Corte di Cassazione sentenza n. 4206 del 20 febbraio 2013
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – INIDONEITÀ PERMANENTE AL LAVORO – MALATTIA – DISTINZIONE – CONSEGUENZE IN ORDINE ALL’ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
massima
_____________________
La malattia del lavoratore deve distinguersi dalla sua inidoneità al lavoro in quanto, pur essendo entrambe cause d’impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina, ai sensi dell’art. 2110 cod. civ., la legittimità del licenziamento quando ha causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, e non implica necessariamente l’impossibilità totale della prestazione consentendo la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilita dall’art. 5 dello statuto dei lavoratori, indipendentemente dal superamento del periodo di comporto.
_____________________
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26.5.2009, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Agrigento, condannava l’appellante, C.C. s.r.l., alla corresponsione, in favore di M.G., in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro e per effetto della opzione esercitata dal predetto, delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino alla data in cui era stato effettuato il pagamento dell’indennità sostitutiva (14.3.2008), in cui si era risolto il rapporto di lavoro.
Confermava nel resto la sentenza impugnata.
Rilevava che il M.G., nel salire su una pala meccanica, aveva subito un trauma al ginocchio sinistro e che il “medico competente per gli accertamenti in materia di lavoro” aveva certificato, in data 20.2.2006, che il lavoratore non poteva caricare gli arti inferiori, né sostare in piedi per periodi prolungati. Poiché non vi era possibilità che lo stesso, assunto quale operaio generico, potesse essere adibito ad altre mansioni, la società assumeva che il licenziamento doveva ritenersi giustificato, essendo l’inabilità, di carattere permanente, di imprevedibile durata. Dopo avere evidenziato che il licenziamento per inidoneità fisica del lavoratore era da tenere distinto da quello per malattia, essendo nel primo la risoluzione del rapporto riconducibile agli artt. 1256 e 1463 c.c. ed il secondo regolato dall’art. 2110 c.c. con legittimità della risoluzione solo in caso di superamento del comporto, la Corte aggiungeva che il medico incaricato delle visite periodiche anche ai fini della ripresa del lavoro dopo l’infortunio, in data 2.3.2006, aveva chiarito che il lavoratore non poteva sostenere alcuna delle attività proposte che comportavano un sovraccarico della parte anatomica offesa, laddove l’INAIL, con certificazione del 21.2.2006, aveva dato atto che l’infermità era cessata e che il M.G. poteva riprendere il lavoro. Analoga certificazione era stata rilasciata dall’A.S.L. il 24.4.2006, sicché era stata disposta C.T.U., attraverso la quale era rimasto accertato che il M.G. aveva ripreso completamente la funzionalità dell’arto inferiore ed era idoneo alla mansione specifica.
La sentenza di primo grado doveva, pertanto, essere confermata, ad eccezione che per la parte relativa al pagamento dell’indennità sostitutiva, che comportava la limitazione del risarcimento del danno ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori fino al pagamento della stessa.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a quattordici motivi, illustrati con memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste, con controricorso, il M.G., che propone ricorso incidentale relativamente alla statuizione sulle spese di lite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo del ricorso principale, la società denunzia violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. ed, in particolare, degli artt. 112, 324 e 329 c.p.c., assumendo che oggetto dell’appello era solo l’accertamento della temporaneità o permanenza dello stato di inidoneità e che quindi non poteva emettersi una pronuncia sulla idoneità che non era oggetto di appello. Con specifico quesito, domanda se l’estendere l’esame alla idoneità o meno del dipendente, quando era stato chiesto solo l’accertamento sulla temporaneità o meno dello stato di invalidità, violi i principi di cui agli articoli richiamati.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione di legge, ex art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte violato gli articoli sopra menzionati nel demandare al C.t.u. il giudizio sulla idoneità, laddove oggetto del giudizio era solo la prevedibilità della durata della invalidità.
Omessa insufficiente ed erronea motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., viene dedotta con il terzo motivo, con il quale la società evidenzia che la Corte territoriale ha acriticamente recepito le risultanze della c.t.u., che ha espresso un giudizio senza esaminare e ponderare la valutazione del medico competente, come se la stessa non fosse stata effettuata, ed assume l’omissione di accertamenti strumentali, domandando, con quesito, se è rettamente motivata la sentenza che faccia riferimento ad una c.t.u. senza che questa abbia motivato con argomentazioni medico legali in merito al parere fornito dal medico competente o se tale comportamento realizzi la fattispecie del vizio motivazionale denunziato.
Con il quarto motivo, viene ascritta alla decisione impugnata la omessa insufficiente ed erronea motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c., per avere la Corte del merito recepito acriticamente la c.t.u. che ha omesso l’esame dell’aspetto psichico del lavoratore, il quale si era dichiarato inidoneo al lavoro che svolgeva. Il quesito verte sulla rilevanza da attribuirsi alla intima convinzione del lavoratore di non potere svolgere le mansioni che in precedenza aveva svolto, implicanti anche caricamento di pesi.
Anche il quinto motivo affronta analoghi profili, denunziando la violazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 17 d. lgs. 19.9.1994 n. 626 e 41 d. lgs. 9.4.2008 n. 81, per non avere il giudice del gravame esaminato la c.t.u., il contenuto della busta nella quale era contenuta la storia medica del lavoratore e le valutazioni del medico competente.
Omessa insufficiente ed erronea motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c., è dedotta con il sesto motivo, nei cui quesito si chiede se l’omesso esame della valutazione del medico competente concretizzi il vizio denunziato ed anche il con il settimo si deduce analogo vizio, per avere omesso la Corte d’appello di affermare che il datore di lavoro non poteva mantenere in servizio un lavoratore, pure avendo il sanitario competente ritenuto lo stesso permanentemente inidoneo, costituendo tale valutazione g.m.o. di recesso. Si afferma che il lavoratore poteva impugnare tale giudizio, ai sensi dell’art. 17 n. 4 d.lgs. 626/94, e, con l’ottavo motivo, sostanzialmente si ribadisce la violazione degli artt. 17 d.lgs. 626/94 e 41 d.lgs. 81/2008.
Violazione di legge ex art, 360, n. 3, c.p.c., con riferimento all’art. 1464 c.c., viene, poi, ravvisata nell’ avere la Corte del merito confermato la sentenza che ha obbligato il datore di lavoro a mantenere in servizio un lavoratore che può svolgere solo parte delle mansioni, reintegrandolo e permettendo, quindi, allo stesso, che non si riteneva idoneo a caricare pesi, di esercitare il diritto ad ottenere l’indennizzo in luogo della reintegra.
Si insiste, poi, sotto il profilo della violazione dell’art. 2909 c.c., sul fatto che la sentenza di primo grado aveva già accertato, con statuizione non fatta oggetto di gravame, che il ricorrente non era idoneo, sostenendosi che il quesito al CTU doveva limitarsi a stabilire la permanenza e prevedibilità della invalidità ed, ancora, si invoca, con l’undicesimo motivo, il vizio di motivazione laddove è stato ritenuto illegittimo il licenziamento per g.m.o., posto che la inidoneità riconosciuta dal lavoratore coincide con quella accertata dal medico competente e che il recesso era avvenuto in ottemperanza a quanto accertato dal medico competente ed alla documentazione medica, il cui esame era stato omesso dal C.t.u..
Il dodicesimo motivo attiene alla dedotta violazione, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., delle norme in tema di ammissione delle prove articolate dalla Azienda per dimostrare che il lavoratore aveva lavorato durante il periodo in cui avrebbe dovuto essere reintegrato e la società rileva che il risarcimento andava quanto meno ridotto e che è ravvisabile anche un difetto di motivazione quanto al rigetto delle istanze istruttorie. Evidenzia che il datore si trovava in una situazione incolpevole, essendosi basato su una valutazione medico legale del medico competente e che le prove riguardavano la produzione dei fascicoli del lavoratore presso l’INPS ed altri uffici.
Difetto di motivazione viene dedotto anche con riguardo alla circostanza dell’integrale recepimento delle conclusioni del C.t.u. pure a fronte di valutazioni di contrario segno espresse dal C.T.P., assumendosi, altresì, violazione dell’ art. 112 c.p.c., ex art. 360, n. 3, c.p.c.
Infine, la ricorrente ascrive alla sentenza, con il quattordicesimo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice del gravame erroneamente applicato l’art. 345 c.p.c. ritenendo tardiva e quindi inammissibile l’eccezione con la quale la società appellante ha eccepito che, in forza della valutazione medico legale del medico competente, il lavoratore fosse permanentemente inidoneo a svolgere l’attività precedentemente svolta, con riflessi sul carattere incolpevole del licenziamento, inidoneo a fondare il diritto al risarcimento dei danni o, quanto meno, idoneo a legittimarne la riduzione.
I motivi, riassuntivamente, pongono la questione della legittimità di un licenziamento irrogato in conseguenza di una accertata inidoneità al lavoro del M.G., della irrilevanza di un successivo accertamento di una guarigione del lavoratore che non abbia tenuto in considerazione le valutazioni espresse dal medico competente anche sotto il profilo della imputabilità del comportamento del datore di lavoro.
Vale, in termini generali, richiamare orientamento giurisprudenziale di legittimità consolidato alla cui stregua la malattia del lavoratore deve distinguersi dalla sua inidoneità al lavoro in quanto, pur essendo entrambe cause d’impossibilità della prestazione lavorativa, le stesse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina, ai sensi dell’art. 2110 cod. civ., la legittimità del licenziamento quando ha causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, e non implica necessariamente l’impossibilità totale della prestazione, consentendo la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilita dall’art. 5 dello statuto dei lavoratori, indipendentemente dal superamento del periodo di comporto (cfr. Cass. 31.1.2012 n. 1404, ed, in senso conforme, Cass. 16375/2002, Cass. 2152/2003, Cass. 7531/2010, Cass. 1250/2011).
Più in particolare, la inidoneità fisica attiene all’esistenza di una condizione permanente di carattere irreversibile concernente l’incapacità del lavoratore a svolgere le prestazioni tipiche delle sue mansioni e solo il suo accertamento consente di pervenire ad un licenziamento riconducibile ad un giustificato motivo oggettivo, pur dovendosi al riguardo osservare che la sopravvenuta inidoneità fisica e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo oggettivo di recesso, non possono essere ravvisate nella sola ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dal prestatore, restando escluse dalla possibilità di svolgere un’altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o ad altre equivalenti ovvero, qualora ciò non sia possibile, a mansioni inferiori, sempre che questa attività sia utilizzabile all’interno dell’impresa (cfr. Cass. 18.4.2011 n. 8832).
Peraltro, deve aggiungersi che il parere espresso da Commissioni ovvero dal medico competente ai controlli in rapporto a quanto previsto dall’art. 17 del d.lgs. 626/94 non è vincolante per il giudice di merito adito per l’accertamento della illegittimità del licenziamento disposto a seguito di detto accertamento, avendo egli – anche in riferimento ai principi costituzionali di tutela processuale – il potere di controllare l’attendibilità degli accertamenti medico-sanitari, sicché il datore di lavoro, nel momento in cui opera il licenziamento, agisce, come già argomentato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 420 del 1998, accollandosi il rischio di impresa avente ad oggetto la possibilità che l’Organo giudicante possa giudicare in modo contrario l’idoneità del dipendente (al riguardo v. Cass. 25.7.2011 n. 16195, Cass. 8.2.2008 n. 3095, con riferimento, rispettivamente, al parere espresso da Commissioni mediche di cui all’art. 29 r.d. n. 148 del 1931, all. A), ed all’art. 1 del decreto 23.2.1999 n. 88).
Risulta, pertanto, erroneo sostenere che il giudizio sulla inidoneità non implicasse anche quello sulla permanenza dello stato di incapacità, essendo tale requisito idoneo a caratterizzare la stessa inidoneità fisica che incide sulla impossibilità oggettiva della prestazione ai fini della legittimità del recesso e non potendo prescindersi da tale valutazione, sulla base del non condivisibile assunto che non aveva formato oggetto di impugnazione anche il profilo, già accertato, della idoneità o meno del lavoratore allo svolgimento delle sue mansioni lavorative. Né incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, atteso che, per infirmare tale motivazione, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa – profilo richiamato nei motivi del presente ricorso -, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione, laddove, al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. 4.5.2009 n. 10222, e, tra le altre, Cass. 18688/2007). Nel caso considerato non si evidenzia, da parte della ricorrente, alcun aspetto con carattere di specificità che sia idoneo a rilevare, a fini decisori, per una differente ricostruzione o valutazione della questione prospettata.
Ugualmente, deve rilevarsi, in una disamina congiunta dei motivi che afferiscono alle stesse questioni di diritto o ad asseriti vizi motivazionali, che non vale, ai fini voluti, prospettare una intima convinzione del lavoratore di ritenersi inidoneo alle mansioni lavorative di assegnazione, ovvero considerare, a fondamento del motivo di censura che replica nella sostanza quanto già dedotto nel motivo sub 3), che era stato omesso l’esame del contenuto delle valutazioni del medico competente, posto che gli articoli dei decreti legislativi richiamati prescrivono solo che il medico competente proceda ad accertamenti sullo stato fisico dei dipendenti al fine di valutare la loro idoneità alle mansioni svolte, senza precludere, come già detto, che tale valutazione possa essere oggetto di ulteriore approfondimento in sede giudiziaria e possa essere disattesa in base a considerazioni, che, nella specie, risultano essere contrastate solo da generici rilievi. Ed invero, è principio consolidato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio in materia di accertamento medico legale, qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinché sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza, è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (Cass. 8.12.2010 n. 22707; Cass. 12.1.2011 n. 569). Più specificamente, è stato ribadito che, nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. di tipo medico-legale recepita dal giudice, affinché i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con il relativo onere, a carico della parte interessata, di indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte, che si traducono in una inammissibile critica del convincimento del giudice di merito che si sia fondato, per l’appunto, sulla consulenza tecnica (v., tra le tante, Cass. 25.8.2005 n. 17324).
I motivi di cui ai numeri 7, 8 e 9, a prescindere da ogni rilievo sulla ammissibilità dei relativi quesiti in relazione alla omessa precisazione della regola iuris violata rispetto a quella ritenuta, invece, applicabile alla fattispecie, reiterano doglianze già disattese con le argomentazioni sopra svolte in relazione alla piena legittimità di un accertamento medico legale disposto in sede giudiziale, senza che assuma carattere ostativo la mancata impugnazione della valutazione del medico aziendale, il cui parere rileva solo nei riguardi del datore di lavoro che conserva i risultati dei relativi accertamenti in funzione della conoscenza dei rischi che egli stesso assume nel mantenere a lavoro dipendenti il cui stato di salute sia eventualmente incompatibile con le mansioni svolte.
Il decimo motivo nella sostanza ripropone la questione, già affrontata, della impossibilità di procedere ad accertamento di un’inidoneità fisica del lavoratore non fatta oggetto di specifica impugnazione, essendo la controversia ed il relativo thema decidendum limitati all’accertamento della permanenza ed irreversibilità di tale stato. Sul punto vale richiamare quanto già esposto con riguardo al carattere connaturale della permanenza ed irreversibilità della condizione di invalidità ai fini del giudizio stesso di inidoneità fisica al lavoro.
Il motivo di censura con il quale si affronta la questione della mancata ammissione delle istanze istruttorie avanzate nella fase di merito non soddisfa nella sua formulazione il requisito della autosufficienza, in quanto, se pur nella premessa in fatto si enunciano e richiamano una serie di circostanze anche documentali che avevano caratterizzato lo svolgimento del giudizio di appello, nell’ambito del motivo di impugnazione non si evoca specificamente il relativo contenuto, né si richiamano con puntualità le ulteriori richieste istruttorie che si assumono disattese dal giudice del merito. In tal modo non è consentito alla Corte di verificare i termini della doglianza e la sua fondatezza ed al riguardo vale richiamare il principio più volte ribadito da questa Corte, secondo il quale il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla trascrizione nella parte che interessa, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (cfr. in tal senso, ord., sez. 6°, 30.7.2010 n. 17815). In tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 cod. proc. civ. richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente. Né, per quanto già detto, può ritenersi sufficiente la generica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (cfr. Cass. 31.10.2007 n. 23019).
Per di più deve osservarsi che l’asserita esistenza di fascicoli del lavoratore presso l’INPS ed altri uffici, richiamata nel dodicesimo motivo, dei quali era stata richiesta al giudice del merito l’acquisizione, correttamente non è stata presa in esame dallo stesso, stante il carattere meramente esplorativo dell’accertamento il cui compimento veniva sollecitato.
Quanto al motivo di impugnazione con il quale si denunzia l’omessa motivazione in ordine alla valutazioni offerte dal CTP, omissione concretizzatasi nell’avere il giudice del gravame recepito integralmente ed in modo non argomentato le risultanze e conclusioni della c.t.u., deve osservarsi che è principio pacificamente affermato quello secondo cui il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento e che non è quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.. (cfr., tra le altre, Cass. 9.1.2009 n. 282).
Infine, deve essere disatteso il rilievo della erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c. quanto all’eccezione – ritenuta tardiva – dell’incolpevolezza del licenziamento intimato sulla base di giudizio di inidoneità del medico competente, poi disatteso in sede giudiziale. Ed invero, la ricorrente non ha riportato i passaggi del ricorso in sede di gravame in cui veniva affrontato lo specifico tema ed i termini di deduzione della relativa questione, sicché, al di là della valutazione del profilo della novità o meno della stessa in appello e della sua configurabilità come eccezione proponibile in precisi limiti temporali ovvero come eccezione in senso ampio o come mera difesa, rileva la mancanza di elementi atti ad individuare in che fase ed in quali precisi sensi la deduzione sia stata avanzata, osservandosi che alcune delle sentenze della Corte di legittimità richiamate a conforto e sostegno della censura attengono più specificamente all’eccezione dell'”aliunde perceptum” e non alla questione dell’incolpevolezza del licenziamento.
Alla stregua di tutte le esposte considerazioni, il ricorso principale deve essere rigettato.
Il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla impossibilità di identificazione del procedimento posto a base della decisione di compensare le spese di lite del doppio grado, atteso che la proclamata incolpevolezza della società Catanzaro era risultata assolutamente infondata.
Al riguardo deve osservarsi come questa Corte abbia ripetutamente affermato che, in tema di spese processuali, la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice e non richiede specifica motivazione e non è censurabile in sede di legittimità, salvo che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, ovvero che la decisione sia accompagnata dall’indicazione di ragioni palesemente illogiche o tali da inficiare, per la loro inconsistenza o l’evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto v. sent. Cass. n. 19161 del 29.9.2005).
Tuttavia, è stato anche affermato, con riguardo alla nuova formulazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge 28 dicembre 2005, n. 263, che la norma dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o ricorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, e che ciò non accade quando la compensazione si basi sul richiamo alla “fattispecie concreta nel suo complesso”, in quanto tale formula è del tutto criptica e non consente il controllo sulla motivazione e sulla congruità delle ragioni poste dal giudice a fondamento della sua decisione (cfr. In tali termini Cass., sez. I 18.2.2007 n. 26673).
Nel caso considerato dalla motivazione e ricostruzione del fatto contenute nella sentenza impugnata emergono elementi di coerenza e compatibilità con una totale compensazione delle spese di lite, decisione che, assumendo una funzione accessoria rispetto a quella che definisce il giudizio, deve necessariamente valutarsi in stretta correlazione con la motivazione che sorregge la decisione di merito.
Pertanto, considerate le circostanze cui si è fatto richiamo, relative alla peculiarità della vicenda in relazione alla diversità di valutazione espressa con riguardo allo stato di idoneità fisica del M.G. in sede giudiziale, la disposta compensazione deve reputarsi adottata in modo conforme ai criteri enunciati, risultando coerente con l’impianto motivazionale contenuto nella sentenza. Anche l’impugnazione incidentale va, pertanto, respinta e la reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione tra le stesse delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.
Compensa le spese di lite del presente giudizio.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 febbraio 2022, n. 5240 - L'inidoneità in astratto di un fatto a produrre un effetto giuridico ovvero l'inesistenza di una norma che al fatto associ l'effetto è deducibile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 16708 depositata il 13 giugno 2023 - La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21495 depositata il 7 luglio 2022 - Nel processo tributario, l'effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che,…
- Sospensione procedure di licenziamento ex art. 46 D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 - ambito applicativo - licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione - ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO - Nota 24 giugno 2020, n. 298
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 dicembre 2019, n. 34132 - In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, sussiste l'obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 luglio 2019, n. 18556 - In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, sussiste l'obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Gli amministratori deleganti sono responsabili, ne
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n 10739 depositata il…
- La presunzione legale relativa, di cui all’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10075 depos…
- Determinazione del compenso del legale nelle ipote
La Corte di Cassazione, sezione III, con l’ordinanza n.10367 del 17 aprile…
- L’agevolazione del c.d. Ecobonus del d.l. n.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7657 depositata il 21 ma…
- In caso di errori od omissioni nella dichiarazione
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10415 depos…