Corte di Cassazione sentenza n. 4548 del 22 marzo 2012
SOCIETA’ DI CAPITALI – SOCIETA’ PER AZIONI – ORGANI SOCIALI – AMMINISTRATORI – RESPONSABILITA’ – AZIONE DEL SOCIO E DEL TERZO DANNEGGIATO – CONDIZIONI DI ESERCIZIO – NATURA DIRETTA DEL DANNO LAMENTATO DALL’ATTORE – NECESSITA’ – FONDAMENTO
massima
___________
L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato “direttamente” dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
__________
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 2.7.2002 V.A. esponeva che con sentenza del 6 aprile 2 000 il Tribunale penale di Cosenza aveva dichiarato V.N., amministratore unico della I.C. Srl, società composta da lui e dal predetto fratello, colpevole dei reati di false comunicazioni sociali nonché di appropriazione indebita continuata condannandolo al risarcimento dei danni in suo favore. Aggiungeva che tale sentenza, confermata in appello, era stata annullata dalla Cassazione senza rinvio perché i reati si erano estinti per prescrizione. Ciò premesso, V.A. conveniva in giudizio il fratello chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e morali. In esito al giudizio, in cui si costituiva il convenuto deducendo l’infondatezza della domanda, il Tribunale adito rigettava la domanda attrice.
Avverso tale decisione proponeva appello V.A. ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza depositata in data 13 luglio 2009 rigettava l’impugnazione. Avverso la detta sentenza il soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con le prime due doglianze, articolate rispettivamente sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e 2395 c.c., la prima, e sotto il profilo della motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, la seconda, svolte congiuntamente, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata deducendo che la Corte di Appello avrebbe sbagliato nell’escludere la risarcibilità del danno richiesto ritenendo che il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spettasse alla società. Infatti – così continua il ricorrente – deve considerarsi in senso contrario che il danno arrecato al patrimonio sociale colpisce indirettamente i soci che vedono pregiudicato il loro diritto agli utili e diminuito il valore della loro partecipazione, con la conseguenza che l’azione di danni patrimoniali avanzata avrebbe dovuto essere inquadrata sotto il profilo dell’art. 2043 c.c. Senza considerare che, anche ad inquadrarla nell’alveo dell’art. 2395 c.c., l’azione era comunque fondata, in relazione ad danni diretti subiti dall’ attore per effetto delle false comunicazioni sociali.
Entrambe le doglianze sono infondate. A riguardo, torna utile premettere che l’art. 2395 c.c. disciplina l’azione individuale del socio o del terzo, stabilendo espressamente che questi hanno diritto al risarcimento del danno subito, qualora “siano stati direttamente danneggiati” da atti dolosi o colposi degli amministratori. Il dato letterale non è di poco conto in quanto l’avverbio “direttamente” consente di delimitare l’ambito di esperibilità dell’azione ex art. 2395 c.c. chiarendo che se il danno lamentato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori de 111 ambito di applicazione dell’art. 2395 c.c., in quanto tale norma richiede che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo (ex plurimis: Cass. 25/07/2007, n. 16416; Cass. n. 8359 del 03/04/2007; Cass. 05/08/2008, n. 21130, sino a risalire a Cass. n. 441 del 1966).
Ciò premesso, deve considerarsi che, come questa Corte ha già avuto modo di ribadire assai recentemente, in riferimento al diritto agli utili, essendo questi parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea, eventualmente, non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la loro sottrazione indebita ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale (Cass. n. 10271 del 2004; cfr. anche Cass. n. 6364 del 1998) e solo indirettamente si ripercuote sull’interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota. Analogamente, il danno diretto non può consistere nella mancata distribuzione degli utili, appunto in quanto questi, prima della distribuzione, appartengono alla società (Cass. n. 9385 del 1993; n. 3524 del 1983). Pertanto, neppure in detta ipotesi al singolo socio compete l’azione di responsabilità disciplinata dall’art. 2395 c.c. (Cass. n. 10271 del 2004; n. 9385 del 1993; n. 3524 del 198 3; cfr. anche Cass. n. 6364 del 1998).
In relazione al danno consistente nella riduzione del valore della partecipazione societaria, è stato inoltre precisato che neppure detta riduzione costituisce danno diretto ai sensi dell’art. 2395 c.c. in quanto configura un effetto mediato di quello asseritamente arrecato al patrimonio sociale. La partecipazione sociale è infatti un bene distinto dal patrimonio sociale e, quindi, nell’ipotesi di (prospettata) diminuzione di valore della misura della partecipazione, il pregiudizio derivante al socio è una conseguenza indiretta e soltanto eventuale della condotta dell’amministratore o del liquidatore, (cfr. Cass. 6558/2011 in motivazione). Ne deriva con tutta evidenza l’infondatezza dei profili di doglianza riguardanti la mancata percezione degli utili realizzati dalla società e la diminuzione del valore della quota di partecipazione societaria.
Quanto al profilo, relativo al preteso pregiudizio diretto che l’attore avrebbe subito per effetto di false comunicazioni sociali, il tema di dibattito appare nuovo, non tempestivamente affrontato nelle precedenti fasi, non risultando dalla sentenza impugnata che il ricorrente abbia mai prospettato tale specifica causa petendi e richiesto il relativo specifico danno. Né il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità’ per novità1 della censura, ha assolto l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito e di indicare in quale atto del precedente giudizio lo avesse fatto.
Ciò premesso, è appena il caso di sottolineare che nel giudizio di cassazione, i motivi del ricorso devono investire, a pena d’inammissibilità, le sole questioni già comprese nel tema decisionale del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito. È preclusa quindi la prospettazione di nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito.
Le ultime due doglianze, la terza e la quarta, erroneamente indicate dal ricorrente come quarta e quinta, articolate rispettivamente sotto il profilo della motivazione omessa e insufficiente e sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art.2059 c.c., anche esse svolte dal ricorrente congiuntamente, si fondano sulla considerazione che la Corte di Appello, dopo aver riconosciuto che la sentenza di primo grado era viziata da omessa pronuncia, aveva rigettato la domanda di risarcimento danni per la genericità della sua formulazione senza minimamente spiegare le ragioni della ritenuta genericità. Inoltre, avrebbe omesso di pronunziarsi sulle richieste istruttorie di acquisizione degli atti del fascicolo penale.
Sia l’una che l’altra censura sono inammissibili. Quanto alla prima, si deve osservare che, qualora si denunci con il ricorso per cassazione ex art. 360 co. 1 n. 5 del c.p.c., un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l’incongruità e/o l’insufficienza delle argomentazioni svolte dal giudice di merito a fronte di una domanda o di una richiesta avanzata dalla parte, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati o insufficientemente valutati, che il ricorrente specifichi il contenuto delle richieste avanzate, delle argomentazioni portate a sostegno e degli elementi di riscontro probatorio emersi dalla compiuta istruttoria, provvedendo alla loro sintetica ma esauriente esposizione nel ricorso, in modo da consentire al giudice di legittimità di valutare comparativamente le ragioni della doglianza contrapposte a quelle della decisione. Nel caso di specie, il ricorrente avrebbe quindi dovuto provvedere a fornire, già nel ricorso, i necessari elementi per la valutazione della specificità della formulazione della domanda proposta in sede di merito in contrapposizione al contrario giudizio espresso dalla Corte, in una alla rilevanza ed alla decisività degli elementi addotti. Ed è appena il caso di sottolineare che l’espletamento di tale onere da parte del ricorrente sarebbe stato, non solo utile, ma addirittura indispensabile in funzione della ritenuta genericità della formulazione della domanda, così come, sia pure laconicamente ma in maniera comunque chiara ed esaustiva, era stato asserito dalla Corte di merito, non essendo idoneo ali’uopo il mero richiamo alla richiesta avanzata in contrapposizione alle valutazioni effettuate dal giudice di quella fase, che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta a causa della ritenuta genericità della sua formulazione. Ciò, senza considerare sul piano, più strettamente contenutistico, che l’apprezzamento dei fatti e delle loro conseguenze dannose attengono al libero convincimento del giudice e che la legge non conferisce, in alcun modo e sotto nessun aspetto, alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa. Ugualmente inammissibile per ragioni non molto dissimili deve essere ritenuto il profilo attinente all’omessa pronuncia della Corte sulle richieste istruttorie di acquisizione degli atti del fascicolo penale. A riguardo, va osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la mancata pronuncia su una istanza istruttoria e comunque il suo mancato accoglimento non integrano, di per sé soli, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, occorrendo che l’istanza istruttoria non accolta attenga a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata.
Invero, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il ricorrente avrebbe dovuto assolvere l’onere di chiarire in qual modo e per quali ragioni le risultanze processuali non esaminate avrebbero potuto invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è stato fondato il diverso convincimento posto a base della decisione. Il mancato assolvimento di tale onere comporta l’inammissibilità della doglianza.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in euro 5.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 agosto 2021, n. 22082 - L'assicurazione per gli esercenti attività commerciali, che non opera nei confronti del socio o amministratore di s.r.l. in difetto dei requisiti congiunti di abitualità e prevalenza…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 agosto 2021, n. 22082 - L'assicurazione per gli esercenti attività commerciali, che non opera nei confronti del socio o amministratore di s.r.l. in difetto dei requisiti congiunti di abitualità e prevalenza…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 27411 depositata il 22 giugno 2023 - L'amministratore di diritto risponde, unitamente all'amministratore di fatto, per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo di impedire, essendo sufficiente,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 maggio 2019, n. 14778 - In tema di azioni nei confronti dell'amministratore di società, a norma dell'art. 2395 cod. civ., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all'esperimento…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 marzo 2021, n. 8730 - Data la pregiudizialità dell'accertamento del reddito conseguito dalla società a ristretta base partecipativa rispetto a quello nascente dalla successiva presunzione di distribuzione dell'utile…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 febbraio 2022, n. 5517 - Ai fini della regolarità dell'avviso di accertamento notificato dall'Amministrazione finanziaria, qualora esso consista in un atto c.d. impoesattivo, documento che assolve alla funzione di…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Imposta di registro: non va applicata sulle clauso
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3466 depositata i…
- Le perdite su crediti derivanti da accordi transat
Le perdite su crediti derivanti da accordi transattivi sono deducibili anche se…
- L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore d
L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore di lavoro di comunicare il licenziame…
- Le circolari INPS sono atti interni e non possono
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 10728 depositata il 2…
- La nota di variazione IVA va emessa entro un anno
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 8984 deposi…