CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2013, n. 40992
Tributi – Reati tributari – Evasione fiscale – Omessa dichiarazione dei redditi – Accertamento induttivo – Misura cautelare – Legittimità
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale della libertà di Napoli, con ordinanza del 10 gennaio 2013, ha rigettato il riesame proposto da (…), avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola che aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente in data 21 dicembre 2012, in riferimento al reato di cui 7 gennaio 2011 della quota parte del 50% di un immobile e delle somme depositate sui conti correnti bancari sino alla concorrenza di euro 47.012,50, ravvisando la sussistenza del fumus delicti quanto al reato di cui all’art. 5 D.Igs. n.74 del 2000, per omessa dichiarazione dei redditi con imposta evasa ammontante a euro 88.770,00, in riferimento all’anno di imposta 2010.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione I'(…), tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento, per i seguenti motivi: 1) Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 62 bis D.l. n. 331 del 1993, 3 7, comma 1 legge n. 212 del 2000 in relazione all’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, infatti, attesa la mancanza dello studio di settore al quale l’Agenzia delle Entrate fa esplicito riferimento nella determinazione del reddito imponibile, non è possibile considerare sussistenti gli elementi del fumus delicti, avendo l’Agenzia determinato i redditi evasi per i quali non era stata presentata la dichiarazione dei redditi in euro 220 mila. La motivazione del Tribunale, laddove ha affermato che la mancanza nel fascicolo degli studi di settore applicabili all’attività svolta dall'(…), non equivale ad inesistenza degli stessi, non risulterebbe sufficiente, atteso il dettato dell’art. 62 bis del D.P.R. n. 331 del 1993 ed inoltre l’obbligo di motivazione dei provvedimenti emanati dal Fisco; 2) Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 125 c.p.p., per carenza di motivazione quanto alla determinazione del volume di reddito asseritamente evaso.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. E’ quasi superfluo rammentare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dai giudice, (così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv, 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta).
2. Non possono pertanto essere censurati in questa sede presunti vizi di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento alle circostanze di fatto, quale quella relativa alla mancata allegazione degli studi di settore utilizzati dall’organo accertatore per determinare il reddito dell’indagato e la conseguente imposta evasa. Infatti benché la doglianza concerne la motivazione, nella sostanza il primo motivo mira a sollecitare una riesame di circostanze fattuali, quali la tipologia dell’attività esercitata dall'(…) (se rientri o meno nella categoria degli studi di settore “altre rappresentazioni artistiche”). Infatti la giurisprudenza ha stabilito che si ha motivazione apparente e, quindi, inesistente soltanto quando la stessa risulti completamente avulsa dalle risultanze processuali “ovvero si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa”, per cui il ragionamento che il giudice ha posto a base della decisione adottata risulti meramente fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (cfr. Sez. 5, n.24862 del 19/5/2010, dep. 1/7/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682). Di contro, nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta immune da censure, in quanto ha esaustivamente motivato le ragioni del rigetto del gravame proposto, ricostruendo gli elementi di sussistenza del fumus delicti quanto al reato di cui all’art. 5 D.lgs n. 74 del 2000 e spiegando la legittimità dei vincolo cautelare imposto sui beni riconducibili all’indagato.
3. Né risulta fondato il vizio di violazione di legge quanto all’utilizzo del metodo induttivo disciplinato dagli studi di settore. Premesso che tali studi sono posti a base di un procedimento di accertamento disciplinato dal diritto tributario che consente il contraddittorio del contribuente, deve essere rilevato che, per quanto attiene all’ambito di rilevanza penale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che, proprio ai fini di verificare il superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (cfr, Sez. 3, n. 24811 del 28/4/2011, dep. 21/6/2011, Rocco, Rv. 250647); tale principio, affermato in relazione al giudizio sulla responsabilità, vale innanzitutto nella sede cautelare, essendo riservato al giudizio di merito la verifica degli altri elementi eventualmente acquisiti nel contraddittorio tra le parti, che “corroborino”, od al contrario possano smentire, le affermazioni del Fisco in applicazione della normativa richiamata sugli studi di settore.,
4. Anche il secondo motivo risulta infondato, essendo evidente che, nella presente fase cautelare, non può essere invocata una rideterminazione dell’imposta evasa, e quindi del quantum da sottoporre a vincolo reale, trattandosi di tema, come già detto, riservato al giudizio di merito; risulta del resto perfettamente congruo ed esaustivo il corpus motivazionale speso dal Collegio di riesame sul punto, quanto alla verifica di elementi indiziari di superamento della soglia quantitativa necessaria all’Integrazione della fattispecie penale di cui all’art. 5 D.lgs n. 74 del 2000.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e, di conseguenza, il ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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