CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 luglio 2013, n. 32920
Operazioni inesistenti – Le fatture non possono essere considerate in una sede relative a operazioni lecite, mentre in altra ritenute relative a operazioni soggettivamente inesistenti nel quadro delle operazioni carosello
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 1.12.2011 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale che aveva ritenuto(…), in qualità di amministratore di fatto della, responsabile dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti relativamente agli anni 2044-2007 e del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti relativamente all’anno di imposta 2005 (artt. 8 comma 1 D.Lvo n. 74/2000, 110 c.p. e 2 comma 1 D.Lvo n. 74/2000) e, ritenuta la continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione.
La Corte milanese ha condiviso integralmente il giudizio di responsabilità espresso dal primo giudice sulla base degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza (confermati dalla prova testimoniale assunta in dibattimento) ritenendo ininfluente la pronuncia di assoluzione dell’imputato in altro procedimento, intervenuta nelle more. Ha, infine, confermato il diniego delle attenuanti genetiche osservando che l’intensità del dolo e l’importo complessivo dell’evasione costituiscono valide ragioni per condividere la decisione del primo giudice.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre l’Imputato deducendo tre censure:
– la violazione dell’art. 649 cpp per mancata applicazione del principio del ne bis in Idem (art. 606 comma 1 lett. e cpp);
– la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla affermazione di colpevolezza dell’Imputato, amministratore di fatto della A.D.S. srl in relazione alle Ipotesi delittuose contestate;
– Il vizio di motivazione in punto di mancata applicazione delle attenuanti generiche.
Considerato in diritto
Il secondo motivo di ricorso è fondato.
1. Come si evince dalla sentenza impugnata, il (…) è stato ritenuto responsabile, in qualità di amministratore di fatto della (…), del reato di emissione di una serie di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti della (…) al fine di consentire alla predetta società l’evasione dell’Imposta sul redditi o sul valore aggiunto (reato commesso nel periodo 2004-2007: art. 8 comma 1 D.Lvo n. 74/2000). E’ stato altresì ritenuto responsabile del reato di concorso in dichiarazione fraudolenta (artt. 110 cp e 2 comma 1 D. Lvo n. 74/2000) per avere, sempre quale amministratore di fatto della predetta società, in concorso con altra imputata, al fine di evadere l’Imposta sui redditi e l’IVA, mediante annotazione nelle scritture contabili obbligatorie, di fatture di acquisto relative ad operazioni inesistenti, indicato nella dichiarazione dei redditi del 2004 elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a €. 244.000,00 cui corrispondeva una indebita detrazione di IVA per circa €, 25.000,00.
Nel giudizio di appello la difesa aveva però dedotto tra l’altro che (…), a seguito del medesimo accertamento della Guardia di Finanza, era stato sottoposto ad altro procedimento penale, sempre per violazione dell’art. 2 del D. Lvo n. 74/2000 perché il legale rappresentante della (…), al fine di evadere l’Imposta sui redditi e l’IVA, mediante annotazione nelle scritture contabili obbligatorie, di fatture di acquisto relative ad operazioni inesistenti, indicava nella dichiarazione dei redditi del 2004 elementi passivi fittizi nelle denunzie dei redditi relative agli anni di imposta 2004 e 2007. Aveva altresì dedotto che il procedimento si era concluso con sentenza 1825/2010 divenuta irrevocabile il 4.1.2011 con cui l’imputato era stato assolto dall’imputazione ascritta perché il fatto non costituisce reato.
2. Come è evidente, secondo la predetto sentenza il Tribunale di Milano le fatture emesse dalla (…) nei confronti della (…) erano state considerate relative ad operazioni lecite, mentre invece, nella fattispecie in esame, quelle identiche fatture (come si evince dalla coincidenza degli estremi e degli importi) sono state ritenute relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, nel quadro di un cd. “carosello” fiscale, che vedeva (…) nella veste di società cartiera, interposta tra reale venditore straniero e acquirente finale al fine di consentire l’evasione del pagamento dell’IVA.
Ebbene, a fronte di una tale doglianza, che segnalava una situazione in cui le medesime operazioni commerciali erano state valutate in modo opposto, la Corte d’Appello, attraverso quattro righi di motivazione, ha considerato irrilevante l’assoluzione nell’altro procedimento sia per le motivazioni adottate dal GUP (ritenute meno analitiche di quelle esposte nell’appellata sentenza), sia perché detta assoluzione concerneva “pur sempre un altro aspetto della vicenda e si fonda su un materiale probatorio diverso da quello in esame” (cfr. pag. 5).
Una tale motivazione si appalesa innanzitutto carente, perché a fronte di specifiche censure, avrebbe dovuto sottoporre a vaglio critico le opposte argomentazioni del GUP di Milano, il quale aveva escluso l’Interposizione fittizia della (…) srl sulla base facendo riferimento a ragioni di autorizzazioni amministrative.
Il percorso argomentativo appare altresì illogico perché le operazioni commerciali poste a base delle fatture erano le medesime: le fatture emesse dalla (…) nei confronti della (…) erano le stesse, come si è visto (stante la coincidenza degli estremi e degli importi), quindi la vicenda era unica perché legata alle stesse operazioni commerciati poste a base delle rispettive imputazioni; fatturazioni emesse dalla (…) nei confronti della (…) per importi coincidenti in relazione alle annualità 2004 e 2007.
L’unica differenza, irrilevante ai fini che qui interessano, sta nel fatto che nel caso di specie il (…) risponde quale amministratore di fatto della società emittente (la (…) appunto) di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, mentre Invece nell’altro procedimento era stato chiamato a rispondere quale legale rappresentante della società nei cui confronti erano state emesse le fatture (la (…) ) e per fatture relative a sole due annualità (2004 e 2007).
Il vizio motivazionale assorbe ogni altra censura e impone l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, altra sezione.
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