CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2013, n. 48804
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Confisca obbligatoria per reato di truffa aggravata contestato all’impresa – Impugnazione da parte del curatore – Legittimità
Ritenuto in fatto
Con il provvedimento impugnato veniva confermata l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari del 09/11/2012, con la quale veniva respinta l’istanza di revoca del sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 19 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, fra l’altro, sui beni della I.S. s.r.l., riconducibile all’indagato A.A. e successivamente fallita, in quanto funzionale alla confisca di cose di valore equivalente al profitto di cui all’art. 640-quater cod. pen. ipotizzato a carico di A.A. ed A. nella cessione ad istituti bancari di crediti inesistenti.
Il curatore del fallimento ricorre quale terzo sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Sulla ritenuta obbligatorietà della confisca, il ricorrente deduce violazione di legge osservando che il Tribunale citava a sostegno delle proprie conclusioni una pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte che non affrontava specificamente il tema dei rapporti fra la confisca e le pretese di terzi e fra essi, in particolare, della curatela fallimentare. Aspetto, quest’ultimo, oggetto invece di altra pronuncia delle stesse Sezioni Unite e di ulteriori successive, che tracciavano una distinzione fra la confisca di cose intrinsecamente pericolose, la cui obbligatorietà è funzionale ad evitare che le stesse rimangano comunque in circolazione, e quella di cose intrinsecamente lecite, la cui obbligatorietà è invece funzionale ad evitare che il reo torni in possesso dei beni, e riguarda pertanto unicamente la loro sottrazione all’autore del reato e non anche la loro destinazione allo Stato; caso nel quale il giudice deve valutare in concreto le condizioni della procedura concorsuale nella prospettiva della possibilità che il reo rientri nella disponibilità dei beni, dando conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto ai legittimi interessi dei creditori ammessi al passivo, motivazione della quale il ricorrente denuncia la mancanza.
2. Sull’esclusione per la curatela fallimentare della qualifica di terzo in buona fede, i cui diritti sono comunque espressamente garantiti dall’art. 19, comma primo, D.lgs. n. 231 del 2001, il ricorrente deduce violazione di legge, lamentando il riferimento sul punto ad una pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte che viceversa attribuisce al curatore la posizione di terzo legittimato a proporre istanza di revoca del sequestro preventivo in quanto dotato di poteri propri e non mero rappresentante del fallito o dei creditori, escludendo solo che lo stesso, subentrando nei rapporti patrimoniali del fallito, possa essere ritenuto terzo estraneo al reato ai fini della confiscabilità dei beni del fallimento; beni che, aggiunge il ricorrente, non appartengono più al fallito ma sono funzionali al soddisfacimento delle pretese dei creditori, i cui diritti di azione esecutiva sono assunti dalla curatela in una posizione pertanto distinta da quella del fallito.
Considerato in diritto
1. Il motivo di ricorso relativo alla ritenuta obbligatorietà della confisca è infondato.
Il principio della natura obbligatoria della confisca per equivalente di beni corrispondenti al profitto del reato, prevista dall’art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001, è stato infatti non solo affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia richiamata nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, F.I. s.p.a., Rv. 239925), ma altresì più volte ribadito da conformi decisioni successive (Sez, 6, n. 14973 del 18/03/2009, Azzano, Rv. 243507; Sez. 2, n. 28683 del 09/07/2010, Battaglia, Rv. 247670; Sez. 6, n. 19051 del 10/01/2013, Curatela Fallimento T.H. s.r.l., Rv. 255255). E se è vero quanto sostenuto dal ricorrente in ordine al non essere affrontato specificamente da tali pronunce il tema dei rapporti fra la confisca e le pretese creditorie di terzi, e fra essi in particolare della curatela fallimentare, viceversa trattato dalla precedente decisione delle Sezioni Unite ampiamente citata nel ricorso (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 228165), è vero altresì che l’argomento veniva in quest’ultima sede discusso nella diversa prospettiva, in effetti puntualmente segnalata nell’ordinanza oggetto di gravame, di un’ipotesi di confisca facoltativa nell’ambito della previsione generale di cui all’art. 240 cod. pen.; prospettiva nella quale l’affermata legittimità della confisca di beni provento di attività illecita, ma appartenenti ad un’impresa dichiarata fallita nei cui confronti sia stata instaurata la relativa procedura concorsuale, veniva subordinata alla condizione che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, motivasse espressamente sulla prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori ammessi al passivo. Non è dato soprattutto trarre, dalla lettura della citata pronuncia, la conclusione invece enunciata dal ricorrente in ordine all’asserita distinzione fra una confisca obbligatoria di cose intrinsecamente pericolose ed altra, pure obbligatoria ma riguardante cose intrinsecamente lecite, per la quale sarebbe attribuito al giudice uno spazio valutativo discrezionale nei termini appena descritti; emergendo invece dal testo della decisione in esame la chiara affermazione dell’insensibilità alle ragioni della procedura fallimentare del sequestro di beni la cui confiscabilità è prevista dalla legge in via obbligatoria, per essere tale previsione fondata su una presunzione assoluta di pericolosità del bene, risultato di un giudizio formulato dal legislatore sull’esigenza che la circolazione e l’utilizzazione del bene siano totalmente inibite in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato.
Che invece, con particolare riguardo alla confisca di cui all’art. 19, comma primo, d.lgs. n. 231 del 2001, sia necessaria una valutazione giudiziale sul raffronto fra le esigenze poste a fondamento della confiscabilità dei beni e quelle attinenti alla tutela dei creditori ammessi alla procedura fallimentare (Sez. 5, n. 33425 del 08/07/2008, Fazzalari, Rv. 240559), è dato che non pone in discussione l’obbligatorietà in quanto tale della confisca prevista nella fattispecie in esame, ma discende dalla specifica formulazione della norma appena citata; la quale, pur disponendo che nei confronti dell’ente sia sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, fa espressamente salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. La descritta valutazione, in altre parole, dipende non da una meno stringente dimensione di obbligatorietà della confisca, ma dalla presenza di legittime pretese di terzi sul bene; ed in questo senso il tema è oggetto del motivo di ricorso che sarà di seguito esaminato.
2. Il motivo appena menzionato, relativo all’esclusione per la curatela fallimentare della qualifica di terzo in buona fede, è, a differenza del precedente, fondato.
La motivazione del provvedimento impugnato evidenzia la consapevolezza dei giudici di merito in ordine alla tutela accordata dall’art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001 alle ragioni dei terzi in buona fede, nel momento in cui il Tribunale rigettava l’appello proposto dal ricorrente escludendone la qualifica di terzo estraneo al reato, cosi sottintendendo la rilevanza di tale qualifica, ove riconosciuta, pur nell’affermata obbligatorietà della confisca prevista dalla predetta norma.
Questa conclusione veniva giustificata richiamando sostanzialmente le argomentazioni esposte sul punto nella più volte citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 228165), per le quali da un lato deve intendersi come terzo estraneo colui che non partecipi in alcun modo, anche lecito, all’utilizzazione dei profitti derivanti dal reato, condizione che non ricorrerebbe per la curatela del fallimento; e dall’altro quest’ultima, pur avendo disponibilità giuridica e materiale dei beni del fallito, non vanterebbe diritti sugli stessi, che rimangono di proprietà del fallito fino alla vendita fallimentare. Aggiungendo il Tribunale che neppure dai creditori possono essere vantati diritti sui beni in esame, atteso il vincolo di destinazione che grava sugli stessi nel corso della procedura fallimentare.
Orbene, se è condivisibile che in linea generale non possa essere ritenuto terzo chi utilizzi il profitto del reato, altrettanto non lo è che il curatore del fallimento di un’impresa, nelle disponibilità della quale siano confluiti i proventi di un’attività criminosa, si trovi in una posizione di questo genere. Non si può dire, infatti, che il curatore faccia uso dei beni illeciti esistenti nell’attivo fallimentare; essendo egli viceversa incaricato dell’amministrazione di tale attivo, e dei beni che ne fanno parte, nell’esclusivo interesse dei creditori ammessi alla procedura concorsuale. Questi ultimi da parte loro, per effetto di tale ammissione, sono portatori di diritti alla conservazione dell’attivo nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti; diritti che, pur convivendo fino alla vendita fallimentare con quelli di proprietà del fallito e con il vincolo destinato alla realizzazione della par condicio creditorum, trovano riconoscimento e tutela, nel corso della procedura, attraverso l’azione del curatore.
E’ del resto significativo che la stessa, citata decisione delle Sezioni Unite attribuisca al curatore, nell’espletamento dei suoi compiti di amministrazione del patrimonio fallimentare, la legittimazione a proporre istanze di revoca e di riesame del provvedimento di sequestro preventivo e di ricorrere per cassazione avverso le eventuali ordinanze reiettive; e ciò proprio in considerazione della funzione istituzionale di tate soggetto, volta alla ricostruzione dell’attivo. Al curatore vengono in tal modo riconosciute facoltà di agire giudizialmente in una posizione che non si identifica con quella del fallito né alla stessa è in alcun modo assimilabile; essendo invece l’esercizio di tali facoltà diretto alla reintegrazione dell’attivo in funzione dei diritti dei creditori, al soddisfacimento delle pretese dei quali detto attivo è destinato, e che sono sicuramente terzi rispetto alle vicende personali del fallito.
Questa condizione di terzo non può che trasferirsi sulla figura del curatore, che agisce in rappresentanza dei diritti dei creditori. E questo è peraltro il costante orientamento della giurisprudenza civilistica, che qualifica il curatore come terzo in quanto per l’appunto soggetto agente nell’Interesse della massa creditoria (Cass. civ. Sez. 1, n. 1110 del 30/01/1995, Rv. 490141; Sez. 1, n. 1370 dell’08/02/2000, Rv. 533585).
Non è d’altra parte possibile ignorare che, ove al curatore non fosse riconosciuta la possibilità di intervenire giudizialmente, nella procedura relativa alla confisca dei beni, a sostegno dei diritti vantati dai creditori sull’attivo fallimentare, gli stessi sarebbero irragionevolmente esclusi dalia tutela accordata in generale dal citato art. 19 ai diritti acquisiti dai terzi in buona fede, con evidenti implicazioni in termini di contrasto con i principi costituzionali.
Da ultimo, la stessa confiscabilità del profitto del reato incontra, nella previsione dell’art. 19, il limite costituito dalla possibilità di restituire al soggetto danneggiato parte del profitto stesso, pertanto non assoggettabile alla confisca. Ove la figura del danneggiato coincida con quella di taluno dei creditori, la tutela delle ragioni dello stesso, per quanto detto riconosciuta espressamente dalla norma, non potrebbe trovare concreta attuazione se non in quanto attribuita al curatore, al quale è attribuita in via esclusiva la rappresentanza delle pretese creditorie.
Il curatore ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, deve in conclusione essere ritenuto rappresentante di interessi qualificabili come diritti di terzi in buona fede sui beni oggetto di confisca; la posizione dei quali deve pertanto essere valutata dal giudice, secondo i principi richiamati al punto precedente, nella prospettiva della prevalenza o meno, rispetto agli stessi, delle esigenze cautelari sottese alla confisca. Il provvedimento deve pertanto essere annullato con rinvio al Tribunale di Bari per un nuovo esame che comprenda tale valutazione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bari.
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