CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 febbraio 2014, n. 3491
Lavoro subordinato – Impresa familiare – Accertamento Inps – Recupero dei contributi del dipendente – Legittimità
Svolgimento del processo
P.S. e P.D. impugnavano di fronte al Tribunale di Ancona il verbale di accertamento elevato dall’Inps in data 24.5.2000 nei confronti della s.n.c. “Autoricambi di P.L. & c.”, con il quale venivano annullati i periodi contributivi relativi al lavoro subordinato da loro prestato nell’ambito dell’impresa familiare, successivamente trasformata nella s.n.c., alle dipendenze del padre P.L., sull’assunto che “nell’impresa familiare non può sussistere un rapporto di lavoro subordinato”. Il Tribunale di Ancona con la sentenza del 19.10.2005 accoglieva il ricorso e dichiarava il diritto dei ricorrenti ad effettuare i versamenti contributivi quali lavoratori subordinati per il periodo dal 13.1.1998 (recte 1988) al 31.10.1992 per P.S. e dal 13.7.1989 al 31,10.1992 per P.D..
La Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 118 del 18 marzo 2008 respingeva l’appello proposto dall’Inps.
Per la cassazione di tale sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.
P.S: e P.D. hanno resistito con controricorso, eccependo anche l’inammissibilità del ricorso perché tardivamente proposto.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è tempestivo. Risulta infatti dalla copia prodotta in atti che esso è stato consegnato agli Ufficiali Giudiziari per la notifica in data 5.6.2008, mentre la sentenza della Corte d’Appello è stata notificata all’Inps in data 7.4.2008, sicché è stato rispettato il termine previsto dall’art. 325 II comma c.p.c.
2. Con il primo motivo l’Inps deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., nonché dell’art. 2115 c.c. e degli artt. 37 e 47 RDL 4 ottobre 1935 n. 1827, conv. con modif. dalla L. 6 aprile 1936 n. 1155 e dell’art. 19 della L. 4 aprile 1952 n. 218”. Riferisce che il sig. P.L., nella sua qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della “Autoricambi P.L. & c. s.n.c.,”, aveva proposto ricorso avverso lo stesso verbale di accertamento, chiedendo al giudice adito che esso fosse annullato e che fosse dichiarata la validità dei versamenti contributivi effettuati per i due lavoratori. Il procedimento si era concluso con la sentenza della Corte di Cassazione del 15.2.2006 n. 3331 che, nel confermare la decisione di merito, aveva rigettato la domanda proposta dalla società ed escluso la valida esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra il P. ed i due figli. L’Istituto ricorrente sostiene che, a fronte di tale situazione,i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere che l’art. 2115 c.c. e tutta la normativa in materia previdenziale pongono a carico esclusivo del datore di lavoro l’obbligo di pagare la contribuzione all’Inps, e che il lavoratore può sostituirsi nel versamento solo allorquando la stessa sia prescritta e non operi il principio di automaticità delle prestazioni. Avrebbero dovuto di conseguenza dichiarare il difetto di legittimazione processuale attiva dei lavoratori, essendo il datore di lavoro l’unico legittimato al versamento della contribuzione previdenziale.
3. Come secondo motivo, l’Inps lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c.” Riferisce che la Corte d’Appello ha rigettato la richiesta di sospensione del procedimento invocata dall’istituto previdenziale a cagione del fatto che, nel procedimento promosso dalla “Autoricambi P.L. & c. s.n.c.”, l’intervento di P.S. e D. – effettuato solo nel giudizio d’appello- era stato dichiarato inammissibile e che pertanto la decisione resa in quella sede non sarebbe stata loro opponibile. Nella specie, tuttavia, con sentenza n. 3331 del 2006 la Corte di Cassazione aveva dichiarato l’inesistenza dei rapporti di lavoro subordinato e negato di conseguenza l’obbligo dell’asserito datore di lavoro al versamento della contribuzione previdenziale e tale pronuncia si poneva in contrasto con l’accertamento di segno contrario compiuto nella sentenza gravata della Corte d’Appello di Ancona.
4. Come terzo motivo, l’Inps lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.”. Argomenta che,in ragione della perfetta sovrapponibilità fra l’oggetto del contendere nella richiamata decisione della Corte di Cassazione e quello della presente causa, si sarebbe formato un giudicato in ordine all’insussistenza dell’obbligo dell’Inps di ricevere la relativa contribuzione per i due lavoratori.
5. In merito al primo motivo, la difesa dei controricorrenti eccepisce che l’eccezione avente ad oggetto il loro difetto di legittimazione a chiedere l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato ed il diritto al versamento dei contributi è stata sollevata solo in questo grado di legittimità e pertanto sarebbe inammissibile.
La tesi è però contrastata dal principio- ribadito da questa Corte nelle sentenze Sez.L. n. 21703 del 13.10.2009 e Sez. 3 n. 23568 del 11/11/2011 – che l’eccezione in questione è rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, e può essere proposta per la prima volta anche in sede di legittimità. E’ fatta salva l’ipotesi della formazione del giudicato interno, ma tale condizione si verifica solo quando il punto relativo alla legittimazione sia stato oggetto di discussione e decisione che sia rimasta priva di impugnazione, mentre l’impugnazione nel merito della pronuncia di primo grado – che si è verificata in questo caso – impedisce la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione. La corretta individuazione delle parti attiene infatti alla stessa finalità della funzione giurisdizionale e i principi costituzionali di incondizionato accesso alla tutela dei diritti e del giusto processo risulterebbero lesi se l’osservanza della relative disposizioni dipendesse esclusivamente dall’iniziativa di parte. Il controllo sulla legittimazione rappresenta quindi l’esercizio da parte di questa Corte del dovere di indicare l’esatto diritto applicabile. Il motivo è quindi ammissibile.
6. Esso è altresì fondato.
La fattispecie di assicurazione sociale va infatti scomposta in due rapporti, tra loro autonomi: quello previdenziale, intercorrente fra il lavoratore e l’ente pubblico, e quello contributivo, che lega quest’ultimo al datore di lavoro. Vi è poi il sottostante rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, che ha ad oggetto l’obbligo di costituire la provvista, ossia di pagare i contributi agli enti previdenziali.
Tale regime si ricava dalla previsione dell’art. 2115 c.c., che al primo comma prevede la distribuzione tra datore di lavoro e lavoratore dell’onere economico per la contribuzione alle istituzioni previdenziali e assistenziali ed al secondo comma precisa che il datore di lavoro è responsabile del versamento dei contributi, ossia assume la veste di debitore verso l’ente assicuratore, anche per la parte a carico del lavoratore, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. Costituisce applicazione di tale regime l’art. 19 della L. 218 del 1952 (“Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità’, la vecchiaia e i superstiti”), secondo il quale “Il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario è nullo.
Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce
Questa Corte ha da tempo preso atto della scomposizione dei diversi rapporti, con l’affermazione secondo la quale “l’obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l’istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nella loro interezza, mentre il lavoratore è unicamente il beneficiario della prestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio” (Sez. 1, Sentenza n. 4083 del 08/11/1976).
7. La legittimazione ad agire secondo la previsione dell’art. 81 c.p.c. è una condizione dell’azione che presuppone di norma l’astratta riferibilità del diritto sul piano normativo a colui che agisce, secondo lo schema regolatore del diritto oggetto del giudizio.
Dall’assenza di titolarità di diritti ed obblighi per coloro che restano al di fuori dei diversi rapporti sopra delineati (contributivo, previdenziale, di provvista) discende che la legittimazione ad agire in giudizio sussiste solo in relazione ai rapporti in cui ciascuno è parte; sulle questioni che attengono agli altri rapporti si determina invece il difetto di legittimazione processuale (e salva la possibilità di intervenire ad adiuvandum), sia pure per ottenere pronunce di mero accertamento.
E’ proprio in ragione del fatto che il rapporto contributivo si instaura solo tra il datore di lavoro e l’ente di previdenza o assistenza, anche per la parte di contributi che sono dovuti dal lavoratore, che questa Corte ha chiarito che il datore di lavoro è l’unico legittimato a chiedere all’ente previdenziale la restituzione dei contributi indebitamente versati e che in tale caso il lavoratore potrà agire nei confronti del datore di lavoro per la restituzione della sua quota (Cass. Sez. L, n. 8888 del 14/04/2010, n. 13936 del 25/9/2002, n. 12842 del 27/12/1993).
In applicazione degli stessi principi si è affermato inoltre che il lavoratore non ha azione verso gli enti previdenziali per costringerli all’azione di recupero dei contributi, dovendo a tal fine agire per il versamento nei confronti del datore di lavoro (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6911 del 26/05/2000).
Nel caso in esame, i lavoratori non potevano quindi agire in via autonoma nei confronti dell’Inps per l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato, né tantomeno potevano chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, essendo loro attribuiti nel caso di omissione contributiva solo il rimedio previsto dall’ art. 2116 c.c. e la facoltà di richiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia ex art.13 L.1338/1962 pari alla quota di pensione che sarebbe spettata in relazione ai contributi omessi ( Sez. L, n. 26990 del 07/12/2005). Sussisteva quindi il loro difetto di legittimazione processuale, sicché il processo deve concludersi con una decisione in rito in quanto l’azione non poteva essere proposta.
8. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento degli altri, logicamente subordinati, e la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata ex art. 382 c. 3 c.p.c.
9. La formulazione solo in questo grado da parte dell’lnps dell’eccezione che travolge l’intero processo determina la compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata senza rinvio. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.