correnti per gli amministratori non soci” consegue solo la liberalizzazione il concetto di spettanza ai fini della deducibilità. Il mancato riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali essi non possano essere deducibili, non confligge con i suesposti principi generali.
D’altro canto è inopponibile all’Amministrazione finanziaria il risultato elusivo ottenuto dalla impresa nel “conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr. Cass. Sez. 5 20/7/2012 n. 12622; Cass. SU 2.1.12.2008 n. 30055).
Di talché va in questa sede riaffermato che la deducibilità ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 62, dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o contratti (conf. Sez. 5, Sentenza n. 13478 del 30/10/2001; Cass. 27 settembre 2000 n. 12813), rientrando nei normali poteri dell’ufficio la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e nella dichiarazione.
Con secondo motivo la ricorrente lamenta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio laddove la CTR, pur dando atto del contrasto giurisprudenziale in materia, ha escluso l’esistenza di obiettive condizioni di incertezza.
La censura è infondata non ravvisandosi nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, né le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Le oscillazioni giurisprudenziali giustificano la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso compensando tra le parti le spese del giudizio.
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