Corte di Cassazione sentenza n. 32749 del 14 agosto 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – APPRENDISTA E MINORE – INFORTUNIO DI UN APPRENDISTA – RESPONSABILITA’ DATORIALE PER AVER PERMESSO L’UTILIZZO DI UN MACCHINARIO INIDONEO
massima
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Vi è la responsabilità del datore di lavoro per infortunio di un dipendente assunto da pochi mesi come apprendista: quest’ultimo, impegnato nell’attività di estrarre dalla macchina “Modulo 200” i pezzi lavorati, cioè i raccoglitori di cartone, a fronte di un inceppamento della macchina stessa, senza arrestarla, aveva infilato la propria mano destra nello spazio di circa 7,5 cm esistente, tra il riparo posto a protezione del punzone ed il sottostante cartone da occhiellare, col che il punzone si era azionato schiacciandogli il secondo dito di detta mano, con conseguente malattia superiore a giorni 40 e indebolimento permanente dell’organo della prensione.
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FATTO
(Omissis) ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in data 18.10.2011, della Corte d’Appello di Torino che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Ivrea il 12.01.2009 in ordine al delitto di cui all’art. 590 c.p. aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante contestata ha diminuito la pena inflitta in primo grado. Secondo la ricostruzione del Tribunale il (Omissis), in (Omissis) presso la stabilimento della (Omissis), di cui il (Omissis) era titolare, il dipendente (Omissis) (assunto da pochi mesi come apprendista), mentre era impegnato nell’attività di estrarre dalla macchina “Modulo 200” i pezzi lavorati, cioè i raccoglitori di cartone, a fronte di un inceppamento della macchina stessa, senza arrestarla, aveva infilato la propria mano destra nello spazio di circa 7,5 cm esistente, tra il riparo posto a protezione del punzone ed il sottostante cartone da occhiellare, col che il punzone si era azionato schiacciandogli il secondo dito di detta mano, con conseguente malattia superiore a giorni 40 e indebolimento permanente dell’organo della prensione.
Sulla base delle risultanze degli accertamenti SPRESAL e della perizia disposta i dibattimento, il tribunale riteneva accertato che i ripari posti in corrispondenza dei punzoni proteggevano solo la parte frontale degli stessi, lasciando liberi i fianchi ed il retro della macchina, il che costituiva violazione del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 68 (in tema di protezione degli organi lavoratori delle macchine), norma questa diretta a prevenire, attraverso la messa in opera di presidi oggettivi, eventuali disattenzioni o distrazioni del lavoratore, quale quella posta in essere dal (Omissis) che in occasione dell’infortunio aveva incautamente infilato la mano sotto l’occhiellatrice facendo scattare la discesa del punzone. Sussisteva anche violazione del cit. Decreto del Presidente della Repubblica, art. 374 (circa l’obbligo di mantenere le macchine ed i dispositivi di sicurezza in buono stato di conservazione ed efficienza) atteso che la macchina (come accertato dall’ispettore SPRESAL (Omissis)) poteva funzionare solo con il commutatore a chiave posizionato sulla funzione “disattivazione ripari della macchina”, e ciò a causa di un problema di disallineamento dei dispositivi di riparo che diversamente avrebbero certamente mandato in blocco la macchina stessa. Sul punto il perito (Omissis) aveva accertato che il controllo delle protezioni era completamente escluso tanto che, qualunque fosse stata la posizione del commutatore, la macchina avrebbe assunto sempre lo stesso funzionamento senza discriminare lo stato (on/off) dei microinterruttori presenti all’epoca dell’infortunio. Il “modulo 200” era stato acquistato nel 2004 da (Omissis) sprovvisto di impianto elettrico: non risultando l’intervento di ditte esterne per la messa in efficienza e sicurezza della macchina, se ne doveva arguire che vi avesse provveduto in economia lo stesso (Omissis) che aveva risolto il problema disattivando i toto il meccanismo dei ripari. Con il primo motivo ed il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione essendo emersa in maniera incontrovertibile nella causazione dell’infortunio la colpa esclusiva del lavoratore, il cui comportamento è da ritenersi eccezionale ed imprevedibile tale da non poter essere immaginato dal datore di lavoro.
Con il terzo motivo si deduce altro vizio di motivazione in ordine alla mancata irrogazione della sola pena pecuniaria.
DIRITTO
I motivi esposti, di cui il primo ed il secondo non sono consentiti in sede di legittimità, sono comunque manifestamente infondati, sicchè il ricorso va dichiarato inammissibile.
Al di là delle censure concernenti la ricostruzione fattuale dell’episodio, qui improponibili, vi è da rilevare che, in materia di normativa antinfortunistica, il Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 1, espressamente richiamato dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, capo 1 allorquando parla di “lavoratori subordinati e ad essi equiparati” non intende individuare in costoro i beneficiari (tanto meno i soli beneficiari) della normativa de qua, ma ha la finalità di definirne l’ambito di applicazione, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all’osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo art. 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perchè disciplinate da appositi provvedimenti. Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati per lo stesso Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, ex art. 3, comma 2, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende l’attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dal citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956. Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza, purché sia ravvisabile il nesso causale, non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato o un soggetto a questi equiparato, ovvero, addirittura, una persona estranea all’ambito imprenditoriale (tra le tante, Cass., Sez. 4ª, 27 novembre 2002, Bosia). In questa prospettiva, correttamente l’addebito è stato ritenuto a carico dell’imputato, il quale, nella propria attività imprenditoriale, aveva consentito all’infortunato di utilizzare un macchinario pur in condizione di pacifica irregolarità.
Neppure può legittimamente invocarsi l’abnormità della condotta del lavoratore.
è noto, in proposito, che poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4ª, 3 novembre 2004, Volpi; Sez. 4ª, 14 gennaio 2005, Schifilliti ed altro; Sez. 4ª, 7 giugno 2005, Pistoiesi). è l’ipotesi che qui interessa, ove si ponga attenzione che correttamente il giudicante, con apprezzamento del resto incensurabile in fatto, neppure ha evidenziato una specifica condotta imprudente del lavoratore, che, in ogni caso, anche a volerla ipotizzare, non potrebbe assurgere al rango di causa eccezionale ed imprevedibile, trattandosi di un utilizzo della macchina comunque connesso a quello proprio. Con la conseguenza che non può qui sostenersi trattarsi di attività abnorme, eccezionale ed imprevedibile ai fini della pretesa interruzione del nesso causale. è in questa prospettiva ermeneutica che vanno apprezzate la correttezza e la logicità della decisione impugnata, la consapevole carenza di protezione del macchinario e l’aver consentito che, comunque, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell’addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia che avrebbe o mettere fuori servizio la macchina o procedere al adeguamento, munendola di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica.
Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile.
Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogico. Quanto al secondo motivo, oggetto del gravame di merito, la Corte d’Appello aderendo alla richiesta dell’appellante di concedere le attenuanti generiche e di contenere la pena, ha comunque evidenziato la gravità del fatto e, ritenendo equa la pena di mesi tre di reclusione, con ciò implicitamente ha formulato un giudizio negativo in ordine alla sola irrogazione della pena pecuniaria. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
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