CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 settembre 2013, n. 39079
Reati fiscali – Pagamento delle imposte – Sottrazione fraudolenta di beni sociali – Commercialista che elude le garanzie del fisco – Punibilità – Sussiste
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Udine, quale giudice del riesame ex art. 324 c.p.p., ha respinto la richiesta, avanzata da B. S. e da M. N., quest’ultima in proprio e quale leg. rappr. della O. srl, di revoca del provvedimento di sequestro preventivo pronunciato dal Gip del Tribunale di Udine in data 11 ottobre 2012. Il Gip, infatti, aveva ritenuto sussistente il fumus del reato di cui all’art. 11 D. Lgs. n. 74 del 2000 nei confronti del B., dottore commercialista, per aver compiuto atti fraudolenti (la cessione di alcuni immobili, intervenuta nell’aprile 2008, a favore di O. srl, e la “cessione delle quote sociali” di quest’ultima alla convivente M. N., nel marzo 2012) al fine di sottrarsi al pagamento delle maggiori imposte accertate per gli anni d’imposta 2005-2010 (per oltre 4 milioni di euro), oltre interessi e sanzioni, in prossimità degli esiti della verifica fiscale compiuta con riguardo ai redditi professionali del predetto. In particolare la “cessione” sarebbe avvenuta mediante l’azzeramento del capitale della società per perdite e la sua ricostituzione da parte della sola socia di minoranza, M. N., la quale avrebbe fatto valere i diritti di opzione del B., suo convivente, fino ad allora detentore dell’83% del capitale della società, capofila di altre attività d’impresa tutte svolte dal B..
2. Secondo il Tribunale del riesame, che ha respinto la richiesta degli odierni ricorrenti, l’art. 11 D. Lgs. n. 74 del 2000 non porrebbe limiti temporali (come nella fattispecie di reato anteriormente vigente) onde la perseguibilità anche di comportamenti posti in essere in anticipo rispetto al momento fiscale- accertativo, purché finalizzati a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione delle imposte dovute. Nella specie, la tempestività dell’operazione economica, volta a sottrarre il patrimonio del B. all’adempimento – spontaneo o coattivo – degli obblighi tributari, sarebbe stata posta in essere con una complessa operazione economica finalizzata ad intestare i beni immobili e le quote societarie (della O. srl) possedute alla convivente, M. N., proprio a seguito degli accertamenti fiscali avvenuti nel corso dell’anno 2011 (relativi agli anni d’imposta 2005-2010), anche se con attività cominciate nell’aprile del 2008 (vendita di due immobili alla società O. srl e conferimento di un terzo immobile in parte ad aumento di capitale ed in parte a riserva ordinaria). Successivamente, il 2 febbraio 2012, l’assemblea, composta dal solo B., nel deliberare l’azzeramento del capitale sociale della O. srl consentiva alla convivente, M. N., la sottoscrizione del capitale mancante. A parere dei giudici del riesame, non sarebbe tanto la mancata sottoscrizione del capitale ad avere i crismi dell’atto fraudolento, ma l’intera operazione economica volta a sottrarre i beni immobili alla garanzia patrimoniale verso il Fisco, il quale avrebbe potuto promuovere l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. con riferimento agli atti di cessione che, invece, proprio grazie a tale congegno, non sono stati posti in essere con danno dell’Erario. La natura fraudolenta dell’operazione economica sì desumerebbe anche dall’anomalo ricorso ai bilancio straordinario al 30 dicembre 2011, deliberato a ridosso della naturale chiusura, e dalla scelta del nuovo socio nella persona della convivente del debitore d’imposta.
3. Avverso tale decisione, l’indagato e il terzo hanno proposto ricorso per cassazione, di identico contenuto, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per i seguenti motivi:
1) Il difensore ha censurato la decisione, anzitutto perché, in violazione dell’art. 321, 369 e 178, lett. c), c.p.p., la condotta incriminata, configurata come cessione di immobili e quote, era stata poi riconfigurata come mancato esercizio del diritto di opzione da parte del Gip, in difformità di quanto allegato e documentato dal Pm. 2) Non sarebbe stato valutato, in violazione degli artt. 321, 125 co. 3, c.p.p. e 11 D. Lgs. n. 74/00, che una parte minoritaria delle quote della società O. srl (partecipata solo all’83,33% dal B.) appartenevano ai sigg. Z. e C., terzi estranei, i quali avevano rinunciato, in sede di ricapitalizzazione, al loro diritto di opzione: di qui l’illegittimità del sequestro in parte qua. 3) Allo stesso modo del motivo che precede, non sarebbe stato valutato il fatto che uno degli immobili conferiti nella società O. srl apparteneva, in nuda proprietà, ai B. (50%) ed alla M. (restante 50%), onde l’estraneità di tale quota ai fatti addebitati e al disposto sequestro, specie se l’alienazione sia stata simulata. 4) Sarebbe stata compiuta un’interpretazione dei fatti difforme dal modello legale, costituito dalla fattispecie astratta di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 74/00, in quanto gli atti traslativi del 2008 non sarebbero riconducibili alla finalità simulatoria o fraudolenta, essendosi tradotti nei corrispondenti potenziamenti delle espressioni partecipatorie nella società acquirente o conferita ria. 5) Il Tribunale del riesame avrebbe postulato, senza alcuna dimostrazione critica, che la perdita esposta nel bilancio al 31/12/2011 della O. srl fosse stata artatamente costruita e ciò senza esaminare e motivare in ordine ad una molteplicità di fattori (aumento degli ammortamenti, degli oneri diversi, degli interessi passivi bancari, a tacere di una sanzione consistente) ed indici (di indebitamento, del quoziente di copertura delle immobilizzazioni, del quoziente di disponibilità o indice di liquidità corrente, del quoziente di liquidità, dell’indice di rotazione dei capitale investito e dell’attivo circolante, ecc.). 6) Infine, mancherebbe la prova dell’intestazione fittizia delle quote alla sig.ra M. N., onde il difetto del periculum in mora.
Considerato in diritto
1. Osserva la Corte che il ricorso è manifestamente infondato.
2. E’ bene premettere che l’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricato: «Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte», dispone che «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, al fine di sottrarsi ai pagamento di imposte sui redditi o sui valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte dì ammontare complessivo superiore ad 51.645,69, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva». Il fatto tipico sotteso a tale previsione, che interessa nel caso di specie, è rappresentato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri beni e sottrarsi in tal modo al pagamento del debito tributano, ossia dal compimento di atti fraudolenti sui propri o altrui beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte sui redditi o dell’IVA ovvero di sanzioni ed interessi pertinenti a dette imposte, senza che sia necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (tra le altre, Sez. 5, n. 7916, 10/1/2007, dep. 26/2/2007, Cutillo, Rv 236053, Sez. 3, n.17071, 4/4/2006, dep. 18/5/2006, De Nicolo, Rv 234322). Infatti, la norma non contiene più alcun riferimento alle condizioni (effettuazione di accessi, ispezioni verifiche ovvero la preventiva notificazione di richieste o atti di accertamento) che erano invece previste dalla analoga fattispecie contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973 (art. 97, comma 6, come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4, poi abrogata dal vigente D.Lgs.): voluntas legis, del resto, che risulta bene evidenziata nella stessa Relazione governativa al decreto legislativo. Di conseguenza, perché siano integrati gli elementi costitutivi della fattispecie inerì mi natrice basta unicamente che la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato, «idoneità da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex ante – e non anche (per) l’effettiva verificazione di tale evento».
3. Pertanto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14720 del 06/03/2008, Rv. 239970), ai fini della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario) e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare. A tal uopo non solo non è necessario che fa procedura di riscossione coattiva abbia avuto avvio, ma anche che i prodromi di essa, ossia l’accertamento tributario sia già stato posto in essere attraverso le verifiche e le successive contestazioni, Tanto più quando, come nella specie, il protagonista di tale complessa operazione è un dottore commercialista, ossia di un professionista ben consapevole del significato dell’obbligazione tributaria, dei suoi presupposti e dell’eventualità del suo accertamento successivo con la conseguente attività riscossiva da parte dell’Erario e dei suoi agenti (dolo specifico).
4. Per tale ragione non ha pregio la prima parte della censura contenuta nel quarto motivo di ricorso, imperniato sulla anteriorità degli atti traslativi (compiuti nel 2008). La consapevolezza (ancor maggiore per un professionista) dell’aver eluso l doveri fiscali connota ogni attività dispositiva compiuta dal contribuente, come altamente indiziaria dell’attività simulatorio/fraudolenta e volta a prevenire la realizzazione della pretesa fiscale (che ben si conosce come fondata) Indipendentemente dal momento storico del suo accertamento, secondo le sequenze procedimentali adottate dall’Amministrazione finanziaria e dagli enti impositori.
5. Né ha pregio la seconda parte della censura contenuta nel quarto motivo di ricorso, imperniato sulla equivalenza del valore dei beni conferiti nel 2008 alla soc. O. srl con quello delle quote di essa. Il che è indubbiamente vero se non fosse che tali quote, successivamente (all’accertamento fiscale nei confronti del professionista, per gli anni d’imposta 2005-2010) sono passate di mano, finendo in quelle della convivente del debitore d’Imposta. Il che pone altro e diverso problema, ossia se l’intestazione di quelle quote, avvenute per mezzo di un meccanismo assai più raffinato della loro cessione (com’era stato prima ellitticamente sostenuta dalla pubblica accusa) dia riscontro all’ipotesi accusatoria nelle forme della fraudolenta interposizione di diverso soggetto d’imposta, immune dalla pretesa fiscale accertata nei confronti di altro debitore. Ciò che forma propriamente oggetto della quinta e sesta doglianza.
6. L’oggettività giuridica della fattispecie va individuata, secondo autorevole dottrina, nell’interesse a rendere possibile la riscossione attraverso l’intangibilità della garanzia patrimoniale rappresentata dai beni dell’obbligato (in tal senso, Sez.3, n. 32282 del 13/6/2007, dep. 8/8/2007, P.M c. Raffaele, Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, dep. 9/4/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970 ,Sez.3, n. 36290 del 18/5/2011, dep. 6/10/2011, Cualbu, Rv. 251077). Pertanto, la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile una eventuale procedura esecutiva.
7. L’eliminazione del presupposto dell’attivazione di una procedura coattiva di riscossione dall’economia della nuova fattispecie incriminatrice, determina, come la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato (cfr., da ultimo, Sez.3, n. 36290 del 18/5/2011, già citata dep. 6/10/2011, Cualbu, Rv. 251076), l’inquadramento del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nella categoria dei reati di pericolo, avendo il legislatore in tal modo stabilito una linea di tutela prodromica delle pretese del Fisco, attraverso l’illiceità penale delle condotte che pongano a repentaglio l’obiettivo di realizzazione della pretesa tributaria.
8. In base a tate impostazione non v’è sincronia, quindi, tra la consumazione del reato e la realizzazione della pretesa tributarla, dovendo la prima precedere la seconda per poter reprimere quelle condotte che mettono a rischio la “conservazione della generica garanzia patrimoniale riservata all’erario”: la fattispecie, per essere penalmente rilevante, richiede, come detto, che gli atti posti in essere siano idonei a ledere il bene stesso, secondo un giudizio ex ante.
9. Orbene, nella specie, è di tutta evidenza la complessità dell’operazione economica unitaria posta in essere dal B., secondo l’ipotesi accusatoria, senza che rivestano particolare interesse le ragioni economiche sottostanti all’operazione sul capitale indicate dai ricorrenti. Infatti, è proprio la predisposizione degli atti di trasferimento alla società Olimpya srl (controllata, con l’83,33% dal B.) dei valori immobiliari posseduti (tra cui anche la casa di abitazione) e, successivamente, il varo dell’operazione sul capitale (sua annullamento per perdite e successiva ricapitalizzazione da parte della convivente M.) a completare la fattispecie progressiva di “securizzazione dei cespiti” e il loro tentativo di sottrazione alle ragioni fiscali dell’Erario.
10. E’ stato già sottolineato che la dizione della disposizione (“il compimento di atti fraudolenti”) indica una condotta non necessariamente istantanea, né singolare, ma suscettibile invece di essere posta in essere in tempi e con modi ed atti diversi e plurimi, i quali solo nella loro lettura complessiva mostrano quella “idoneità” necessaria alla loro rilevanza penale (da qui, per una parte della dottrina, anche la possibile configurabilità del tentativo). Nel caso di specie, ciò risulta avvenuto attraverso due atti esecutivi della medesima condotta fraudolenta volta alla sottrazione delle garanzie patrimoniali; atti unificati dal dolo specifico di sottrazione della garanzia patrimoniale, compiuto attraverso la collaborazione della M., convivente del B..
11. Quanto alle censure relative alla effettività e alla giustificazione delle operazioni sul capitale, attraverso la necessità della verifica dei parametri enunciati nel quinto motivo di ricorso, esse non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, viepiù imperniato sulla verifica della cautela, essendo compito dei giudici di merito esaminare nel prosieguo del giudizio tali ragioni. Infatti, la gran parte delle censura di cui al quinto motivo mira, nella sostanza, ad indurre il giudice di legittimità ad una ulteriore, e diversa, valutazione degli elementi probatori acquisiti al processo, preclusa in questa sede. Va ricordato, in particolare, che in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito o di seguire possibili interpretazioni e ricostruzioni alternative dei fatti, suggerite dal ricorrente, ma quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
12. L’apparato motivazionale del provvedimento impugnato, di contro, risulta congruo e privo di qualunque smagliatura logica ed è pertanto immune da censura. In questa sede, infatti, basti osservare che l’ipotesi accusatoria trova una plausibile ragione di sostegno proprio nello strettissimo rapporto che lega i due protagonisti di questo ricorso, fin dall’alienazione del bene in comunione per finire aJJa richiamata operazione sul capitale della società proprietaria. Ciò che rende ragione anche della sesta doglianza.
13. Sono altresì privi di ragione il secondo e terzo motivo. Da un lato, infatti, risulta dei tutto irrilevante (ai fini delle legittimità dei sequestro), nella stessa economia della motivazione del provvedimento impugnato, la partecipazione di minoranza dei sigg. Z. e C., terzi estranei, i quali hanno rinunciato, in sede di ricapitalizzazione, al loro diritto di opzione e, dunque non hanno diritti da far valere; così come pure la partecipazione al 50% della M. nella nuda proprietà di un bene ceduto alla società Olimpya srl, sintomo anche questo della intestazione, se non simulata, fiduciaria del bene e del tentativo della sua securizzazione nel congegno societario fatto conseguire alla M. senza che vengano neppure enunciate le ragioni economico-patrimoniali (liquidità, sua provenienza, suoi flussi reddituali, ecc.) del suo avvenuto conseguimento.
14. Infine, l’improprietà tecnico-lessicale del Pm (e del GIP) per la descrizione tecnica dell’operazione elusiva posta in essere, rimesso in giusta luce dai Tribunale, oggetto del primo motivo di ricorso, non ha certo costituito una menomazione difensiva, essendo state specificate sufficientemente l’operazione economica e la finalità elusiva, ciò che ha reso effettive le possibilità di replica e di produzione di prove contrarie, che debbono essere garantite alla difesa, anche nel presente incidente cautelare.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed i ricorrenti devono essere condannati, ciascuno, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti ciascuno ai pagamento delle spese processuali.
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