CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2013, n. 39806
Tributi – Reati fiscali – Frode carosello – Scambio di merce sottocosto con il paradiso fiscale – Confisca del presunto profitto sull’IVA – Sussiste
Ritenuto in fatto
1. Nel corso di una verifica amministrativo-fiscale iniziata a carico della società N.P. & L. srl, l’Agenzia delle Dogane procedeva al sequestro di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse negli anni 2007-2010 nei confronti di più clienti.
In particolare, era emerso che la suddetta società, aveva effettuato acquisiti comunitari, nonché acquisti e cessioni di beni verso la Repubblica di San Marino, emettendo fatturazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti e contabilizzando in questo modo, componenti negativi di reddito così da ridurre la base imponibile indicata nelle dichiarazioni dei redditi; oltre a portare a credito IVA, non pagata a monte. Detta società avrebbe in particolare, attraverso il sistema delle cd “frodi carosello”, consentito ai propri clienti compiacenti di evadere le imposte dirette e indirette innescando il meccanismo di vendite con titolo di non imponibilità, poiché effettuate verso operatori comunitari o, come nel caso di specie, di San Marino.
Sulla scotta delle risultanze delle investigazioni svolte dall’Agenzia delle Dogane, anche su delega, il P.M., ipotizzati il reato associativo tra i vari coindagati, rilevato il carattere transnazionale dell’organizzazione, qualificati i reati fine in varie violazioni delle norme tributarie e, individuato il quantum del profitto di reato in almeno € 37.406,463,20, determinato dalla somma di tutte le evasioni all’imposta IVA poste in essere dai promotori del consortium sceleris e dalle società cartiere, formulava richiesta al GIP presso il Tribunale di Rimini, di emissione dell’ordinanza di custodia cautelare per i promotori, nonché richiesta di decreto di sequestro preventivo per equivalente ai sensi dell’art. 322 ter c.p. comma I, in relazione all’art. 1 comma 143 L. 244/2007 e all’art. 11 L. n. 146/2006.
Il GIP adotta il richiesto sequestro preventivo ritenendo sussistere il fumus del reato associativo con carattere di transnazionalità e dei reati fine di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 8 dlgs.vo 74/00, contestato a B.L.M., in qualità di legale rapp.te della società “S. Elettronica srl”, società con sede in San Marino, in quanto mediante la suddetta società ed avvalendosi del sistema delle frodi carosello cd. aperte, rivestendo la qualifica di società intermedia, avrebbe consentito l’evasione dell’IVA, mediante l’emissione dì fatture per operazioni almeno soggettivamente inesistenti, in vantaggio delle società coinvolte nella frode. Ha ritenuto, infine, applicabile per intero la confisca per equivalente rispetto a tutti i coindagati, stante il contestato concorso necessario.
2. Con ordinanza del 12.02.2013 il tribunale di Rimini, pronunciandosi sulla richiesta di riesame, presentata il 26.01.2013, da B.L.M. e riguardante il decreto dì sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Rimini, il 17.12.2012 nei confronti di vari indagati tra cui l’istante, rigettava l’istanza confermando il decreto stesso.
3. Avverso questa pronuncia l’indagato propone ricorso per cassazione.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, con cui il ricorrente lamenta la nullità per omessa motivazione che sarebbe solo apparente e deduce la sua estraneità alla frode carosello, è inammissibile.
2. Le censure del ricorrente sono destituite di fondamento net limiti in cui hanno profili di censure per violazione di legge, rimanendo inammissibili le plurime argomentazioni di merito, diffusamente argomentate, soprattutto in ordine alla sussistenza dell’elemento materiale dei reati per i quali sì procede e che saranno oggetto dell’apprezzamento e della valutazione dei giudici di merito.
Ed infatti in sede di riesame di sequestro preventivo, il tribunale deve stabilire l’astratta configurabìlità del reato ipotizzato; astrattezza che non limita i poteri del giudice, nel senso che questi deve limitarsi a prendere atto della tesi accusatoria senza svolgere alcuna attività, ma determina l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. L’accertamento, pertanto, della sussistenza del reato deve essere compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti al fine di verificare se essi consentano di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Il tribunale non deve quindi instaurare un processo nel processo, ma è chiamato a svolgere un indispensabile ruolo di garanzia tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie ed esaminando sotto ogni aspetto l’integrabilità dei presupposti del sequestro.
Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 29/05/2008 – 26/06/2008, n. 25932) il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
3. Nella specie l’impianto argomentativo dell’impugnata ordinanza del tribunale di Rimini è ampio, coerente e soddisfa l’esigenza di motivazione del provvedimento.
Il tribunale ha infatti puntualmente richiamato gli atti di indagine dai quali è risultato che il principale indagato delle frodi carosello denunciato nella Relazione dell’Agenzia delle Dogane dell’11 febbraio 2013 (A.) emetteva in favore del ricorrente assegni circolari e bancari per un importo di € 989.161,00; che a fronte di assegni emessi dall’A. in favore della S. Elettronica di B., per una somma pari ad € 234.000,00, risultava provata l’emissione di una somma pressoché corrispondente (€ 231.516,00) dalla Elettronica in favore della S. spa, società ritenuta ” interponente iniziale” nel sistema carosello e quindi vera destinataria del denaro da parte di A., a sua volta reale destinatario del prodotto da parte della S.; che la vendita di 800 telefonini “NOKIA-70” avvenuto da S. spa alla sanmarinese S. Elettronica, per € 117,00 al pezzo, passando per la successiva vendita da quest’ultima società alla “cartiera” T.S. a distanza di pochi giorni, e terminando il proprio iter nei magazzini della N.P. & L. srl di A., aveva consentito l’abbattimento del costo unitario fino ad € 87,50; che ciò consentiva di ritenere sussistente il contestato fumus e il contestato coinvolgimento della S. Elettronica e quindi del B. nelle cd. frodi carosello, poiché senza tale intermediazione non si sarebbe potuto realizzare l’abbattimento del costo dei beni e l’immissione nel mercato a prezzi concorrenziali.
Risultava quindi il quadro indiziario in capo al B. e alla S. Elettronica da questi amministrata, mediante la quale, parallelamente ad attività lecita, veniva agevolata la vendita di merci sottocosto avvalendosi del sistema fraudolento che vede la società S.I. spa, “Interponente iniziale” società reale che, attraverso il giro delle fatturazioni soggettivamente inesistenti, collocava sul mercato prodotti a prezzi molto competitivi, effettuando cessione U.E. non imponibile IVA alla società S. Elettronica, per poi rivendere, mediante questa società interposta i prodotti a società, allo stato considerabili quali “società cartiere”, create ad hoc al fine di agevolare l’evasione IVA della N.P. & L. srl dell’A. consentendo di lucrare l’IVA alle cessioni.
Si è quindi di fronte ad un tipico caso di cd. frode carosello mediante la quale alcune imprese nazionali beneficiano di indebite detrazioni iva e di un rilevante abbattimento dei costi attraverso la cessione, fatta loro sottocosto da «società di comodo» (cd. cartiere), di prodotti acquistati da società operanti in paesi dell’Unione europea in relazione alla quale non è effettuato, dalle medesime società di comodo, alcun versamento di Iva all’erario; sicché l’Iva portata in detrazione non viene in realtà pagata grazie all’interposizione fittizia delle cartiere.
Quanto alla confiscabilità per l’intero, predicata dal tribunale nell’impugnata ordinanza, questa Corte (Cass., sez. V, 10/01/2012 -11/04/2012, n, 13562, ha affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, avendo natura provvisoria, può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se poi il provvedimento definitivo di confisca, rivestendo invece natura sanzionatorta, non può essere duplicato o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso profitto. Principio questo che va qui ribadito. Cfr. anche Cass., sez. VI, 6/03/2009 – 5/05/2009, n. 18536, che parimenti ha ritenuto che in caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., può disporsi la confisca “per equivalente” di beni per un importo corrispondente al prezzo o al profitto del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura adozione di detta misura può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso.
4. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla Cassa delle ammende.
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