Corte di Cassazione sentenza n. 4020 del 14 marzo 2012
IVA – RESTITUZIONE – LIMITI
massima
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La restituzione dell’Iva indebitamente applicata e versata richiede che il destinatario della fattura non deve aver fatto la detrazione, ovvero non abbia recuperato l’imposta attraverso l’esercizio del diritto alla detrazione. Il principio dell’autonomia dei tre rapporti che sorgono per effetto della rivalsa dell’Iva, quello cioè tra il fornitore e il cliente, quello tra il fornitore e l’erario e quello tra il cliente e l’erario, non può infatti superare il principio di neutralità dell’imposta, che richiede in ogni caso, ai fini della regolarizzazione e del conseguente rimborso dell’imposta indebitamente fatturata, che sia esclusa l’eventualità di una perdita di gettito da parte dell’erario.
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PREMESSO IN FATTO
1. Con sentenza n. 43/3/06, depositata l’’8.9.06, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma 1 – avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dal Fondo Pensioni (…) nei confronti del silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione sull’istanza di rimborso dell’IVA, corrisposta per la locazione di immobili costituenti il patrimonio dell’ente.
Il contribuente aveva dedotto, al riguardo, l’esenzione di tali operazioni da imposta, avendo il Fondo natura di ente non commerciale.
2. La CTR – nel confermare la decisione di prime cure -riteneva, invero, non applicabile al caso concreto la norma di cui all’art. 21, co. 1 del D.P.R. n. 633/72, vertendosi, nella specie, in ipotesi di carenza assoluta del potere impositivo, e non di erronea fatturazione di operazioni, in astratto, imponibili.
3. Per la cassazione della sentenza n. 43/3/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate formulando un unico motivo, al quale l’intimato ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso. L’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 21, co. 7 del D.P.R. n. 633/72, dell’art. 2697 c.c. e della sentenza della C. Giust. CE n. 454/98 del 19.9.00.
1.1. Rileva, invero, l’amministrazione ricorrente che -in forza della normativa suindicata e della menzionata decisione della Corte di Giustizia, che sarebbero state, suo dire, disattese dalla CTR nell’impugnata sentenza -l’accoglimento dell’istanza di rimborso dell’IVA che si assume indebitamente assolta, nell’esercizio dell’impresa, dal cedente dei beni o dal prestatore di servizi, sebbene indicata in fattura, sarebbe subordinato alla prova, che incombe sul soggetto che ha emesso la fattura stessa, di avere eliminato qualsiasi pregiudizio per l’Erario.
1.2. Per il che, mancando agli atti – nel caso concreto -tale dimostrazione da parte del Fondo Pensioni (…), del tutto illegittimamente – a parere dell’Agenzia delle Entrate – l’istanza di rimborso dell’ IVA, corrisposta dal contribuente per la locazione di immobili costituenti il patrimonio dell’ente, sarebbe stata ritenuta fondata nei due gradi del giudizio di merito.
2. Ciò posto, va premesso che il Fondo Pensioni (…), in data 3.3.1990, proponeva istanza di rimborso dell’IVA, a suo avviso indebitamente corrisposta dal 30 aprile al 30 novembre 1969, su fatture emesse in relazione ad operazioni di locazione a terzi di immobili appartenenti al patrimonio dell’ente.
L’istante assumeva, invero, che, non avendo il Fondo mai svolto attività commerciale, tali concessioni dei beni in locazione dietro corrispettivo, non potevano essere considerate prestazioni di servizi svolte nell’esercizio di un’impresa, ai sensi degli artt. 1, 3 e 4 del D.P.R. n. 633/72.
Nei confronti del silenzio rifiuto, serbato dall’amministrazione sull’istanza di rimborso, il Fondo Pensioni (…) proponeva, quindi, ricorso alla CTP di Roma che lo accoglieva, con sentenza confermata, poi, anche dalla CTR del Lazio con la decisione n. 43/3/06.
Avverso tale ultima pronuncia insorga, pertanto, l’amministrazione finanziaria, con ricorso per cassazione affidato all’unico motivo suesposto.
3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che la censura è fondata e va, pertanto, accolta.
3.1. Nel nostro ordinamento finanziario il sistema impositivo dell’IVA si configura, invero, come un sistema connotato dal c.d. principio della neutralità dell’imposta, essendo fondato essenzialmente sui criteri della rivalsa e della detrazione, ossia dall’obbligo di riversarla per l’operatore che l’incassa, e dalla possibilità di recuperarla per l’operatore che la paga. Il cedente dei beni o il prestatore del servizio nell’esercizio di un’impresa – ha, invero, l’obbligo di versare all’Erario l’IVA nell’importo indicato nella fattura che si riferisce alla cessione di beni o alla prestazione di servizi (o alle importazioni effettuate) e deve, poi, addebitarla, a titolo di rivalsa, al cessionario committente; quest’ultimo, a sua volta, ha la possibilità di detrarre – dall’imposta relativa alle operazioni effettuate – l’ammontare dell’imposta assolta o dovuta, o a lui addebitata a titolo di rivalsa, ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/72. Per i soggetti IVA (imprenditori e lavoratori autonomi), dunque, l’applicazione dell’imposta è, in via di principio, neutrale, posto che l’IVA sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti, mentre quella sui loro acquisiti è recuperata compensandola con la prima, a guisa di credito verso l’Erario; per il che il tributo viene a gravare, in via definitiva, sui cd. consumatori finali.
3.2. Da quanto suesposto consegue, pertanto, che il fatto stesso di avere emesso fatture con addebito dell’IVA, comporta di per sé l’obbligo del cedente o del prestatore di servizio di versare all’Erario l’IVA nell’importo indicato in fattura, anche se trattasi di operazione esente erroneamente assoggettata ad imposta, o di operazione assoggettata ad un’aliquota superiore a quella dovuta.
La sola emissione della fattura viene, difatti, ad incidere direttamente sul soggetto che l’ha emessa, costituendolo debitore di imposta sulla base dell’applicazione del cd. principio di cartolarità (Cass. 12547/01).
E tuttavia, l’IVA indebitamente corrisposta per la cessione di un bene o per la prestazione di un servizio, nonostante l’esistenza – come nei caso di specie – di una ragione di esenzione, legittima il prestatore del servizio o il cedente all’azione di ripetizione nei confronti dell’amministrazione, mentre il committente o il cessionario hanno il diritto di ottenere da detto prestatore o cedente la restituzione di quanto versato in sede di rivalsa (cfr. Cass. S.U. 13446/91).
Pertanto, nel caso in cui un’operazione sia stata erroneamente assoggettata ad IVA e risultino, di conseguenza, privi di titolo sia il pagamento dell’imposta che la rivalsa nei confronti del cessionario e la detrazione da questi successivamente operata, il cedente ha diritto di chiedere all’amministrazione il rimborso del tributo corrisposto, ed il cessionario quello di domandare al cedente la restituzione della somma pagata in rivalsa.
Per parte sua, l’amministrazione ha il potere-dovere di escludere la detrazione dell’imposta dalla dichiarazione presentata dal cessionario (v. Cass. 12719/04).
3.3. Orbene, i rilevi che precedono evidenziano inequivocabilmente che dal compimento di un’operazione assoggettata ad IVA discendono tre rapporti: a) tra l’amministrazione finanziaria ed il cedente, relativamente al pagamento dell’imposta; b) tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa; c) tra l’amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.
Secondo l’insegnamento costante di questa Corte, peraltro, i tre rapporti, sebbene collegati, restano distinti ed indipendenti e non interferiscono tra loro. Ne consegue – per quel che rileva in questa sede – che l’amministrazione finanziaria non può opporre l’avvenuta rivalsa sul cessionario al cedente che agisca, come nel caso concreto, per il rimborso dell’imposta indebitamente versata (Cass. 6415/03, 12719/04, 12116/09, 2826/10). E tuttavia, va osservato che l’autonomia dei rapporti summenzionati ed, in particolare, l’inopponibilità al cedente della rivalsa operata sul cessionario, non sono, sufficienti a risolvere la questione – sollevata, nella specie, dall’amministrazione finanziaria – del pregiudizio per l’Erario che deriverebbe da una disciplina dell’IVA fondata esclusivamente sulla rigida applicazione delle regole dell’autonomia dei diritti e della non interferenza delle azioni relative ai tre rapporti succitati. È di chiara evidenza, invero, che il suddetto pregiudizio conseguirebbe, senza ombra di dubbio, ad una non reversibile utilizzazione, da parte del cessionario, del credito derivante dalla rivalsa.
In tale ipotesi, infatti, la detrazione – dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, delle somme relative all’imposta addebitata al cessionario o al committente a titolo di rivalsa – determinerebbe, innegabilmente, la perdita di una entrata tributaria da parte dell’Erario.
3.4. Il menzionato principio della neutralità dell’IVA, con i principi della rivalsa e della detrazione che lo connotano, va, pertanto, correttamente interpretato alla luce dei principi desumibili dal diritto comunitario cogente, che – in quanto sovraordinato a quello nazionale -devono trovare applicazione anche d’ufficio da parte del giudice, pure nel giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 11642/10, 6231/10, 21637/10).
Ebbene, va rilevato al riguardo che – con riferimento alla VI direttiva 77/333, in tema di IVA – la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che, sebbene il principio della neutralità dell’IVA richieda che l’imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata – senza che tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso la fattura, o dipendere dal potere discrezionale dell’amministrazione tributaria detta regolarizzazione può avvenire, tuttavia, soltanto quando venga “eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali” per l’Erario (C. Giust. CE, n. 454/98 del 19.9.00); e tale rischio viene reso attuale – com’è del tutto evidente – dalla detrazione dell’imposta che il cessionario può agevolmente operare nella propria dichiarazione.
Quest’ultima, se effettuata, viene invero a determinare -oggettivamente ed indipendentemente dall’originario intento dei contraenti – una corrispondente minore entrata tributaria per l’amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 12719/04, in motivazione).
In conclusione, dunque, l’autonomia dei tre rapporti originati da un’operazione assoggettata ad IVA presuppone che rimanga salvo il principio della neutralità dell’IVA, nella disciplina risultante dall’applicazione della normativa comunitaria succitata, che postula in ogni caso -ai fini della regolarizzazione, e del conseguente rimborso di un’imposta indebitamente fatturata – che sia, in concreto, esclusa l’eventualità di una perdita di entrate fiscali da parte dell’Erario (cfr. Cass. 2826/10, in motivazione).
3.5. Orbene, facendo applicazione di tali affermazioni di principio al case concreto, deve rilevarsi che, benché sia del tatto incontroverso che il Fondo Pensioni (…) sia un ente non commerciale e, per tanto, non soggetto all’IVA, in quanto non svolgente attività di impresa, non risulta in alcun modo acquisita agli atti la dimostrazione, da parte dell’intimato, che i conduttori che avevano corrisposto il canone locativo per gli immobili concessi loro in locazione dall’ente non avessero portato in detrazione l’importo dell’IVA loro addebitata in rivalsa.
Per il che la dimostrazione della mancanza di danno per l’Erario, che possa derivare dal rimborso dell’imposta indebitamente corrisposta, non risulta acquisita agli atti.
4. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto e, di conseguenza, l’impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’intimato soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; condanna l’intimato alle spese del presente giudizio, a favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in €. 9.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.
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