Corte di Cassazione sentenza n. 33598 del 03 settembre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – REATI CONTRAVVENZIONALI IN MATERIA DI PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI – OBLAZIONE
massima
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In tema di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, per la realizzazione dell’effetto estintivo previsto dall’art. 24 del D.Lgs. n. 758/1994, il contravventore deve eliminare la violazione secondo le modalità prescritte dall’organo di vigilanza nel termine assegnatogli, e poi provvedere al pagamento della sanzione amministrativa nel termine di giorni trenta. Il mancato rispetto anche di una sola delle due citate condizioni impedisce la realizzazione dell’effetto estintivo, a nulla rilevando che la previsione del termine per il pagamento non sia accompagnata da una esplicita sanzione di decadenza, atteso che la sua mancata previsione discende dalla natura della stessa di precondizione negativa dell’azione penale.
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FATTO
1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza impugnata, il Giudice di Pace ha condannato il ricorrente alla pena di 8000 euro di ammenda per la commissione di una serie di violazione alla Legge n. 626/94 (adozione di misure antinfortunistiche in ambito lavorativo).
2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ha proposto appello (convertito in ricorso, stante la non appellabilità – ex art. 593 c.p.p., comma 3 – delle condanne alla sola pena pecuniaria) deducendo:
1) erronea interpretazione della Legge n. 758 del 1994 sul rilievo che egli non avrebbe potuto essere giudicato e condannato perché, Legge n. 758 del 1994, ex art. 24 aveva già pagato le prime tre rate, e, pertanto, era ancora in corso la procedura;
2) mancato accoglimento delle richieste istruttorie dal momento che il giudice, dopo avere ammesso in prima battuta la lista testi della difesa, l’aveva poi revocata con una motivazione pleonastica in cui si assumeva la sua irrilevanza;
3) mancanza, carenza ed inesistenza di motivazione visto che “nessun ragionamento giuridico è posto alla base della superiore motivazione”;
4) violazione e falsa applicazione dell’articolo 133 c.d. perché il giudice non ha formulato alcun “giudizio sulla gravità effettiva del fatto e sul suo disvalore penale”.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile. In particolare:
3.1. (quanto al primo motivo) si osserva che il tema della procedibilità a fronte di un incompleto pagamento da parte dell’imputato è stato affrontato funditus e correttamente dal giudicante il quale, non senza avere rimarcato la anomalia del frazionamento del pagamento disposto dall’amministrazione (v. nota a f. 4), giustamente considera che, in base anche alla giurisprudenza di legittimità, la speciale causa estintiva di cui al Decreto Legislativo n. 758 del 1994, art. 24 “non opera nel caso in cui il pagamento della somma determinata a titolo di oblazione avvenga oltre il termine previsto di giorni trenta, in quanto quest’ultimo ha natura perentoria e non ordinatoria”. Logico, pertanto, arguire che, a fortiori, quando il pagamento, ancorché rateizzato, sia sospeso (come nella specie) si versa in una situazione equiparabile al pagamento non tempestivo.
Del resto, è tanto giusto l’argomentare del giudice di merito che, diversamente opinando – dal momento che la speciale causa estintiva incide sul decorso del termine prescrizionale, spostandolo in avanti di trenta giorni – in un caso come quello in esame si perverrebbe al paradosso di dilatare ad nutum la sospensione in maniera illimitata e, per giunta, affidandola alla “volontà” di adempimento della persona cui è stato prescritto di corrispondere una certa somma a titolo di oblazione fino al momento in cui questa decida di versare l’ultima rata. La qual cosa, oltre a contrastare con lo stato della normativa, sarebbe sicuramente illogica e palesemente ingiusta rispetto a chi, invece, avendo ricevuto comunicazione dell’obbligo di regolarizzazione attraverso il versamento di un determinato importo, lo paghi in un’unica soluzione, e tempestivamente, entro il termine imposto.
In realtà, il tenore dell’articolo 24 è letterale nel disporre che la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dallo stesso Decreto Legislativo n. 758 del 1994, art. 21.
Evidente, perciò, che il mancato verificarsi di una delle due condizioni impedisce la realizzazione dell’effetto estintivo (da ult. sez. 3, 11.2.10, Freda rv. 246460) e sarebbe illogico ed incostituzionale ipotizzare che i tempi di realizzazione di una delle due condizioni potesse dipendere dalla volontà del sottoposto all’obbligo.
3.2. (quanto al secondo motivo). Il motivo è del tutto generico considerato che il ricorrente si limita a dolersi del fatto in sé della revoca dell’ammissione della lista testimoniale difensiva senza spiegare per quale ragione, invece, (a dispetto della opposta valutazione del giudice) l’audizione del teste (Omissis), sarebbe stata rilevante. Il tutto, senza tralasciare di sottolineare che, come risulta dal verbale di udienza (f. u), all’atto della emissione dell’ordinanza di revoca, il difensore, pur presente, nulla eccepì.
3.3. (quanto al terzo e quarto motivo). Il terzo e quarto motivo si contraddistinguono per la loro genericità ed assertività. Essi, infatti, si esauriscono nelle affermazioni sopra riportate tra virgolette ed, in tal modo, si sottraggono al preciso dovere di specificità del gravame posto che, ai fini di una valida sostenibilità del vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), i motivi a sostegno devono contenere “l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta” (sez. 6, 15.3.06, casula, rv. 233711; sez. 6, 14.6.06, Policella, rv. 234914). Nè vale osservare che il quarto motivo lamenta una errata applicazione della legge posto che, a prescindere dalla denominazione data – formalmente – al vizio denunciato, nei contenuti, da parte del ricorrente, non si fa altro che chiedere al giudice di legittimità una rilettura degli atti ed una nuova valutazione della vicenda sotto il profilo della sua gravità per indurlo a trarre, sul piano sanzionatorio, conclusioni più favorevoli di quelle raggiunte dal Tribunale. Il vero è che, come è stato ripetutamente ricordato da altre pronunzie di questa S.C. (Sez. 2, 26.6.09, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, 12.6.08, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 2, 19.3.08, Gasparh, Rv. 239754). Una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti – come nel caso in esame – essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende della somma di 1000 euro.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende della somma di 1000 euro.
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