Corte di Cassazione sentenza n. 38860 del 27 ottobre 2011
INFORTUNI SUL LAVORO – PROVA IN GENERE IN MATERIA CIVILE – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – CROLLO DEL TETTO DI UN EDIFICIO – FITTIZIO CONTRATTO DI ASSUNZIONE DI UN LAVORATORE STRANIERO
massima
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Vi è la responsabilità del titolare di un’impresa edile per il reato di lesioni colpose in danno di un lavoratore straniero a causa del crollo di un solaio nel corso di lavori di demolizione di un tetto.
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FATTO – DIRITTO
1. Il Tribunale di Siena ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in ordine al reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro; nonché in ordine alla violazione degli artt. 75 del D.P.R. n. 164 del 1956. La pronunzia è stata confermata dalla Corte d’appello di Firenze.
Secondo l’ipotesi accusatoria fatto proprie dei giudici di merito il lavoratore straniero (…) riportava lesioni personali a seguito del crollo di un solaio, nel corso di lavori di demolizione di un vecchio tetto ad opera dell’impresa edile del ricorrente. Il crollo del manufatto era determinato dalla impropria asportazione delle catene di trattenuta delle pareti perimetrali senza alcun puntellamento.
2. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo due motivi.
2.1 Con il primo si lamenta che le circostanze degli accadimenti non sono state chiaramente dimostrate essendo basate sulle interessate dichiarazioni della vittima. Si lamenta altresì che si è omesso di considerare il comportamento positivo posto in essere dal ricorrente che ha subito provveduto a portare il lavoratore infortunato al pronto soccorso.
2.2 Con il secondo motivo si censura la mancata concessione delle attenuanti generiche e la reiezione del motivo d’appello afferente alla pena. Si è trascurato che l’imputato è incensurato e che, inoltre, non vi è alcuna oggettiva prova che egli abbia agito sugli operai per indurli al silenzio. Tale ultima enunciazione costituisce una mera illazione sfornita di prova.
3. La pronunzia impugnata è immune da censure per ciò che attiene alla affermazione di responsabilità in ordine al delitto. Essa ritiene senz’altro dimostrato l’evento lesivo quale conseguenza di infortunio sul lavoro e segnatamente del crollo del tetto dell’edificio, come dimostrato dalla circostanza che il datore di lavoro ha trasportato l’infortunato in ospedale, ha chiamato il direttore dei lavori ed ha subito dopo fatto firmare all’infortunato un contratto di assunzione. Lo stesso appellante ha d’altra parte ammesso di aver provveduto a risarcire parzialmente l’infortunato. La pronunzia evidenzia altresì che le indagini esperite hanno consentito di accertare che il tetto è crollato sul solaio sottostante propria a causa del taglio dei tiranti della copertura. In tale condotta dell’imputato si ravvisano assai rilevanti profili di colpa accresciuti dalla condotta successiva all’infortunio caratterizzata dal tentativo di coprire l’incidente inducendo tutti i lavoratori a mantenere il silenzio. Tale comportamento, secondo la Corte di merito, giustifica il diniego delle attenuanti generiche e la determinazione della pena assunta dal primo giudice.
Tale ricostruzione della vicenda è immune da censure logico-giuridiche, è fondata su plurime e significative acquisizioni probatorie e non può essere posta in dubbio nella presente sede di legittimità: resta scolpito il dato, di decisivo rilievo, che la caduta del tetto è stato la conseguenza dell’improvvido taglio degli appositi tiranti.
Pure immune da censure è la ricostruzione compiuta dai giudici di merito per ciò che attiene alla presenza, sul luogo della lavorazione, di una pattuglia di lavoratori in nero che si dileguarono, mentre alla vittima fu fatto firmare un estemporaneo e fittizio contratto di assunzione. Tale negativa condotta viene con ragione ritenuta idonea a giustificare la reiezione della richiesta di concessione di attenuanti generiche e ad orientare la determinazione della pena.
Il ricorso deve essere dunque rigettato quanto ai profili sopra considerati.
3.3 Gli illeciti contravvenzionali sono invece estinti per prescrizione, risalendo al 4/10/2004: il termine massimo era decorso ben prima della sentenza d’appello. Né si ravvisano, alla luce delle pronunzie di merito, le condizioni per una pronunzia liberatoria nel merito. La sentenza deve essere, pertanto, sotto tale riguardo annullata senza rinvio e le pene afferenti alle dette contravvenzioni devono essere eliminate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente alle contravvenzioni di cui al capo A delle rubrica perché estinti i reati per prescrizione; ed elimina la relativa pena di due mesi e quindici giorni di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
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