Corte di Cassazione sentenza n. 33737 del 12 settembre 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – DATORE DI LAVORO – CANTIERE TEMPORANEO E MOBILE – PARAPETTO NON CONFORME ALLE DISPOSIZIONI DI LEGGE – LAVORO PERICOLOSO
massima
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Vi è la responsabilità del direttore tecnico e responsabile del cantiere di una spa (Ge.) e dell’assistente e responsabile del cantiere per colpa generica e specifica – quest’ultima consistente, quanto al primo, nella violazione dell’art. 26 del D.P.R. 547/1955, oggi trasfuso nel D.Lgs. 81/2008, quanto al secondo, nella violazione dell’art. 4 del D.P.R. 547/1955 e dell’art. 68 del D.P.R. 164/1956 – per aver causato un incidente a causa del quale un dipendente della società, aveva riportato lesioni dalle quali era derivata una malattia superiore a 40 giorni.
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FATTO E DIRITTO
1 – Ge. Da. e De. Fe. sono stati tratti a giudizio davanti al giudice monocratico del Tribunale di Genova per rispondere del delitto di lesioni personali colpose commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di Co. Re.
Secondo l’accusa, i due imputati, il Ge. nella qualità di direttore tecnico e responsabile di cantiere della “Sa. s.p.a.”, il De. quale assistente e responsabile per il cantiere “(Omissis)”, per colpa generica e specifica – quest’ultima consistente, quanto al primo, nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 26 lettera a) e d), quanto al secondo, nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 68 -, avevano causato un incidente a causa del quale il Co., dipendente della società, aveva riportato lesioni dalle quali era derivata una malattia superiore a 40 giorni.
Il giudice del merito ha ricostruito l’incidente nei seguenti termini.
La “Sa.” era impegnata nei lavori di realizzazione della stazione metropolitana di (Omissis); essendo stata completata la costruzione di un muro in cemento armato, rimosse le casseformi di legno, il De. aveva incaricato il Co. di tagliare i distanziatori metallici che erano rimasti infissi al muro e che da esso sporgevano. Per eseguire il lavoro, l’operaio si era portato su un solaio che, nella direzione del muro ove il Co. avrebbe dovuto provvedere alla eliminazione dei distanziatori, era per circa due metri delimitato da una botola larga circa 40 cm, a protezione della quale era stato realizzato un parapetto. I predetti distanziatori erano posti ad altezze variabili, ma l’incarico affidato al lavoratore era limitato all’asporto di quelli posti ad altezza non superiore a due metri; per eseguire tale lavoro, il Co. si era procurato un tubo lungo circa un metro che, inserito tra il muro ed il distanziatore, ne determinava, dopo adeguata pressione, il distacco. Mentre era in corso tale operazione, il parapetto aveva improvvisamente ceduto ed il Co. era precipitato nella botola.
Il giudice di primo grado ha ritenuto la responsabilità di ambedue gli imputati, avendo rilevato che il parapetto posto a protezione dell’apertura aveva ceduto perchè inadeguato a resistere allo sforzo al quale lo aveva sottoposto il lavoratore che, per strappare i distanziatori posti più in alto, era stato costretto ad appoggiarsi con il corpo al parapetto che non aveva resistito alla pressione.
Al Ge., lo stesso giudice ha addebitato di non esseri adoperato affinchè il parapetto fosse realizzato in maniera conforme alle disposizioni di legge; al De., di non avere considerato che, per eseguire il lavoro dallo stesso affidato al dipendente, quest’ultimo sarebbe stato obbligato a sporgersi pericolosamente e ad appoggiarsi al parapetto, laddove il lavoro avrebbe dovuto essere eseguito con modalità tali da evitare quel pericoloso appoggio. 2 – Su appelli proposti dai due imputati, la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 9 giugno 2010, ha assolto Ge. Da. dal reato ascrittogli per non avere commesso il fatto ed ha confermato, quanto al De., la sentenza impugnata.
Secondo la corte territoriale, il parapetto aveva ceduto non perchè ad esso si fosse appoggiato il Co., ma perchè questi, per giungere ai distanziatori posti più in alto, era salito sul bordo dello stesso. Secondo il giudice del gravame, il parapetto era stato realizzato nel rispetto della normativa di riferimento, di guisa che nessun addebito poteva muoversi al Ge.
Il De., invece, doveva essere ritenuto responsabile dell’incidente per non avere adottato le misure necessarie ad eliminare il rischio connesso con l’incarico affidato al dipendente, quali, ad esempio, la copertura dell’apertura con solido tavolato, ovvero la messa a disposizione dell’operaio di una scala a mano. Le difficoltà dell’operazione, secondo i giudici del gravame, non erano state ben considerate, atteso che i distanziatori posti all’altezza di due metri non erano facilmente raggiungibili poichè a tale altezza avrebbe dovuto aggiungersi la distanza di 40 cm. intercorrente tra il bordo dell’apertura ed il muro. Distanza che rendeva evidentemente più difficile la rimozione dei distanziatori posti più in alto e che aveva costretto l’operaio a salire sul parapetto. Secondo gli stessi giudici, il De., quale responsabile per il cantiere, era tenuto a prevedere ogni possibile rischio connesso con l’incarico affidato al Co. e ad intervenire nella maniera più idonea. Di qui la conferma della responsabilità dell’imputato.
3 – Avverso tale decisione ricorre, per il tramite del difensore, il De. che, con unico motivo, deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata sotto i profili della illogicità e della contraddittorietà della stessa, rispetto agli atti del procedimento, nella parte in cui la corte territoriale ha sostenuto la pericolosità della lavorazione affidata al lavoratore, la prevedibilità del rischio conseguente e la necessità per l’infortunato di operare in condizioni di pericolo.
Sostiene il ricorrente che, venuta meno l’iniziale tesi accusatoria, secondo cui il parapetto aveva ceduto non perchè non fosse stato realizzato a norma ma perchè il Co. lo aveva impropriamente utilizzato – salendovi sopra e sottoponendolo a sollecitazioni per le quali non era stato costruito -, avrebbe dovuto esser emessa sentenza assolutoria anche per l’odierno ricorrente. Anche con riguardo a costui, invero, la contestazione si basava sull’ipotesi, poi smentita, dell’inidoneità dell’opera provvisionale. Avendo la stessa corte accertato che l’infortunio è dipeso da un’impropria manovra del lavoratore, nessun addebito avrebbe potuto muoversi all’imputato, nè sotto il profilo della mancata informazione nè sotto quello dell’omessa predisposizione di misure alternative, che costituiscono gli addebiti contestati specificamente nel capo d’imputazione. La decisione del giudice del gravame si presenterebbe, quindi, sotto tale profilo, del tutto illogica.
Da nessun dato probatorio, d’altra parte, sarebbe emersa la necessità, per il lavoratore, di sollevarsi, per eseguire il lavoro affidatogli, dal piano del solaio, mentre illogico sarebbe individuare tale dato proprio nella caduta del lavoratore. Lo stesso giudice, inoltre, avrebbe travisato il contenuto delle risultanze processuali, che univocamente avrebbero escluso qualsiasi necessità per il lavoratore di compiere la rischiosa manovra che ha provocato l’incidente, poichè l’asporto dei distanziatori avrebbe potuto tranquillamente eseguirsi rimanendo sul pavimento.
Conclude il ricorrente, chiedendo, per la parte che lo riguarda, l’annullamento della sentenza impugnata.
4 – Osserva la Corte che, non ravvisandosi ragioni di inammissibilità dei motivi di doglianza proposti dal De. , il reato allo stesso ascritto deve dichiararsi estinto per prescrizione.
Accertato, invero, che l’infortunio si è verificato in data (Omissis) e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, il termine massimo di prescrizione è, ai sensi dell’articolo 157 c.p. (sia per l’attuale che per la previgente normativa), nella sua massima estensione, di sette anni e sei mesi, ne discende che il termine in questione, tenuto anche conto del periodo di sospensione di tre mesi e nove giorni (dal 10.7.06 al 19.10.06 per adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dall’associazione di categoria), è interamente trascorso fin dal 21 agosto 2010.
D’altra parte, le diffuse e coerenti argomentazioni svolte dalla corte territoriale nella sentenza impugnata escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex articolo 129 c.p.p., comma 2, posto che, dall’esame di detta decisione e dei motivi di ricorso proposti (in buona parte ripropositivi di tematiche già poste all’attenzione della corte territoriale e da questa coerentemente risolte), non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell’insussistenza del fatto contestato all’imputato o della sua estraneità allo stesso, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla responsabilità dello stesso.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto all’odierno ricorrente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
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