Corte di Cassazione sentenza n. 4505 del 21 marzo 2012
FERMO AMMINISTRATIVO – CREDITI IVA – APPLICABILITA’ – PRESTAZIONE DI CAUZIONE PER LE ISTANZE DI RIMBORSO – IRRILEVANZA
massima
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Il provvedimento di fermo amministrativo di cui all’art. 69 del R.D. n. 2440 del 1923 costituisce una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione, concernente la sospensione di un credito verso la medesima amministrazione in presenza di situazioni debitorie, rimanendo comunque esclusa la compensazione. Detta misura cautelare è applicabile anche ai crediti IVA consentendo il diniego dell’istanza di rimborso in presenza di controversie su rettifiche ed accertamenti relative ad altre annualità del tributo. In proposito, il fermo costituisce una misura diversa rispetto alla prestazione di cauzione sulle richieste di rimborso IVA prevista dall’art. 38 bis del D.P.R. n. 633 del 1972.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello principale dell’Ufficio ed accogliendo quello incidentale del Consorzio per la Ricerca sulla Microelettronica nel Mezzogiorno (CO.RI.M.ME), è stata confermata l’illegittimità del provvedimento di fermo amministrativo, adottato dall’Ufficio R.D. n. 2440 del 1923, ex art. 69, in relazione a credito IVA chiesto a rimborso dal Consorzio per l’anno 1993.
Il giudice a quo è pervenuto a tali conclusioni richiamando l'”ineccepibile l’iter argomentativo della sentenza impugnata” ed il contenuto dell’atto di costituzione del contribuente, che aveva evidenziato l’illegittimità, “oltre che il chiaro intento persecutorio”, del provvedimento di fermo. Anche per quanto riguarda l’appello incidentale, concernente il riconoscimento degli interessi, la censura è stata accolta rinviando alle argomentazioni svolte dal contribuente.
2. Il CO.RI.M.ME. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza in quanto motivata per relationem.
Il motivo è fondato, poiché, come risulta da quanto riportato in narrativa, il giudice a quo si è limitato a rinviare alle argomentazioni svolte dal primo giudice e dal contribuente nell’atto di controdeduzioni e nell’appello incidentale, senza dar alcun conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato, sia le doglianze proposte nell’appello principale (ex plurimis, Cass. nn. 3547 del 2002, 1573 del 2007).
2.1. Con il secondo motivo, è denunciata la violazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, sostenendo la tesi secondo la quale l’istituto del c.d. fermo amministrativo di cui alla norma citata è stato legittimamente utilizzato nella fattispecie, in presenza di contro crediti dell’Amministrazione finanziaria relativi ad altre annualità d’imposta.
2.2. Va, in primo luogo, ribadito il principio in virtù del quale, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, previsto dall’art. 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta affermata la nullità della sentenza impugnata, con conseguente cassazione della stessa, questa Corte, qualora sia posta, con altro motivo di ricorso, una questione di mero diritto e su di essa si sia svolto il contraddittorio e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può direttamente decidere la causa nel merito, attuando il previsto rimedio impugnatorio di carattere sostitutivo (Cass. n. 24914 del 2011; cfr., già Cass. nn. 19301 del 2010, 5139 del 2011).
2.3. Il motivo è fondato.
Com’è noto, il provvedimento di sospensione del pagamento (c.d. fermo amministrativo) previsto dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, u.c., costituisce una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della P.A., rivolto a sospendere, in presenza di una “ragione di credito” della P.A. stessa, un eventuale pagamento dovuto, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che l’amministrazione abbia, ovvero pretenda di avere, nei confronti del suo creditore: l’adozione del provvedimento richiede, pertanto, soltanto il fumus boni iuris della ragione di credito vantata dall’amministrazione (fumus da intendere come non irragionevolezza della pretesa stessa), restando, invece, estranea alla natura ed alla funzione del provvedimento qualsiasi considerazione di un eventuale periculum in mora, senza che detta disciplina ponga dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (tra le altre, Cass., Sez. un., nn. 1733 e 15382 del 2002, nonchè Cass. nn. 4567 de) 2004, 9853 del 2011; cfr., anche, Cass. n. 23601 del 2011).
Ciò premesso, il Collegio condivide il principio (al quale, pertanto, intende dare continuità) secondo il quale tale istituto trova piena applicazione anche in materia di IVA, per cui deve ritenersi legittimo il diniego di rimborso di IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, in dipendenza dell’adozione di provvedimento di fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità d’imposta (in tal senso, le citate Cass. nn. 4567 del 2004 e 9853 del 2011).
Non osta a tale conclusione la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, che appresta un sistema di garanzie all’erario in tema di rimborsi IVA (peraltro, per i soli casi di rimborso c.d. accelerato) (orientamento espresso da Cass. nn. 10199 del 2003 e 27265 del 2006), essendosi già convincentemente rilevato che si tratta di garanzie aventi funzioni diverse, per cui l’una non preclude l’operatività dell’altra: quella prevista dal citato art. 38 bis, garantisce per l’ipotesi che il credito al rimborso sia insussistente, mentre quella prevista dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, garantisce la possibilità di operare la compensazione con i controcrediti dell’amministrazione (cosi sent. n. 9853 del 2011, cit.).
3. In conclusione, vanno accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del Consorzio contribuente.
4. Sussistono giusti motivi, per quanto detto sopra al par. 2.3, per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
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