CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2013, n. 40988
Tributi – Reati tributari – Occultamento documenti contabili – Amministratore di fatto della società – Prestanome – Ritrovamento documentazione bancaria – Sussiste
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 4/4/2011, dichiarava G. P. e T. M., quali amministratori della T.& C. s.a.s., nonché G. B. e S. B., quali amministratori di fatto della predetta società, colpevoli del reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 10, d.Lvo 74/2000, per avere occultato in parte i documenti di cui era obbligatoria la conservazione, così da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, evadendo le imposte sui redditi e sul valore aggiunto; dichiarava, altresì, il P. e i B. responsabili del reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 8, d.Lvo 74/2000, perché nelle qualità, ut supra, indicate, emettevano la fattura n. 1, del 29/4/05, per un importo imponibile pari ad euro 375.430,00, oltre i.v.a. per euro 75.086,00 a favore della M. s.p.a. per operazioni inesistenti al fine di consentire alla predetta società di evadere l’imposta sui redditi e sul valore aggiunto; condannava i prevenuti alle pene ritenute di giustizia.
La Corte di Appello di Brescia, chiamata a pronunciarsi sugli appelli interposti nell’interesse degli imputati, con sentenza del 16/10/2012, ha confermato il decisum di prime cure.
Propongono autonomi ricorsi per cassazione gli imputati con i seguenti motivi:
– per P. la Corte territoriale è pervenuta alla conferma della responsabilità del prevenuto in ordine ai reati ad esso ascritti a seguito di una evidente non corretta lettura delle emergenze processuali;
– la sentenza impugnata omette di indicare gli elementi sulla scorta dei quali fosse possibile individuare la consapevolezza del prevenuto in ordine alla falsità della fattura n. 1 del 2005 e della complessiva operazione con la M. P. s.p.a., peraltro in presenza del contemporaneo riconoscimento della responsabilità dei commercialisti che avevano in carico la tenuta delle scritture obbligatorie;
– illogicità della motivazione in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche;
– illogicità di motivazione in relazione al mancato esame della richiesta di applicazione della continuazione, ex art. 81 cod.pen. con precedente condannatorio, e remissione della soluzione della problematica al giudice
dell’esecuzione;
– per i B.: violazione dell’art. 178, lett. c, cod.proc.pen., in relazione al rigetto immotivato della istanza di rinvio avanzata per impedimento del difensore, determinato dagli esiti di un intervento chirurgico;
– il giudice di merito è pervenuto ad affermare la responsabilità dei prevenuti, sulla base di una ritenuta, erronea, attività di amministrazione di fatto esercitata dagli stessi sulla società T.& C. s.a.s.;
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili.
Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta la impugnata pronuncia, svolto in uno all’analisi dei motivi dì annullamento, formulati nei rispettivi atti di gravame, permette di ritenere la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla concretizzazione dei reati in contestazione e alla ascrivibilità di essi in capo ai prevenuti.
Ad avviso del giudice di merito la colpevolezza degli imputati, in ordine ai reati ad essi rispettivamente ascritti, risulta provata oltre ogni ragionevole dubbio.
Si è contestato al P., quale amministratore di diritto della T.& C. s.a.s., nonché a G. B. e S. B., quali amministratori di fatto della predetta società, di avere posto in essere condotte tali da integrare la fattispecie di cui all’art. 10, d.Lvo, 74/2000, in quanto al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultavano in parte i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, così da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari.
Si è contestato, altresì, ai prevenuti, nelle rispettive predette qualità, di avere emesso una fattura per operazione inesistente, così da porre in essere una condotta sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 8, d.Lvo 74/2000.
Il decidente evidenzia come le deposizioni degli agenti operanti l’accertamento (testi A., F., F.) assunte abbiano permesso di rilevare, in dipendenza degli elementi riscontrati, contabilmente ed attraverso il raffronto con documentazione bancaria, la sussistenza di condotte penalmente rilevanti a carico degli imputati, quali quelle contestate in rubrica; non era stato accertato il pagamento della fattura n. 9/05 del 18/2/05, emessa dalla A.G. e neppure della fattura emessa dalla ditta di autotrasporti M. C.; la A.G. aveva poco dopo stornato la fattura n. 9/05 con la nota di accredito n. 18/05, del 28/2/05, di importo di euro 5.000,00, al netto della imposta, relativa unicamente ad un refrigeratore modello GRAC 105/Z, ciò nonostante il documento di trasporto riguardava tutti i beni di cui alla predetta fattura n. 9/05; T.& C. s.a.s. aveva, tuttavia, a sua volta, venduto tutti i beni per i quali era stata emessa la fattura 9/05 a M. P. s.p.a., emettendo la fattura n. 1 del 29/4/05; peraltro, la nota di accredito 18/2005 era stata occultata, ovvero distrutta dalla T.& C. e la sede sociale della A.G. risultava inesistente.
Con il primo motivo di annullamento, il P. eccepisce il vizio di motivazione in ordine alla affermata sussistenza dei reati di cui ai capi di incolpazione e dell’elemento soggettivo degli stessi, nonché il travisamento del fatto in ordine alla consegna dei macchinari oggetto della fattura n. 1 del 29/4/2005; consegna confermata dal decreto di archiviazione della Procura Generale della Corte dei Conti, presso la sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, acquisito in atti.
La censura è manifestamente infondata.
Rilevasi, infatti, che con essa si tende ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame, allorché, peraltro, il discorso estimativo, sviluppato dal giudice di merito sulla piattaforma probatoria, si palesi compiuto, logico ed esaustivo, come nella specie.
Quanto, in particolare, al richiamato decreto di archiviazione, la Corte territoriale, a giusta ragione, rileva che il Giudice Contabile aveva preso in esame il contratto di fornitura, datato 28/4/04, che il M. C. avrebbe stipulato con la T.& C., quale società capocommessa, per un importo di euro 1.920.816,00, pagato con un assegno emesso il 16/7/04.
Non è, però, ad avviso della stessa Corte, ipotizzabile che detto pagamento riguardi anche la fornitura per cui si procede, in quanto il citato assegno era stato emesso ben dieci mesi prima della fattura n. 1 del 29/4/05 ed anche dello stesso DDT, risalente al dicembre 2004, e per una cifra notevolmente superiore a quello indicato nella citata fattura.
Quindi, in considerazione dell’epoca di emissione e dell’importo, tale assegno pare piuttosto essere stato emesso a parziale pagamento delle fatture n. 4 del 7/7/04 e 5 del 13/7/04, dell’importo imponibile complessivo di euro 2.633.439,00, a cui si riferisce il capo di imputazione n. 19, in relazione al quale gli imputati sono stati assolti dal reato ex all’art. 8, d.Lvo 74/2000, con sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 630/2011, irrevocabile il 10/11/2011.
Pertanto, proprio perché il citato decreto di archiviazione faceva riferimento al contratto del 28/4/04 ed all’assegno del 16/7/04, le valutazioni ivi contenute, secondo il giudice di merito, non possono ritenersi riferibili ai fatti per cui si procede nel presente giudizio.
Con il secondo motivo di annullamento, la difesa del prevenuto contesta il vizio di motivazione attinente alla sussistenza del dolo in capo al P..
La pronuncia impugnata, sul punto, evidenzia come all’epoca dei fatti contestati G. P. rivestisse la carica di socio accomandatario della T.& C., conseguentemente, in ragione dei poteri e dei doveri derivanti dalla carica, che gli conferiva, inoltre, la rappresentanza legale, egli era responsabile della tenuta della intera contabilità, nonché dei contratti stipulati e di ogni operazione posta in essere in nome e per conto della società medesima.
Ravvisa, ancora, il decidente la esistenza di plurimi elementi a conferma della attiva partecipazione dell’imputato all’operazione in questione: nella quietanza del 4/7/05 veniva dato atto che l’importo di euro 5.000,00 era stato consegnato al P., il quale, inoltre, aveva firmato la conferma d’ordine che supportava la emissione della fattura n. 9/05 della A.G. s.a.s.; il M. riferiva di avere conosciuto, attraverso il ragioniere B., la T.& C. nella persona del P..
Tutti i predetti elementi, indicati miratamente dalla Corte distrettuale, portano in maniera univoca a ravvisare che l’imputato gestiva anche la parte amministrativa e commerciale della società, probabilmente sotto le direttive del predetto B., per cui il giudice di seconde cure ha ritenuto, correttamente, di confermare il giudizio di penale responsabilità del prevenuto in relazione ai reati ad esso ascritti.
Del pari immeritevole di accoglimento è il terzo motivo di ricorso, con cui sì censura il trattamento sanzionatorio e il mancato riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 cod.pen., in quanto il giudice di merito, fornisce ampie giustificazioni, sia in punto di giustezza della pena inflitta in primo grado, non ravvisando elementi che possano far propendere per operare un intervento in melius, che in ordine al diniego delle attenuanti generiche, alla concessione delle quali ostano la gravità della condotta posta in essere e i precedenti penali a carico dell’imputato.
Manifestamente infondato è l’eccepito vizio di motivazione sul mancato riconoscimento del vincolo di continuazione tra i delitti oggetto dei capi di imputazione e quelli di cui alla sentenza di applicazione della pena, resa dal Tribunale di Bergamo, in data 2/2/2009, visto che il decidente, nel riscontrare lo specifico motivo di appello, ha ritenuto di rinviare alla sede esecutiva ogni valutazione sulla applicazione dell’art. 81 cod.pen., rilevando che la assoluzione per insussistenza del fatto, disposta con la citata sentenza, n. 630/2011, della Corte di Appello di Bergamo, nei confronti dei coimputati in relazione ad uno dei reati per il quale il prevenuto era stato condannato, con sentenza irrevocabile, potrebbe portare ad una revisione della condanna del P. per il medesimo reato e, quindi, influirebbe anche sulla determinazione della complessiva pena.
Con il primo motivo di ricorso, proposto nell’interesse di G. B. e S. B., si eccepisce la inosservanza dell’art. 178, co. 1, lett. e), cod.proc.pen., in relazione al rigetto da parte della Corte di merito dell’istanza di rinvio, presentata dal difensore degli appellanti, determinata dalla inabilità temporanea del predetto difensore a causa degli esiti di un intervento chirurgico a cui lo stesso era stato di recente sottoposto.
La doglianza è priva di pregio, visto che, come emerge dagli atti, il giudice ha ritenuto del tutto generico il contenuto del certificato medico, allegato alla richiesta di differimento della udienza, in quanto in esso non era specificata la assoluta impossibilità dell’avvocato a presentarsi.
Sul punto, si rileva che non è censurabile la decisione del giudice di merito che non ravvisi l’impedimento del difensore, attestato da un certificato medico che non specifichi né il tipo di patologia da cui il difensore sarebbe stato affetto, né le ragioni per cui avrebbe dovuto ritenersi sussistente una assoluta impossibilità per lo stesso a lasciare la propria abitazione (Cass. 19/1/2000, n. 716); è, dunque, evidente che la Corte di Appello si è attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, senza che possa ravvisarsi nel provvedimento impugnato l’eccepita violazione di legge ex art. 178, co. 1, lett. e), cod.proc.pen.
Del tutto priva di pregio va ritenuta l’ulteriore censura, attinente alla riconosciuta responsabilità in capo ai prevenuti in ordine ai reati ad essi ascritti.
Il discorso giustificativo, sviluppato dal giudice di merito, analogamente a quanto osservato in relazione alla posizione del P., trae fondamento dalla esaustiva lettura degli elementi costitutivi la piattaforma probatoria, adeguatamente valutati dal decidente: il rinvenimento presso gli studi gestiti dal B. di modulistica bancaria già sottoscritti in bianco dal legale rappresentante della T.& C. s.a.s.; il ruolo attivo svolto dal B. G. nella segnalazione al M. delle società a cui rivolgersi per l’acquisto di macchinari per cui fruire di aiuti comunitari; la scelta operata dallo stesso B. del M. come nuovo socio accomandatario, in occasione del trasferimento della sede della predetta società in altra provincia e della modifica della compagine sociale, finalizzata palesemente a farne perdere le tracce.
Ad avviso della Corte di merito, a giusta ragione, tutti i predetti elementi confermano che lo studio dei prevenuti rappresentava il vero centro decisionale della società, mentre gli amministratori di diritto si limitavano ad eseguire le indicazioni dei due professionisti, i quali ponevano in essere le condotte incriminate, in modo coordinato, con i dipendenti dello studio e i prestanome.
Peraltro, con il secondo motivo di annullamento si tende a procedere ad una rilettura delle risultanze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è precluso un nuovo esame estimativa.
Rilevasi, in relazione la richiesta, formulata in sede di conclusioni dal P.G. alla odierna udienza, di annullamento della sentenza senza rinvio per prescrizione dei reati, che la stessa non può trovare accoglimento, in quanto la inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consentendo il compiuto instaurarsi del rapporto di impugnazione, preclude di rilevare e dichiarare la sussistenza di cause di non punibilità, ex art. 129 cod.proc.pen. (Cass. S.U. 22/11/2000; De Luca).
Tenuto, di poi, conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il P. e i B. abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi, a norma dell’art. 616 cod.proc.pen., devono, altresì essere condannati singolarmente al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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