Corte di Cassazione sentenza n. 45 del 03 gennaio 2013
LAVORO (RAPPORTO DI) – MANSIONE SUPERIORE – INQUADRAMENTO – ONERE DELLA PROVA
massima
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Incombe sul lavoratore che vanti il diritto ad un superiore inquadramento, in relazione allo svolgimento di mansioni superiori, l’onere della prova in ordine all’attività effettivamente svolta, al periodo di svolgimento nonché alla riconducibilità delle prestazioni disimpegnate a quelle qualificabili come superiori rispetto alla norma di riferimento, sia essa individuale, collettiva o legale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza impugnata, pubblicata in data 12 giugno 2007 e notificata il 7 settembre successivo, riformando la decisione di primo grado, ha respinto le domande di (OMISSIS) – dipendente della s.p.a. (OMISSIS), inquadrato in categoria B2S – tendenti al riconoscimento della superiore categoria B1, in ragione delle mansioni svolte dal 1985.
La decisione di rigetto della domanda è argomentata con un duplice rilevo: a) perché fin dal ricorso introduttivo l’appellante, pur descrivendo le mansioni pretesamente svolte, non aveva indicato il contenuto della declaratoria contrattuale collettiva della categoria rivendicata, necessaria al fine di operare il raffronto tra tali mansioni e quelle proprie della qualifica rivendicata e, per di più, aveva prodotto a sostegno della domanda un C.C.N.L. del 1 dicembre 1991, successivo pertanto a quello cui si riferiva la rivendicazione; b) comunque, dalle testimonianze escusse in primo grado non sarebbe emersa una prova sufficiente dell’effettivo svolgimento delle mansioni descritte in ricorso e che secondo l’appellante gli avrebbero dato diritto alla qualifica superiore.
Avverso tale sentenza, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato in data 30-31 ottobre 2007 e affidato a tre motivi.
Resiste alle domande la s.p.a. (OMISSIS) con rituale controricorso.
Il ricorrente ha depositato una memoria a norma dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo e col secondo motivo di ricorso, (OMISSIS) deduce, rispettivamente, l’omesso o insufficiente esame di un fatto decisivo e la violazione degli articoli 414 e 416 c.p.c., per avere la Corte territoriale arbitrariamente spostato l’oggetto della materia del contendere e quindi l’esame del fatto controverso dall’effettivo svolgimento delle mansioni descritte in ricorso, contestato dalla società convenuta, alla riconducibilità di tali mansioni alla declaratoria contrattuale collettiva della qualifica rivendicata, riconducibilità che viceversa non sarebbe stata contestata dall'(OMISSIS) e quindi costituiva un dato pacifico tra le parti in giudizio, come tale non necessitante di ulteriori specificazione e prova.
Col terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione nella valutazione delle prove.
Il terzo motivo di ricorso è comunque infondato, con conseguente assorbimento degli altri due (che anche se fossero fondati non assumerebbero carattere decisivo in ordine alla materia del contendere).
In proposito, va premesso che il controllo di legittimità in ordine alle valutazioni di fatto del giudice di merito non può spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perché ritenuta la migliore possibile.
Tale controllo riguarda viceversa (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) unicamente il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, ex ceteris, Cass., nn. 6288/11, 27162/09, 26825/09 e 15604/07).
Né appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.
Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione (cfr. ad es. Cass. nn. 15156/11 e 5241/11).
Occorre quindi che i fatti della controversia dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa e dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., ad es. Cass. nn. 2272/07 e 14973/06).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha esaminato in maniera esauriente le prove testimoniali svolte e valutando criticamente, tra di esse, l’unica ritenuta in qualche modo confermativa dei compiti indicati dal ricorrente, l’ha giudicata, con un ragionamento congruamente argomentato, priva di riferimenti precisi ed oggettivi e quindi di per sé insufficiente a sostenere le ragioni del Sig. (OMISSIS).
A queste valutazioni di merito, ragionevoli e adeguatamente motivate, il ricorrente contrappone propri diversi apprezzamenti delle medesime testimonianze, anch’essi meritevoli di considerazione, ma non in questa sede di legittimità, in quanto ridondanti in valutazioni di fatto e in ragione del tipo di controllo proprio del giudizio di cassazione.
Concludendo, il ricorso va pertanto respinto, con la conseguente condanna del ricorrente a rimborsare alla resistente le spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo sulla base dei parametri di cui al recente Decreto Ministeriale n. 140 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla resistente le spese di questo giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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