Corte di Cassazione sentenza n. 4323 del 21 gennaio 2013
LAVORO (RAPPORTO DI) – LAVORO SUBORDINATO – CONTRATTO COLLETTIVO DEI PORTIERI – APPLICABILITA’ – DIFFERENZE RETRIBUTIVE – LIMITI – PRESUPPOSTI DI APPLICABILITA’ DEI CCNL
massima
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Il comma 1 dell’art. 2070 c.c. (secondo cui la appartenenza alla categoria professionale, ai fini della applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione. Pertanto, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello della attività svolta dall’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente fare riferimento a tale disciplina come termine di riferimento della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’8 gennaio 2009 la Corte d’appello di Potenza, in riforma della decisione del Tribunale, rigettava la domanda proposta da A. ed intesa ad ottenere dal Condominio Palazzo Venezuela differenze retributive in relazione ad un contratto di pulizia degli ambienti del fabbricato condominiale.
La Corte riteneva adeguata ex art. 36 Cost. la retribuzione già percepita dalla T., notando come le parti l’avessero concordata attraverso un contratto individuale. Così risultava dalla testimonianza del professionista che aveva redatto la busta paga, mentre non constava che le parti avessero aderito ad alcuna associazione sindacale, in modo da rendere applicabile un contratto collettivo.
Il verbale di accertamento redatto da un funzionario dell’Inps faceva un riferimento, generico e perciò non significativo, ad un contratto collettivo di categoria.
Né la retribuzione corrisposta era inadeguata alla previsione dell’art. 36 Cost., avuto riguardo al contratto collettivo nazionale dei portieri ed al fatto che il lavoro era stato prestato per tre ore giornaliere e per sei giorni settimanali, con esclusione di altre attività proprie dei portieri.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione la T. mentre il Condominio resiste con controricorso.
La relatrice originariamente designata è stata sostituita per incompatibilità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2070 c.c. per avere la Corte d’appello escluso l’applicazione del c.c.n.l. dei portieri, efficace, per sua stessa definizione, ai proprietari di fabbricati. Col secondo motivo ella deduce la violazione dell’art. 36 Cost. per inadeguatezza della retribuzione ritenuta come equa dalla sentenza impugnata.
I connessi motivi sono manifestamente infondati poiché nell’attuale sistema di contrattazione collettiva di diritto comune (art. 39, quarto comma, Cost.) la “categoria professionale” non comporta di per sé la necessaria applicazione di un contratto diverso da quello individuale voluto dalle parti oppure da quello collettivo stipulato dalle associazioni sindacali alle quali esse sono iscritte.
Nel caso di specie la Corte di merito ha incensurabilmente accertato in fatto che le parti, non iscritte ad associazioni sindacali, avevano concluso un contratto individuale di contenuto diverso da quello collettivo dei portieri. La categoria professionale, di cui sopra, può rilevare, nel senso di rendere applicabile il corrispondente contratto collettivo in via equitativa, ossia con riferimento ai parametri di cui al primo comma dell’art. 36 Cost., quando la retribuzione concordata risulti inadeguata ad essi (Sez. un. 26 marzo 1997 n. 2665). Ma nel caso di specie i giudici d’appello hanno escluso l’inadeguatezza motivando a sufficienza in relazione all’attività svolta (solo pulizia) ed all’orario (diciotto ore settimanali).
Il terzo motivo, con cui la ricorrente parla di “ferie non godute”, è inammissibile per mancata indicazione delle norme di diritto violate (art. 366 n. 4 c.p.c.) e del motivo d’appello asseritamente trascurato dai giudici del gravame.
Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro cinquanta/00 oltre ad euro tremila/00 per compensi professionali.
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