CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2013, n. 46727
Reati fiscali – Omesso versamento IVA – Sequestro finalizzato alla confisca – Interessi e sanzioni – Inclusione
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Trieste, con ordinanza del 4.4.2013, ha respinto l’appello proposto ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen. avverso il provvedimento con il quale, in data 6.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di revoca parziale di un sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente eseguito nei confronti di M.A., indagato per il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000, per avere, quale legale rappresentante e liquidatore della «T. s.r.l.», omesso il versamento nei termini dell’IVA dovuta per l’anno 2009 per un importo pari ad euro 95.818,00.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando di aver richiesto la revoca o la riduzione della misura cautelare reale al fine di provvedere all’estinzione del debito d’imposta previa adozione, da parte dell’autorità giudiziaria, di ogni cautela ritenuta necessaria a vincolare a tale scopo le somme sequestrate.
Aggiunge che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che le ragioni dell’Erario risultano soddisfatte mediante la misura applicata e la successiva confisca, in quanto le somme sequestrate, confluendo indistintamente su un conto gestito da Equitalia Giustizia e venendo poi devolute definitivamente allo Stato in forza di quanto disposto dal Regolamento di attuazione del Fondo Unico di Giustizia e, successivamente, ripartite, non sarebbero destinate all’estinzione o decurtazione del debito d’imposta, nulla risultando in tal senso dalla vigente legislazione.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, rilevando che il Tribunale avrebbe assunto la propria decisione in evidente contrasto con le finalità perseguite dal legislatore attraverso la previsione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, neppure indicando le ragioni per le quali detta misura ablativa debba ritenersi satisfattiva del debito tributario, offrendo, così, una motivazione meramente apparente.
4. Con un terzo motivo di ricorso osserva, infine, che il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con gli artt. 62 n. 6, 62-bis, 133 cod. pen., 187 cod. proc. pen. e 111 Cost. venendogli di fatto impedito di soddisfare il debito tributario e darne prova nel successivo giudizio beneficiando delle conseguenze.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è inammissibile.
La questione prospettata dal ricorrente riguarda unicamente, sebbene sotto diversi aspetti, la negata possibilità di ottenere la revoca o la progressiva riduzione del sequestro preventivo, finalizzato alla successiva confisca per equivalente, di somme reperite sui conti correnti suoi e della società da lui rappresentata al fine di adempiere al debito tributario conseguente all’omesso versamento dell’IVA.
Conseguentemente, i motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente.
Il Tribunale ha confermato il provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari rilevando come il soddisfacimento delle ragioni dell’erario sia soddisfatto dalla misura applicata, evitando anche indebiti duplicazioni del debito tributario come paventato dall’appellante, cosicché non vi sarebbero state ragioni per ritenere accoglibile la richiesta formulata.
Il provvedimento impugnato appare conforme a legge e sostenuto da motivazione che, sebbene sintetica, risulta del tutto adeguata e non può certo dirsi meramente apparente.
6. Ciò posto, deve ricordarsi che l’estensione anche ai reati tributari di cui al d.lgs. 74\2000 della confisca per equivalente, già prevista dall’art. 322-ter cod. pen. per alcune ipotesi di reato contemplate dal codice penale, è stata disposta dall’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 al fine di meglio contrastare la criminalità finanziaria con strumenti incidenti direttamente sul patrimonio dei contravventori.
Ciò avviene colpendo beni corrispondenti per valore al prezzo o al profitto del reato, indipendentemente da un nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare, al fine di sottrarre al responsabile del reato qualsivoglia vantaggio economico dallo stesso derivante.
Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi pacifico, con riferimento ai reati tributari, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente possa essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, in ragione dell’integrale rinvio alle «disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale», contenuto nell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 (Sez. IlI n.17465, 10 maggio 2012; Sez. IlI n.35807, 6 ottobre 2010; Sez. IlI n. 25890, 7 luglio 2010).
Si è inoltre precisato, sempre con riferimento ai reati di cui al d.lgs. 74\2000, che detto sequestro va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di «profitto», costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (così Sez. IlI n. 1199, 16 gennaio 2012. V. anche SS.UU. n. 18374, 23 aprile 2013).
La quantificazione del risparmio di cui si è appena detto è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (Sez, V n.1843, 17 gennaio 2012. V. anche Sez. IlI n. 11836, 13 marzo 2013 ).
Si è inoltre evidenziata la necessità, da parte del giudice del merito, di una valutazione sul valore dei beni sequestrati, al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario (Sez. IlI n.17465\2012, cit.; Sez. IlI n.41731, 25 novembre 2010).
Il sequestro non può, conseguentemente, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato (Sez. Il n.1893, 18 gennaio 2012, Sez. IlI n. 10120, 11 marzo 2011; conf. Sez. V n.2101, 18 gennaio 2010. V. anche Sez. IlI n. 30140, 24 luglio 2012).
7. Considerando, inoltre, le finalità dell’istituto in esame, la medesima giurisprudenza ha ulteriormente chiarito che la misura reale può essere legittimamente mantenuta fino a quando permane l’indebito arricchimento derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione tributaria (Sez. IlI n. 46726, 3 dicembre 2012; Sez. IlI n. 10120, 11 marzo 2011), evidenziando anche la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 322 ter cod. pen. ed 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per la parte in cui, nei prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria, con gli artt. 23 e 25 Cost., in quanto la restituzione all’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria (Sez. IlI 10120/2011, cit.)
Non sì è ritenuto invece sufficiente, ai fini della revoca della misura, l’esistenza di un accordo con l’amministrazione finanziaria finalizzato all’estinzione del debito tributario, ancorché seguito dal pagamento di parte delle rate, in quanto tale evenienza non esclude comunque la disponibilità, per l’indagato, di almeno una parte del profitto del reato (Sez. IlI n. 30140, 24 luglio 2012, non massimata).
Nella stessa occasione si è anche affermato, richiamando analogo precedente relativo ad altra fattispecie delittuosa (Sez. VI n. 36095, 17 settembre 2009), che le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non sono suscettibili di sostituzione mediante rilascio di garanzia fideiussoria per un ammontare corrispondente al profitto del reato, atteso che, altrimenti, verrebbe frustrata la finalità della misura cautelare, diretta a sottrarre all’indagato la disponibilità del patrimonio, che invece risulterebbe invariata per lo spostamento del vincolo sul denaro del garante.
Successivamente il principio è stato ribadito ribadito (Sez. IlI n. 33587, 31 agosto 2012) affermando, in altra occasione, anche l’irrilevanza di un eventuale accordo transattivo con l’amministrazione finanziaria (Sez. IlI n. 11836\2013, cit.).
8. La lettura delle disposizioni in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di valore per i reati tributari offerta dalla giurisprudenza richiamata appare del tutto condivisibile, in quanto evidenzia la possibilità di assicurare le finalità di cautela sottese all’applicazione della misura reale evitando che la stessa incida più del dovuto sul destinatario.
É inoltre pacifico, come affermato nel provvedimento impugnato, che te esigenze dell’erario risultino pienamente assicurate, avuto riguardo alle ricordate modalità di individuazione del profitto, attraverso tale appropriato strumento, risultando conseguentemente prive di rilievo le deduzioni svolte dal ricorrente sulla destinazione delle somme dopo la confisca, questione rispetto alla quale il ricorrente non può comunque avere interesse.
Non va peraltro sottaciuto come, dall’esame del ricorso e del provvedimento impugnato, risulti di tutta evidenza la estrema genericità della richiesta di revoca o riduzione del sequestro formulata dal ricorrente al Pubblico Ministero e respinta dal G.I.P., essendosi egli limitato alla apodittica affermazione di voler provvedere al pagamento anche previa adozione da parte dell’autorità giudiziaria di specifiche cautele finalizzate al preventivo vincolo di destinazione delle stesse, senza che risulti alcun preventivo accordo o contatto con l’erario e pur risultando l’importo del denaro liquido sequestrato di gran lunga inferiore a quello complessivo dell’imposta evasa, peraltro al netto delle sanzioni e di altri oneri.
La misura applicata, inoltre, non preclude affatto al ricorrente la possibilità procedere ad un adempimento tardivo ottenendo i conseguenti benefici, non essendo affatto necessario che egli vi provveda proprio utilizzando le somme attualmente sottoposte a vincolo reale né una tale evenienza comporterebbe, come paventato, una illegittima duplicazione del debito tributario che, come si è visto in precedenza, risulta scongiurata dalla lettura delle disposizioni applicabili nella fattispecie offerta dalla richiamata e condivisa giurisprudenza.
9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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