CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2013, n. 42325
Lavoro – Mancanza di un piano sicurezza – Lavori in quota – Imbracature – Amministratore della società – Responsabilità
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Genova sostituì la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria e confermò nel resto la sentenza emessa il 9.2.2012 dal giudice del tribunale di Imperia, che aveva dichiarato F.G. colpevole del reato di cui all’art. 96, comma 1, lett. g), in relazione all’art. 159 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per non avere trattato in modo sufficiente nel piano operativo di sicurezza la parte relativa ai lavori da effettuare in quota con imbragature, mentre lo assolse per non avere commesso il fatto dal contestato reato di lesioni colpose aggravate, avendo accertato che all’epoca del sinistro il F. non era più da tempo amministratore della società.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza di motivazione. Ricorda che egli aveva dedotto con l’appello: a) che l’ispettore del lavoro non lo aveva mai visto ed aveva ricevuto il POS da altra persona; b) che tale POS era incompleto ed anzi un estratto di quello originario, essendo presenti solo alcune pagine; c) che in nessuno dei fogli appariva la sua firma, che comunque egli aveva disconosciuto. La corte d’appello ha omesso di rispondere a queste specifiche eccezioni.
2) manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che sul documento vi era la firma del F., senza prendere in alcuna considerazione il fatto che questi la aveva disconosciuta. Inoltre non vi è alcuna prova della paternità del documento tenuto conto: – del disconoscimento dell’imputato; – della mancata verificazione, – del fatto che non era stato l’imputato a consegnare il documento. E’ poi manifestamente illogica l’affermazione della corte d’appello secondo cui spettava all’imputato l’onere di produrre in giudizio una copia integra e corretta del documento. Infatti, non si tratta di una scriminante, per la quale l’onere di prova incombe su chi la vuole fare valere, bensì della esistenza di una prova a carico, il cui onere grava sull’accusa. In ogni caso l’onere non poteva essere fatto ricadere sull’imputato trattandosi per lui di onere impossibile, dal momento che era provato che egli era cessato dalla carica di amministratore e legale rappresentante della società dal 13.8.2008 sicché era impossibilitato a reperire il documento.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso si risolva in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e sia comunque infondato, avendo la corte d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto il ricorrente responsabile del reato in oggetto.
La corte d’appello ha infatti osservato – rispondendo ai motivi di appello sui quali sono ricalcati gli odierni motivi di ricorso – : – che l’assunto difensivo secondo cui l’incompletezza (non contestata) del POS potrebbe essere attribuibile ad un difetto di affoliazione e collazione della copia, era rimasto del tutto indimostrato; – che invero non era stata fornita alcuna prova contraria rispetto alle dichiarazioni dell’ispettore A., il quale aveva appunto riferito di avere accertato che il POS era stato redatto in modo incompleto; – che la riconducibilità del detto POS all’imputato era dimostrata dal fatto che sulla copia dello stesso depositata in atti vi era la firma (o la sigla) del F. e che il suddetto ispettore aveva accertato che all’epoca del fatto era ancora in vigore il POS predisposto dal F. sul quale era apposta la sua firma.
Il Collegio ritiene che questa motivazione sia adeguata e priva di vizi logici, e che pertanto non sono idonei ad inficiarla i motivi di ricorso, che in realtà non specificano aspetti di mancanza o manifesta illogicità di motivazione, ma si limitano a prospettare una diversa ricostruzione e ad indicare una serie di elementi (l’ispettore non ha mai visto l’imputato e non ha acquisito il POS da lui; il POS prodotto in giudizio è incompleto; in nessuno dei fogli depositati appare la firma dell’imputato, che l’ha disconosciuta) che non sono assolutamente inconciliabili con la versione dei fatti accertata dal giudice del merito (nella sentenza di primo grado si dice che sui fogli del POS è apposta la sigla dell’imputato e non la sua sottoscrizione per esteso). Non vi è stata poi alcuna inversione dell’onere della prova perché il giudice del merito ha ritenuto che dagli elementi probatori acquisiti (deposizione dell’ispettore, documentazione in atti) si ricavava la prova della riconducibilità al F. del POS, ed ha poi correttamente affermato che sarebbe spettato all’imputato dare una prova contraria a quella già fornita dall’accusa.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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