Corte di Cassazione sentenza n. 4209 del 20-02-2013
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO MORTALE – CORRESPONSABILITA’ DI UN ASSISTENTE AI LAVORI – AZIONE DI REGRESSO DELL’INAIL – PRESCRIZIONE DELL’AZIONE
massima
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Con riferimento all’azione di regresso dell’INAIL nei confronti della società datrice di lavoro del dipendente infortunato, qualora il giudice civile ha accertato “incidenter tantum” la responsabilità solidale di tutti i responsabili dell’infortunio, la prescrizione dell’azione – decorrente dalla sentenza penale irrevocabile, ex art. 112 del D.P.R. 1124/1965 – è interrotta anche nei confronti della società dall’atto interrutivo pervenuto ad uno degli obbligati solidali (nella specie al capocantiere) ai sensi dell’art. 1310 c.c., restando irrilevante che il soggetto cui l’atto interruttivo è pervenuto sia stato prosciolto per prescrizione del reato e che sia rimasto estraneo al processo civile.
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FATTO
1. (Omissis) chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Messina, pubblicata il 4 dicembre 2006, che ha rigettato il gravame svolto, separatamente, da (Omissis) e (Omissis), contro la decisione con la quale il giudice di primo grado, in contraddittorio con l’INAIL, (Omissis) e la curatela fallimentare (Omissis), aveva accolto l’azione di rivalsa esperita dall’INAIL per il rimborso delle indennità erogate a causa dell’infortunio mortale occorso al lavoratore (Omissis).
2. La Corte territoriale puntualizzava che: (Omissis), dipendente della ditta (Omissis), decedeva per un infortunio occorso sul lavoro, in conseguenza del quale (Omissis) e (Omissis), rispettivamente assistente ai lavori e capo cantiere dell’impresa (Omissis), venivano condannati per omicidio colposo; il primo giudice condannava (Omissis) e (Omissis), con (Omissis), al pagamento, in solido, della somma di lire 206.091.185 costituente il costo dell’infortunio per l’INAIL, disattendendo l’eccezione di prescrizione proposta da (Omissis) e (Omissis) e rigettava la domanda, da quest’ultimo proposta, per l’accertamento dell’effettivo datore di lavoro (l’impresa (Omissis)) sul presupposto della tardività della deduzione e dell’irrilevanza ai fini del giudizio di rivalsa dell’INAIL; la sentenza è stata gravata dal (Omissis), che ha dedotto di essere stato un mero prestanome dell’impresa (Omissis) dichiarata fallita e da cui dipendeva lo stesso (Omissis) che, con l’impresa (Omissis), non aveva mai collaborato; dal (Omissis) il quale: a) reiterava l’eccezione di prescrizione in base al rilievo secondo cui, per essere unico datore di lavoro legittimato passivo nell’azione proposta dall’INAIL, in qualità di appaltatore dei lavori relativi al cantiere teatro dell’infortunio occorso al lavoratore, le istanze dell’INAIL dirette al (Omissis) non potevano spiegare, nei suoi confronti, effetto interruttivo del termine triennale di prescrizione; b) contestava la ritenuta irrilevanza dei rapporti interni tra (Omissis) e (Omissis); c) contestava, infine, la quantificazione relativa al costo dell’infortunio.
3. La Corte territoriale, a fondamento del decisum riteneva:nuova la deduzione in ordine all’interposizione fittizia, comunque inopponibile ai terzi, per aver (Omissis) e (Omissis), nei rispettivi atti di costituzione, dedotto esclusivamente l’inesistenza di responsabilità dell’impresa che aveva curato di impartire le direttive, rimaste inseguite dal lavoratore, vittima della sua imprudenza; intempestiva e correttamente sanzionata, dal primo Giudice, con la decadenza, la deduzione a suffragio delle vicende inerenti al rapporto tra (Omissis) e l’impresa (Omissis), peraltro, inconducente atteso l’affidamento dell’INAIL, in buona fede, titolare del rapporto assicurativo, nell’individuazione del legittimo contraddittore dichiaratosi tale nella denunzia di infortunio; legittime le richieste rivolte dall’INAIL al (Omissis) ed utili ad interrompere la prescrizione, donde il rigetto del relativo motivo di gravame di (Omissis) e di (Omissis), da quest’ultimo (rimasto contumace in primo grado) svolto tardivamente con la memoria di costituzione in appello, volto ad ottenere, per l’asserita mancanza di solidarietà con (Omissis), l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del credito; infine, generico il motivo fondato sull’asserita indefinita ed eccessiva quantificazione del costo dell’infortunio preteso dall’INAIL con l’azione di regresso.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso (Omissis), affidato a tre motivi.
L’INAIL ha resistito con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.
(Omissis), (Omissis) e la curatela del fallimento (Omissis) sono rimasti intimati.
DIRITTO
5. Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione di legge (artt. 1310 e 2055 ss. c.c. e D.P.R. n. 1124/1965, u.c.) e difetto di motivazione, il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia attribuito effetto interruttivo della prescrizione alle richieste di restituzione rivolte dall’INAIL a (Omissis) sul presupposto della solidarietà passiva tra condebitori con trattazione superficiale della questione inerente alla chiamata in causa dell’effettivo responsabile sollevata in primo grado (l’impresa (Omissis), poi fallita), limitando la statuizione ai profili processuali della decadenza, per tardività, della domanda senza tener conto che, comunque, il tema del soggetto effettivamente responsabile dell’infortunio aveva spostato il tema d’indagine processuale sull’individuazione, in via alternativa, del responsabile esclusivo sì da eliminare qualunque ipotesi di solidarietà passiva fra condebitori.
6. Osserva il Collegio, in via generale e in adesione a consolidati precedenti di questa Corte, che accertata la corresponsabilità solidale dei responsabili dell’infortunio sul lavoro occorso al lavoratore, la prescrizione dell’azione di regresso dell’INAIL è efficacemente interrotta, nei confronti dei corresponsabili, dall’atto interruttivo pervenuto ad uno degli obbligati solidali, ai sensi dell’art. 1310 c.c., restando altresì irrilevante che il soggetto destinatario dell’atto interruttivo sia rimasto estraneo al processo civile (sul punto, vedi, per tutte, Cass. n. 10097/98; Cass. 7294/2004; Cass. 8135/2008).
7. Va anche aggiunto, con Cass. 7294/2004 alla quale si rinvia per la più ampia trattazione sul punto, che il giudice civile può accertare, incidenter tantum, che il fatto che ha provocato l’infortunio sul lavoro costituisca reato, nei suoi elementi obiettivi e soggettivi, ed individuarne gli autori al fine dell’azione di regresso (di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, quale quella esercitata dall’INAIL nel presente giudizio, ma l’accertamento incidentale non postula, diversamente dall’accertamento con autorità di giudicato (art. 34 c.p.c.), l’integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti del terzo interessato (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. n. 7294/2004 e la precedente giurisprudenza di legittimità ivi richiamata).
8. Peraltro, nei confronti del corresponsabile dell’infortunio rimasto estraneo al giudizio di regresso instaurato dall’INAIL non ha effetto, tuttavia, la sentenza pronunciata, come il giudicato che si formi nello stesso giudizio (arg. ex art. 1306 c.c., comma 1).
9. Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata, che ha accertato la solidarietà passiva dei coobbligati con statuizione sulla legittimazione passiva, recte sulla decadenza dalla chiamata in causa dell’obbligato in via esclusiva, non risulta efficacemente contrastata con le censure che le vengono mosse asserendo l’introduzione, nel giudizio, di un thema decidendum, inerente alla responsabilità in via esclusiva e non solidale per l’infortunio occorso al lavoratore, trascurato dal Giudice del gravame al quale era stata devoluta, con il gravame, la necessità della pronuncia dichiarativa della responsabilità del chiamato in causa.
10. Ebbene osserva il Collegio che la denuncia di omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, si risolve nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed integra, pertanto, un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere, dal ricorrente, non con la denuncia, come nella specie, della violazione di una norma di diritto sostanziale, ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame h questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità -in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.
11. Inoltre, in ipotesi di denuncia di un errore in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicché il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale, non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza con quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata (cfr, ex plurimis, Cass. n. 21621/2007).
12. Coerentemente, con riferimento all’ipotesi in cui sia stata denunciata l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado sulle doglianze mosse in appello, è stato affermato che non viene rispettato il principio di autosufficienza allorchèé nel ricorso per cassazione non siano esposte quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, non potendo ottemperarsi a tale principio mediante il mero richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (cfr., Cass., n. 26693/2006); più in generale, sempre con riferimento ai casi di denunzia del vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è stata reiteratamente affermata la necessità, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione (cfr, ex plurimis, Cass. n. 21226/2010; Cass. n. 23420/2011).
13. L’inadeguata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del Giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo.
14. Con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 414 e 445 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto acquisita la dedotta prova del credito, confermando la condanna al pagamento delle somme pretese dall’INAIL.
15. Osserva il Collegio che, pur superando l’evidente inidoneità del quesito di diritto che correda l’illustrazione del motivo, giacchè non si informa alla disposizione dell’art. 366-ter c.p.c., applicabile ratione temporis, e all’interpretazione data dalla giurisprudenza di questa Corte (per profili di inammissibilità del quesito di diritto che non involge la ratio decidendi della statuizione impugnata si rinvia, fra le altre, a Cass., SU, nn. 19444/2009, 7770/2009, 28536/2008, 26014/2008), è assorbente il rilievo secondo cui la parte ricorrente non ha dimostrato di aver eccepito, in sede di gravame, la questione sul quantum del credito azionato dall’INAIL in via di regresso, onde risulta precluso, a questa Corte di legittimità, saggiarne la fondatezza.
16. Anche il terzo motivo, incentrato sul vizio di violazione di legge (art. 91 c.p.c.) e di motivazione della statuizione di condanna alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’INAIL, si appalesa inammissibile giacché sorretto da quesito di diritto inidoneo, per essere meramente tautologico e, come tale, avulso dalla ratio decidendi del capo di sentenza censurato.
17. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, come in dispositivo, in favore dell’INAIL. Nulla per le parti rimaste intimate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 40,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, in favore dell’INAIL; nulla per le parti rimaste intimate.
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