Corte di Cassazione sentenza n. 34246 del 07 settembre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – PRESCRIZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA – OTTEMPERANZA – MACCHINA ED ATTREZZATURE DA LAVORO
massima
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In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile della sicurezza (che sia, o meno, datore di lavoro) deve attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche nella ordinaria prassi di lavoro.
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FATTO
1. Con sentenza dell’1.2.2011 il Tribunale di Torino, sez. dist. di Susa, dichiarava C.G. colpevole del reato di cui all’art. 4 co. 2 D.Lgs. n. 626/94 ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 1.400,00 di ammenda.
Assumeva il Tribunale che dall’istruttoria dibattimentale era emerso pacificamente che, a seguito del sopralluogo presso la sede della ditta “Fratelli C. s.n.c.”, di cui l’imputato era legale rappresentante, erano state rilevate due violazioni di norme cautelari dettate dalla normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro (art. 374 DPR n. 547/55 e art. 4 c. 2 D.Lgs. n. 626/94); era stato quindi emesso provvedimento di prescrizione. In data 24.10.2007 si accertava l’ottemperanza solo alla prescrizione relativa alla riqualificazione ed adeguamento del carrello elevatore, mentre non era stata data ottemperanza alla prescrizione inerente la redazione di un documento di valutazione dei rischi aziendali. Come precisato dall’isp. P. la documentazione prodotta non possedeva i requisiti di un documento di valutazione dei rischi.
2. Proponeva appello l’imputato, a mezzo del difensore, chiedendo l’assoluzione dal reato ascritto. Evidenziava infatti che egli si era attivato in riferimento ad entrambe le prescrizioni impartite. Il documento di valutazione dei rischi conteneva tutti i requisiti formali e sostanziali. Era assente, quindi, la volontà di sottrarsi agli obblighi e, conseguentemente, l’elemento psicologico del reato.
Lamentava, inoltre, l’eccessività della pena inflitta, che andava, in considerazione della modestia della condotta, ridotta.
3. Essendo la sentenza inappellabile gli atti, con ordinanza del 21.5.2012 della Corte di Appello di Torino, venivano trasmessi ex art. 568 co. 5 c.p.p. a questa Corte.
DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L’art. 581 c.p.p. richiede espressamente che l’atto di impugnazione contenga, a pena di inammissibilità ex art. 591 co. 1 lett. e) c.p.p., a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
2.1. Con l’atto di gravame genericamente si contesta l’affermazione di responsabilità, senza adempiere all’onere di indicare in modo specifico le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono la richiesta di annullamento e prescindendo completamente dal tessuto argomentativo della pronuncia gravata. Si assume, infatti, di aver ottemperato ad entrambe le prescrizioni e che anche il documento di valutazione dei rischi conteneva tutti i requisiti richiesti; ma non ci si preoccupa neppure di confutare i rilievi della sentenza impugnata in relazione a siffatta idoneità.
Il Tribunale, sulla base della testimonianza dell’isp., aveva, invero, evidenziato come il documento approntato non contenesse alcun riferimento (sia pure generico) ai gravi rischi connessi alle operazioni di smontaggio e trasporto dei macchinari installati.
Quanto all’elemento psicologico, aveva sottolineato il Tribunale che si trattava di comportamento gravemente negligente, di cui l’imputato doveva rispondere, trattandosi di contravvenzione, quanto meno a titolo di colpa.
2.2. Anche le censure in ordine alla pena irrogata sono generiche ed apodittiche.
Il Tribunale aveva, infatti, ritenuto di irrogare la sanzione pecuniaria, invece della detentiva, proprio in considerazione del comportamento processuale e dell’ottemperanza ad una delle due prescrizioni impartite ed aveva richiamato l’art. 133 c.p.p. nella determinazione della pena.
3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 591 comma 1 lett. C) c.p.p., con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
3.1. Va solo aggiunto che il reato non è prescritto, dovendosi tener conto della sospensione (calcolata in giorni 6) per effetto del rinvio dell’udienza del 15.4.2010.
In ogni caso l’inammissibilità del ricorso precluderebbe ogni possibilità di dichiarare la prescrizione eventualmente maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent. 23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art. 606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precisare sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale”.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.
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