Corte di Cassazione sentenza n. 4383 del 23 febbraio 2011
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – SEPARATI GIUDIZI CON OGGETTO LO STESSO RAPPORTO GIURIDICO – IL GIUDICATO ESTERNO PRECLUDE UN NUOVO ESAME DELLA STESSA QUESTIONE
massima
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Qualora due giudizi abbiano ad oggetto lo stesso rapporto giuridico, ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, non può più essere esaminato, nell’altro giudizio, il punto già accertato e risolto
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Svolgimento del processo
A seguito di sequestro di documentazione di natura bancaria trovata il 22.9.1993 in possesso di G.A.P. nei pressi della Dogana di Ponte Chiasso, venivano emessi nei confronti del contribuente cinque distinti avvisi di accertamento per Irpef e Ilor relativi agli anni dal 1993 al 1997. Il contribuente impugnava tutti gli atti notificatigli, i primi due con autonomi e separati ricorsi, e gli altri tre con unico ricorso dinanzi alla C.T.P. di Milano, che in quest’ultimo caso annullava parzialmente gli accertamenti, riducendo i maggiori redditi accertati.
La decisione, gravata sia dal contribuente che dall’Amministrazione Finanziaria, veniva però riformata dalla C.T.R. della Lombardia con sentenza n. 33/2/04 depositata il 24.11.2004 e non notificata, con la quale il giudice di appello annullava del tutto gli atti impugnati in forza del giudicato formatosi sulla precedente sentenza emessa il 29.2.2001 dalla C.T.P. di Milano per l’annullamento dell’accertamento notificato dall’Ufficio al contribuente per l’anno 1993 in virtù degli stessi elementi di fatto.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponevano ricorso il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate, articolando un unico complesso motivo, al cui accoglimento si opponeva il contribuente con controricorso e ricorso incidentale condizionato, a sua volta contrastato dai ricorrenti principali con controricorso.
Motivi della decisione
Preliminarmente rileva questa Suprema Corte doversi disporre ex art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Deve altresì dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero, posto che esso risulta privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto estraneo al giudizio di appello, introdotto successivamente al primo gennaio 2001. Al riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. Sent. n. 3118/06).
Giova aggiungere, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data, come nel caso di specie, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – così come è avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr. Cass. sent. N. 10955/07).
Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero, il quale non aveva partecipato al procedimento di appello, introdotto con atto depositato nel 2003, non era legittimato a ricorrere in cassazione avverso la sentenza impugnata, onde la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.
Passando all’esame del ricorso presentato dall’Agenzia, con l’unico complesso motivo articolato deduce la ricorrente i vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e di carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la decisione per aver il giudice di merito deciso sulla base di una non condivisibile e contrastata giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di efficacia del giudicato esterno, in materia tributaria, relativo ad annualità diverse del medesimo tributo, pur in presenza dei medesimi presupposti, giurisprudenza non a caso al momento del ricorso posta al vaglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
Il ricorso è infondato, alla luce di quanto dalle stesse Sezioni Unite confermato all’esito della vicenda giudiziaria richiamata in ricorso dall’Agenzia.
Con sentenza in data 16.6.2006, n. 13916, questa Suprema Corte ha infatti ulteriormente e definitivamente ribadito che: “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligandone relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta”.
Alla stregua dell’esposto principio, dal quale non vi è motivo alcuno per discostarsi, assolutamente corretta è da ritenersi pertanto la decisione assunta dal giudice di merito nel caso in esame, non essendo minimamente in discussione la circostanza, tra l’altro espressamente risultante dalla sentenza impugnata, relativa al fatto che gli accertamenti emessi nei confronti del contribuente per i vari anni risultavano tutti fondati esclusivamente su dati reddituali a giudizio dell’Amministrazione Finanziaria desumibili dai documenti di natura bancaria sequestrati al contribuente, documenti la cui “inconsistenza giuridica e probatoria” per non essere tra l’altro “riferibili al contribuente”, risulta oramai definitivamente accertata per effetto del giudicato formatosi relativamente all’accertamento notificato per l’anno 1993.
Il ricorso dell’Agenzia deve pertanto essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato del contribuente.
Risultando la questione relativa all’efficacia del giudicato esterno nel giudizio tributario, definitivamente chiarita dalle Sezioni Unite solo successivamente alla proposizione del ricorso, ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità anche nei confronti dell’Agenzia.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso del Ministero; rigetta il ricorso dell’Agenzia e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
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