Corte di Cassazione sentenza n. 37986 del 01 ottobre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – OMESSO CONTRASSEGNO DEL CONTENITORE DEL LIQUIDO DETERGENTE PER LAVASTOVIGLIE – IMPOSSIBILITA’ DI DISTINZIONE CON UNA BOTTIGLIA DI ACQUA – MISURE DI SICUREZZA
Fatto
1. Con sentenza del 26 maggio 2011, la Corte di appello di Roma, confermava la sentenza del Tribunale di Roma in data 19 gennaio 2010, impugnata da (Omissis). Quest’ultimo era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’articolo 590 c.p., comma 3, poichè nella qualità di legale rappresentante dell’impresa (Omissis) s.a.s. tenendo nella qualità come sopra indicata, condotte improntate a negligenza, imprudenza, imperizia e integrante la violazione dei rischi per la presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro; per non aver formato e informato (o comunque aver omesso di provvedere a tale formazione e informazione) alla dipendente (Omissis) sullo svolgimento delle sue mansioni specifiche; per aver omesso affinchè si provvedesse a contrassegnare il contenitore del liquido detergente per lavastoviglie utilizzato all’interno della discoteca denominata “(Omissis)”, cagionava l’infortunio di (Omissis) la quale, mentre stava effettuando l’operazione di pulizia della lavastoviglie con l’utilizzo di un detersivo denominato “Triton” contenuto in una bottiglia non contrassegnata, per dissetarsi utilizzava tale bottiglia al posto di una bottiglia di acqua minerale – non potendosi distinguere i due liquidi – e a causa della ingestione del suindicato detergente, riportava lesioni personali gravi comportanti una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiore a giorni quaranta.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando con un unico motivo:
2.1 la nullità della impugnata sentenza in relazione all’articolo 606 lettera b) ed e) per violazione dell’articolo 590 c.p., Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 21, 22, 72 octies e quater e comunque per contraddittorietà, manifesta illogicità e apoditticità della motivazione.
Diritto
3. Il ricorso è infondato. Va premesso che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all’esercizio dell’attività lavorativa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione da parte del lavoratore subordinato.
Tale conclusione è fondata sulla disposizione generale di cui all’articolo 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, secondo le quali, il datore di lavoro o comunque la persona dallo stesso delegata, è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’articolo 40 c.p., comma 2.
Ne consegue che il titolare della posizione di garanzia ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera, essendo tale posizione di garanzia estesa anche al controllo della correttezza dell’agire del lavoratore, essendo imposto al “garante” (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela. Le censure avanzate non tengono quindi conto che in tema di infortuni sul lavoro, l’eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per uno dei “garanti” della sicurezza sul posto di lavoro, che si sia reso comunque responsabile, come nel caso in esame, di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v. tra le tante. Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri). In particolare quanto alla censura volta a prospettare l’interruzione del nesso causale basata sul comportamento della vittima (che avrebbe inopinatamente afferrato la bottiglietta senza guardarla), questa non tiene conto che, poichè le norme di prevenzione antinfortunistica – come già sopra ricordato- mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Sez. 4, 29 gennaio 2007, Di Vincenzo). Partendo da queste premesse indiscutibili in diritto, deve ritenersi corretta la decisione del giudice di merito che, con ricostruzione dei fatti e analisi convincente, ha escluso che la condotta della (Omissis) avesse integrato alcunchè di esorbitante o di imprevedibile, tale da poter rilevare ai fini dell’interruzione del nesso causale, avendo ravvisato questo, sempre con argomentazioni qui incensurabili e giuridicamente corrette, nelle inosservanze colpose ascritte all’imputato (in particolare, di non aver effettuato la valutazione dei rischi, la formazione e la informazione del personale con particolare riguardo alle modalità di prelievo e conservazione del liquido per lavastoviglie da usare per la macchina piccola ubicata sotto il bancone del bar). Siffatta conclusione è ineccepibile, tenendo altresì conto della situazione particolare del caso in esame, in cui la decisione (da cui è scaturito l’episodio) di provvedere ad alimentare il piccolo serbatoio della macchina da bar, non acquistando più i singoli flaconi, ma utilizzando più economicamente il liquido acquistato all’ingrosso per la lavastoviglie più grande, come giustamente posto in rilievo dalla Corte territoriale non era certo di competenza nè addebitarle ai dipendenti del bar.
4. Il ricorso va pertanto rigettato.
Ne consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalla costituita parte civile.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna il ricorrente a rifondere le spese del giudizio in favore della parte civile, liquidandole in complessivi euro 1800,00 oltre IVA e C.P.A., come per legge.
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