Corte di Cassazione sentenza n. 45008 del 2 dicembre 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO – APPRENDISTA – MURATORE PRECIPITATO NELLA TROMBA DELLE SCALE DI UN FABBRICATO IN COSTRUZIONE – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO
massima
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Vi è la responsabilità del titolare di un’impresa edile per il delitto di lesioni personali colpose in danno ad un lavoratore, che mentre svolgeva mansioni di apprendista muratore si era infortunato precipitando nella tromba delle scale del fabbricato in costruzione. Dagli accertamenti eseguiti in loco era emersa la mancanza di opere provvisionali all’interno dello stesso vano scala, atte ad impedire la caduta di chi lavorava.
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FATTO Con sentenza emessa in data 22 settembre 2010, la Corte d’appello di Cagliari – Sezione staccata di Sassari confermava la sentenza 19 febbraio 2008 del Tribunale di Nuoro che aveva dichiarato SA. Gi. responsabile del delitto di lesioni personali colpose, giudicate guaribili in un tempo superiore a giorni 40 di cui all’articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3 in relazione all’articolo 583 c.p., n. 1 commesso in (omissis), con violazione delle norme antinfortunistiche, in danno del nipote Sa. Ma. il quale, mentre svolgeva mansioni di apprendista muratore alle dipendenze dell’imputato titolare di impresa edile, si era infortunato precipitando nella tromba delle scale del fabbricato in costruzione per aver perduto l’equilibrio dopo esser salito su di una scala metallica al fine di modificare una traccia eseguita nel muro, risultata troppo larga rispetto al diametro del tubo di plastica che avrebbe dovuto esservi inserito ai fini del posizionamento di un punto luce. Dagli accertamenti eseguiti in loco era emersa la mancanza di opere provvisionali all’interno dello stesso vano scala, atte ad impedire la caduta di chi lavorava sulla parete della mansarda che si affacciava sulla tromba delle scale interne, esistendo solamente un muretto di 80 cm. di altezza. Si era altresì acclarato che l’intervento da cui era derivato l’infortunio doveva esser eseguito a circa 1 mt.-1, 5 mt. di altezza; mentre invece l’apprendista aveva in realtà dovuto operare sul vuoto, costituito dal vano scale sottostante per mt. 3. Poste le accertate omissioni, i Giudici di merito erano pervenuti all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, non avendo la condotta sia pure imprudente del lavoratore prodotto l’effetto di interrompere il nesso di causa tra le stesse e l’evento.
Ricorre per cassazione, per tramite del difensore, il SE. Gi. , articolando tre distinte censure, di seguito sintetizzate.
Con il primo motivo di ricorso, lamenta il difensore il “travisamento della prova” in cui sarebbero incorsi i Giudici d’appello per aver fondato il proprio convincimento su di una prova inesistente o su di un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, dalla deposizione della stessa parte offesa era risultato dimostrato che l’opera che questa aveva avuto incarico di realizzare avrebbe dovuto eseguirsi in una sola zona del cantiere del tutto scevra da pericoli di precipitazione, in quanto protetta da una parete in muratura e posta ad un’altezza di mt. 1,20/mt. 1,40 dal pavimento.
L’operaio aveva avuto l’incarico di eseguire la traccia dall’interno del muro e di posizionarvi poi il tubo di plastica, lavorando esclusivamente dall’interno.
Con la seconda censura si duole il ricorrente dell’inosservanza od erronea applicazione delle disposizioni penali in tema di nesso di causalità, in relazione alla condotta del lavoratore. Ad avviso del difensore siffatta condotta (aver fatto uso di una scala non rientrante tra gli utensili di lavoro al fine di operare, in difformità dalle istruzioni ricevute dal datore di lavoro, nella facciata esterna del muro prospiciente il vano scale anziché su quella interna, invece protetta da un muretto ad un’altezza non superiore a mt. 1,40) non costituiva azione prevedibile per l’imputato di talché non poteva ritenersi esigibile la predisposizione delle misure antinfortunistiche omesse, apparendo del tutto imprevedibile la situazione di pericolo da evitare. Sicché l’imputato avrebbe dovuto dichiararsi esente da ogni responsabilità, attesa l’esorbitanza, l’abnormità, l’eccezionalità della condotta colposa del lavoratore, tale da integrare una causa sopravvenuta da sola idonea a cagionare l’evento. Con la terza doglianza denunzia il ricorrente l’erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 16 (ora abrogato) che impone la predisposizione di impalcature, ponteggi e di opere provvisionali, nel caso di lavori da eseguirsi ad un’altezza superiore a mt 2, laddove, nel caso di specie, il lavoratore infortunatosi avrebbe dovuto operare ad un’altezza non superiore a mt. 1,40. Conclusivamente il ricorrente insta per l’annullamento della sentenza impugnata. DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve esser respinto con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico del ricorrente, ex articolo 616 c.p.p.
La sentenza impugnata è del tutto immune dal vizio motivazionale dedotto dalla difesa con il primo motivo di ricorso nonché da quello di erronea applicazione della legge, introdotto con la terza doglianza.
La Corte distrettuale, alla stregua di un ordito argomentativo conforme a canoni logici ed alle massime di comune esperienza, ha proceduto ad un’ineccepibile valutazione ed interpretazione delle risultanze istruttorie (deposizioni testimoniali e rilievi fotografici del teatro dell’incidente) delle quali, invece, il ricorrente lamentando un insussistente “travisamento della prova”, intenderebbe propugnare “una lettura” alternativa “favorevole alle tesi difensive; lettura ovviamente preclusa in sede di legittimità attesa l’esaustiva e congrua motivazione. Ed invero, poiché all’operaio infortunato era stato ordinato di predisporre il foro passante nella parete divisoria ove avrebbe dovuto esser introdotto il c.d. “corrugato” in materiale plastico al cui interno doveva collocarsi il cavo elettrico di alimentazione del realizzando punto – luce, è ovvio che del tutto prevedibile si presentava l’eventualità che l’intervento dell’operaio potesse interessare anche la parete “esterna” prospiciente direttamente sulla tromba delle scale, nella quale il punto – luce andava posizionato, anche solo per controllare la regolare esecuzione della c.d. traccia nella parete. Sicché la condotta pacificamente esigibile dal datore di lavoro, onde evitare l’evento, consisteva nel predisporre opere provvisionali, ponteggi od impalcature al fine di scongiurare la caduta,nella tromba delle scale, dell’operaio dipendente (ma anche di eventuali terzi estranei) da un altezza di circa tre metri, ove si trovava intento a lavorare; donde la incontestabile sussistenza della violazione della specifica regola cautelare dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 16, integrante il profilo di colpa specifica correttamente contestato.
Egualmente infondate vanno giudicate le doglianze di cui al secondo motivo di ricorso.
Come correttamente argomentato dalla Corte d’appello, la condotta dell’infortunato, ancorché esorbitante dalle direttive concordate con il datore di lavoro (per aver utilizzato, peraltro imprudentemente, una scala a libro del committente – che neppure rientrava tra gli strumenti di lavoro in dotazione all’impresa edile dell’Imputato – al fine di raggiungere il foro che aveva eseguito nella parete, onde procedere a restringerlo; scala dalla quale poi era caduto) non costituiva di certo comportamento avulso dalle mansioni demandate allo stesso dipendente. Tantomeno siffatta condotta poteva qualificarsi abnorme, imprevedibile, ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, benché imprudenti, iniziative assunte dal lavoratore nello stesso nell’esecuzione del lavoro. Sicché correttamente si è escluso, in conformità con la prevalente e consolidata giurisprudenza di questa Corte, che detta condotta possa aver interrotto il nesso di causalità tra le omissioni risalenti all’imputato e l’evento e, quindi, in legittima e corretta applicazione delle disposizioni in tema di nesso eziologico.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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