CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 settembre 2013, n. 40359
Extracomunitario – Illecita permanenza nel territorio dello Stato – Ammenda – Sostituzione della pena pecuniaria con l’espulsione – Esame concreto delle singole vicende
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Verona ha rigettato l’appello proposto da S.M.I. contro la sentenza con cui, in data 23 aprile 2010, il Giudice di pace di Verona lo condannò alla pena di € 4000,00 di ammenda, sostituita dall’espulsione per un periodo non inferiore ad anni cinque dal territorio dello Stato, in relazione al reato dì cui all’art. 10-bis d.Igs. n. 286 del 1998 in quanto, quale cittadino extracomunitario, aveva fatto ingresso e\o si era trattenuto sul territorio dello Stato italiano in violazione delle norme in materia di immigrazione, alla data del 13 ottobre 2009.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to B.M.I.., deducendo:
– violazione di legge. L’accusa avrebbe dovuto dimostrare l’irregolarità della permanenza sul territorio dell’imputato, onere che non è stato soddisfatto e che avrebbe costituito il necessario presupposto della condanna. Inoltre, la previsione prioritaria della partenza volontaria di cui alla Direttiva dell’Unione europea, c.d. Direttiva rimpatri, contrasta con l’applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 10-bis d. Igs. n. 286 del 1998.
– violazione di legge, dal momento che la menzionata norma è in contrasto con le previsioni della indicata Direttiva.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato per le ragioni e nei limiti di seguito esposti. Deve però anzitutto escludersi una carenza o manifesta illogicità nella motivazione in punto di affermazione di responsabilità, perché la sentenza ha dato atto dell’accertamento della presenza dell’imputato sul territorio dello Stato per un apprezzabile periodo di tempo e in mancanza di un permesso di soggiorno.
Ciò detto, si osserva che la norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato – art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 – ha di recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – e non criminalizza un «modo di essere» della persona.
Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal «fare ingresso» e dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.
Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.
La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la rilevanza penale di correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: si tratta di un bene “strumentale”, per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di “categoria”, capace di accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.
Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la compatibilità della norma di cui all’art. 10-bis d. Igs. n. 286 del 1998 con alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in particolare con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento risolutivo della Corte di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Rovigo, nel procedimento penale a carico di M.S.. Ed è appena il caso di ricordate che già questa Corte aveva statuito che «la fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10-bis d.lgs n. 286 del 1998, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato» – Sez. 1, n. 951 del 22/11/2011 (dep. 13/1/2012), Gueye, Rv. 251671.
La Corte di giustizia, con la richiamata decisione, ha escluso che le disposizioni della direttiva impediscano alle legislazioni statali di affidare ad una pronuncia giudiziaria di carattere penale la decisione impositiva dell’obbligo del rimpatrio.
La pena dell’espulsione, si come prevista nell’ordinamento italiano, non si pone in contrasto con le disposizioni della direttiva, seppure comporti un obbligo di rimpatrio immediatamente esecutivo e non implichi l’adozione di una separata decisione circa l’allontanamento. E però, siccome priva l’interessato della possibilità di concessione di un periodo di tempo per la partenza volontaria, come invece è sancito dall’art. 7 par. 4 della direttiva, la deroga a tale previsione di garanzia e quindi la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria sono condizionate allo specifico apprezzamento, tra l’altro, del pericolo di fuga e quindi di sottrazione del condannato alla procedura di rimpatrio.
Le decisioni di espulsione che comprimano il diritto all’allontanamento volontario non possono pertanto prescindere da un esame in concreto delle singole vicende poste alla cognizione del giudice.
Escluso che le disposizioni della direttiva precludano di sanzionare il soggiorno irregolare con una pena pecuniaria sostituibile con la pena dell’espulsione, la Corte di giustizia ha decretato che il giudice interno ha comunque l’obbligo di disapplicare la normativa nazionale che, imponendo l’espulsione quale risposta sanzionatoria penale, non consenta all’interessato di fruire dell’opzione della partenza volontaria in tutti i casi estranei alla previsione di deroga dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva medesima, e quindi non caratterizzati da un pericolo di fuga, o da un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale o, ancora, dal rigetto, per manifesta infondatezza o per fraudolenza, di una precedente domanda di soggiorno.
Così ricostruito il quadro delle compatibilità con la normativa costituzionale e con quella sovranazionale, questa Corte non può che rilevare l’illegittimità della sostituzione della pena pecuniaria con la misura dell’espulsione ove non preceduta e sostenuta da un esame in concreto della vicenda, e quindi dall’apprezzamento dì una di quelle condizioni che possano giustificare la deroga alla regola generale della priorità della procedura di allontanamento volontario.
La sentenza impugnata non ha svolto detto necessario esame, non potendo in tal senso essere sufficiente il richiamo ai precedenti penali del ricorrente.
Essa, pertanto, deve essere annullata con rinvio, in modo che il giudice del merito possa valutare se sussistano le condizioni per la sostituzione della pena pecuniaria – da determinarsi necessariamente nel suo ammontare – con la misura dell’espulsione, e, per il caso che ciò non sia, si astenga dall’applicare la normativa interna che detta sostituzione consente in modo non conforme ai contenuti prescrittivi della direttiva europea, sì come esplicitati dalla decisione interpretativa della Corte di giustizia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata quanto alla disposta espulsione e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Verona. Rigetta il ricorso nel resto.
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