Corte di Cassazione sentenza n. 32748 del 14 agosto 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – LAVORAZIONI CON SFORZI RIPETUTI – OMISSIONE DEI PROVVEDIMENTI NECESSARI A TUTELARE L’INTEGRITA’ FISICA DELLA LAVORATRICE – RESPONSABILITA’ DATORIALE – VALUTAZIONE DEI RISCHI – RESPONSABILITA’ DI UN CONSULENTE ESTERNO
massima
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Vi è la responsabilità del legale rappresentante dell’impresa e del consulente esterno per avere cagionato lesioni personali gravi (nella specie sinovite ipertrofica stenosante dei tendini flessori del 3, 4 e 5 dito della mano destra) a carico del dipendente.
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FATTO
Il PROCURATORE della Repubblica presso il Tribunale di Asti ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in data 21.06.2011, dello stesso Tribunale con la quale (Omissis) è stata assolta dai reati (capi A e B) di cui all’art. 590 c.p. commessi ai danni di (Omissis). Il P.M. aveva disposto la citazione a giudizio di (Omissis), nella qualità di responsabile legale dell’azienda (Omissis) s.n.c, e di (Omissis) quale consulente esterno, per avere cagionato lesioni personali gravi (nella specie sinovite ipertrofica stenosante dei tendini flessori del 3, 4 e 5 dito della mano destra) a carico di (Omissis) insorte nel (Omissis) (capo A) e per avere altresì procurato l’aggravamento delle stesse tra il (Omissis) ed i primi del settembre dello stesso anno (capo B). Il Tribunale premette che, in via preliminare per la (Omissis), veniva chiesta la definizione ex art. 444 c.p.p. con il consenso del P.M., per l’ (Omissis) si procedeva a dibattimento.
Secondo l’impostazione accusatoria la colpa addebitabile agli imputati, con riguardo a quella specifica, era quella di aver violato le norme per l’igiene sul lavoro (Decreto Legislativo n. 626 del 1994, art. 3, comma 1, lett. f) e art. 35, comma 2), anche in relazione all’art. 2087 c.c., per aver consentito che (Omissis) fosse adibita a lavorazioni, come la cernita manuale, il cassettamento, la rifinitura al tavolo e la pulizia, con esposizione a movimenti e sforzi ripetuti senza l’adozione dei provvedimenti necessari a tutelarne l’integrità fisica, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. Analizzando la posizione processuale dell’ (Omissis) il Tribunale rileva che, segnatamente al consulente, si è contestato di avere, su incarico del datore di lavoro, eseguito una erronea valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nelle postazioni, – tra l’altro a causa dell’errata valutazione dei tempi di recupero, e dell’omessa valutazione delle operazioni di pulizia, operazioni sicuramente ad elevato rischio – e perciò di avere omesso di suggerire al datore di lavoro le misure di prevenzione da adottare, affermando tra l’altro la non necessità di interventi migliorativi di riprogettazione del posto di lavoro. Le valutazioni del consulente, che si assume abbiano sottostimato il rischio cui era esposta la lavoratrice, sono espresse in una prima relazione del 2004 cui è seguita altra del (Omissis).
Il Tribunale perveniva alla assoluzione dell’ (Omissis) per entrambe le contestazioni in quanto lo stesso consulente del P.M. ha riconosciuto che nel 2004, all’epoca in cui venne effettuata dall’imputato la prima valutazione del rischio aziendale, il metodo ufficiale OCRA, di cui si avvalse il consulente, non prescriveva ancora di valutare nella stima del rischio anche i lavori di pulizia, cioè quelli cui era stata adibita la (Omissis).
Con riguardo alla posizione della (Omissis), il Tribunale, in applicazione del disposto dell’art. 129 c.p.p., ha ritenuto che non poteva essere emessa la sentenza di applicazione della pena concordata, attesa l’assoluta coincidenza di addebiti mossi all’ (Omissis), da lei incaricato quale consulente esterno.
Ciò premesso, il Procuratore ricorrente denuncia violazione di legge nella specie dell’art. 129 c.p.p. evidenziando che non sussiste quella coincidenza di addebiti rispetto ad (Omissis) in quanto: a) risulta del tutto pacifico che il datore di lavoro non effettuò alcuna valutazione del rischio prima del 2004. mentre la (Omissis) riportò lesioni personali consistenti nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale nel corso dell’anno 2003; b) non avendo fatto la valutazione dei rischi ovviamente il datore non ha redatto e tanto meno attuato un piano di intervento a breve, medio e lungo termine mirato alla riduzione degli indici di rischio idoneo ad evitare la causazione della malattia di che trattasi. Pertanto, da questo punto di vista, non ha alcun rilievo che la valutazione del rischio del 2004 sia stata erronea (come si addebitava all’ (Omissis)) perchè questo fatto è comunque successivo alla verificazione dell’evento.
Dagli atti emerge infine che il datore di lavoro avrebbe potuto attuare le misure di prevenzione (tra cui in particolare la riprogettazione del posto di lavoro) necessarie per impedire l’evento lesivo.
Con memoria depositata nei termini il difensore della (Omissis) rileva la manifesta infondatezza del ricorso del P.M. e chiede che ne venga dichiarata l’inammissibilità.
DIRITTO
Il motivo esposto è infondato sicché il ricorso va rigettato. In fatto è rimasto acquisito che la (Omissis), rivolgendosi ad un consulente esterno, non ha fatto altro che affidarsi alla valutazione dei rischi, effettuata da quest’ultimo, apparsa in un primo tempo erronea per l’omessa valutazione delle attività lavorative cui era adibita la dipendente, ma poi assolutamente corretta alla luce del contenuto riportato dalle tabelle OCRA dell’epoca, vale a dire del 2004, anche se da tale omessa valutazione sono derivate le lesioni alla (Omissis) riscontrate all’inizio del 2006 con aggravamento tra luglio e settembre dello stesso anno.
Orbene, il procuratore ricorrente, in sostanza, non contesta, in riferimento a tale dato fattuale, la sovrapposizione operata dal Tribunale della posizione della (Omissis) con quella dell’ (Omissis), ma ritiene che rimanga una colpa residua a carico dell’imputata in quanto “risulta del tutto pacifico che il datore di lavoro non effettuò alcuna valutazione del rischio prima del 2004, mentre la (Omissis) riportò lesioni personali consistente nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale nel corso dell’anno 2003”.
E rileva poi che non ha alcun rilievo che la valutazione del rischio del 2004 sia erronea perché questo fatto è comunque successivo alla verificazione dell’evento.
Ebbene, basta una superficiale lettura dei capi di imputazione per rendersi conto che il comportamento colposo evidenziato dal P.M. ricorrente non è mai stato contestato alla (Omissis), conseguentemente non sarebbe legittimo, per quanto disposto dall’art. 521 c.p.p., annullare la sentenza e richiedere un nuovo giudizio in ordine ad una contestazione mai effettuata nè formalmente, nè in fatto.
Invero, l’art. 521 c.p.p., al comma 1, consente al giudice di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, ma il capoverso dello stesso articolo impone la trasmissione degli atti al pubblico ministero qualora accerti la diversità del fatto, senza alcuna possibilità di prosciogliere o assolvere da quello originariamente contestato. Rilevata, infatti, la diversità del fatto emerso nel dibattimento, il giudice perde automaticamente la disponibilità del procedimento e, dunque, non può pronunciarsi su quello originariamente contestato: un provvedimento in tal senso sarebbe manifestamente abnorme, precludendo la possibilità dell’inizio di una nuova azione penale. In sostanza, il principio della necessaria correlazione tra il fatto storico contestato e quello ritenuto in sentenza trae il suo fondamento dall’esigenza di tutela del diritto di difesa dell’imputato. Si deve evitare, infatti, che questi possa essere condannato per un fatto in relazione al quale non ha avuto modo di difendersi, presentando esso connotati materiali del tutto difformi da quelli descritti nel decreto che ha disposto il giudizio.
È indirizzo giurisprudenziale, oramai costante, della Suprema Corte quello secondo cui la violazione del principio in parola si concretizza quando vi è mutamento del fatto, determinato da una trasformazione radicale nei suoi elementi essenziali della fattispecie concreta in cui si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire a un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa: ne consegue che la violazione del diritto di difesa, cui presiede la regola in esame, non sussiste quando l’imputato, nel corso del processo, si sia trovato comunque nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (V. da ultimo: Sez. 3, sentenza n. 35225 del 28.06.2007, Rv. 237517, imp. Di Martino; Sez. 6 sentenza n. 8987 del 31.10.2007, Rv. 235924, imp. Cicoria; Sez. 4 sentenza n. 10103 del 15.01.2007, Rv. 226099, imp. Granata; Sez. 6 sentenza n. 34879 del 10.01.2007, Rv. 237415, imp. Sartori; Sez. 3 sentenza n. 818 del 6.12.2005, Rv. 233257, imp. Pavanel).
In buona sostanza, la correlazione tra accusa e decisione non va intesa in senso meccanicistico e formale, si deve ritenere, come prima evidenziato, che vi sia comunque tale correlazione tutte le volte che l’imputato ha avuto un’effettiva possibilità di difesa in ordine a tutte le circostanze rilevanti del fatto, che siano emerse nel giudizio.
Ma nel caso di specie non si tratta tanto di mutamento della contestazione quanto di contestazione aggiuntiva (fatto nuovo di cui all’art. 521 c.p.p., n. 2) mai portata a conoscenza dell’imputata, con evidente lesione del diritto di difesa se si ritenesse contestata come opina il Procuratore ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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