Corte di Cassazione sentenza n. 4031 del 14 marzo 2012
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – POTERE DI DISAPPLICAZIONE DELLE SANZIONI – REGIME PROCESSUALE
massima
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Il potere di disapplicazione delle sanzioni sussiste quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, ne, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
La controversia concerne l’impugnazione dell’avviso di accertamento ai fini ICI emessi dal Comune di Motta Montecorvino per l’anno 2005 e relativi agli aero generatori del “parco eolico” della società contribuente, la quale ne contestava l’accatastamento nella categoria D/1-Opificio, sostenendone che ne fosse più corretto l’accatastamento nella categoria E. La Commissione adita accoglieva il ricorso, disponendo che le pale eoliche dovessero essere accatastate nella categoria E/3-Costruzioni e Fabbricati per speciali esigenze pubbliche. L’appello del Comune era accolto, con la sentenza in epigrafe, che confermava la legittimità degli accertamenti impugnati sulla base della riconosciuta accatastabilità delle pale eoliche nella categoria D/1- Opificio.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione con unico complesso motivo la società contribuente. Il Comune non si è costituito.
MOTIVAZIONE
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, la società contribuente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione alla domanda di annullamento delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, D.Lgs. 472 del 1997, art. 6, comma 2, L. n. 212 del 2002, art. 10, comma 3, D.L. n. 44 del 2005, art. 1-quinquies (convertito con L. n. 88 del 2005), art. 7, lett. b), D.Lgs. n. 504 del 1992. Il giudice di merito avrebbe esaminato la controversia solo sotto il profilo dell’accatastabilità del parco eolico in categoria D/1, ritenendo assorbita ogni altra domanda od eccezione, trascurando così la domanda della società contribuente che la sentenza di prime cure fosse confermata almeno nella parte in cui annullava le sanzioni irrogate. In particolare, la motivazione della sentenza impugnata peccherebbe per avere ritenuto “indubbio”, con riferimento all’anno 2005 (annualità oggetto dell’accertamento), l’inclusione delle “pale eoliche” nel genus “centrali elettriche”, pur in assenza di uno specifico intervento del legislatore sulla classificabilità dei parchi eolici e stante gli evidenti contrasti interpretativi nella giurisprudenza di merito sul punto, anche in epoca successiva a quella dell’accertamento. Pertanto la società contribuente chiede che in parziale riforma della sentenza impugnata siano annullate le sanzioni irrogate con il contestato avviso d’accertamento.
La censura – con la quale si allega un vizio di omessa pronuncia, stante anche il totale silenzio dell’impugnata sentenza sul punto – è inammissibile in forza del principio affermato da questa Corte secondo cui “l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo (Cass. 1755 del 2006; 1196 del 2007).
Peraltro, va ricordato che questa Corte ha stabilito che “in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, potere conferito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e ribadito, con più generale portata, dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, e quindi dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, nè, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto” (Cass. n. 22890 del 2006; 7502 del 2009). Nel caso di specie questa “pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione” non è rilevabile nella normativa applicabile.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Non occorre provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.
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