CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 ottobre 2013, n. 42503
Sicurezza sul lavoro – Responsabilità amministrativa dell’ente – Pena interdittiva – Applicabilità.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29/11/2012, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il Tribunale di Ancona, sez. dist. di Senigallia, applicava nei confronti di C. P. la pena di € 600= di multa per il delitto di lesioni colpose in danno dell’operaio M. M. (acc. in Ripe il 31/10/2008).
Al C. era stato addebitato che, in qualità di datore di lavoro del M., aveva consentito che il lavoratore operasse presso un trapano privo di dispositivo automatico di blocco, in caso di apertura del coperchio per lavori di regolazione, di tal che il M., nello svolgere tale operazione, riportava l’amputazione di una falange. Con la sentenza il Tribunale applicava, in osservanza delle disposizioni sulla responsabilità degli Enti, ai sensi dell’art. 63 del D.Lgs. 231 del 2001, alla s.r.l. “C. P. & C.” la sanzione pecuniaria di € 10.000=, nonché le misure interdittive di cui all’art. 9, co. 2°, D.Lgs cit, per la durata di mesi due.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del C., nella qualità di legale rapp.te della società, lamentando:
2.1. la erronea applicazione della legge per avere il giudice disposto le sanzioni interdittive alla società, ai sensi dell’art. 9, co. 2°, benché ricorressero le circostanze di esclusione di cui all’art. 17, lett. a,b,c;
2.2. la eccessività della sanzione irrogata, per il mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 12, co. 2°, lett. a);
2.3. il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore dell’ente.
Con FAX pervenuto in cancelleria il 19/6/2013, il difensore documentava l’avvenuto risarcimento del danno.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Va premesso che in sede di udienza, il difensore della s.r.l. “C. P. & C”, ai sensi dell’art. 63 del D.Lgs. 231 del 2001, ha chiesto l’applicazione alla società della sanzione di € 10.000= e l’applicazione delle “sanzioni interdittive ex art. 9 d.lvo 231/01”.
Nonostante ciò la difesa ha lamentato che le sanzioni interdittive non dovevano essere applicate, ricorrendo le cause dì esclusione di cui alle lett. a), b) e c) dell’art. 17 (per avere riparato le conseguenze del reato).
Orbene, pur rilevando che la copia della quietanza di risarcimento del danno prodotta in udienza è datata 14/3/2013 ed è quindi successiva alla emanazione della sentenza, va comunque ricordato che il terzo comma dell’art. 25 septies stabilisce che “In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi”.
Da tale disposizione si evince che in caso di commissione del delitto di lesioni aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, le sanzioni interdittive devono essere applicate obbligatoriamente.
Consegue che correttamente il difensore-procuratore speciale nella sua proposta ne ha fatto menzione e legittimamente il giudice le ha applicate.
3.2. Quanto alla doglianza relativa alla determinazione della sanzione pecuniaria, va rilevato che essa è stata applicata in conformità alla richiesta difensiva senza che fosse invocata alcuna ulteriore diminuente della sanzione.
3.3. Quanto, infine, alla doglianza relativa al mancato riconoscimento della sospensione della pena (alla quale non era condizionata la richiesta di patteggiamento), essa è infondata. Invero il beneficio richiesto non può trovare applicazione nel sistema sanzionatorio delineato dalla L. n. 231 del 2001, relativa alla responsabilità degli enti, la quale ha natura amministrativa ed ove, pertanto, non possono trovare applicazione istituti giuridici specificamente previsti per le sanzioni di natura penale (cfr. sul punto anche Cass. 20/3/2012, n. 10822 del 2012).
Segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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