Corte di Cassazione sentenza n. 49031 del 17 dicembre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO AL DIPENDENTE – CADUTA DA UN LUCERNARIO – RUOLO DI UN RSPP – RESPONSABILITA’ DATORE DI LAVORO
FATTO
1. – Con sentenza resa in data 19.12.2011, la Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale della stessa città del 25.2.2011, con la quale (Omissis) è stato riconosciuto colpevole del reato contestatogli in relazione all’art. 40 c.p., comma 2, art. 41 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 3), art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, in relazione all’art. 583 c.p., comma 2, n. 1), e in relazione al D.Lgs. 81/2008, art. 148, comma 2, e art. 122 nonché in relazione all’art. 2087 c.c, perché, nella qualità di legale rappresentante dell’impresa (Omissis) s.r.l., con sede in (Omissis), quale datore di lavoro di (Omissis), avendo incaricato quest’ultimo, assieme ad altri due lavoratori, di eseguire la pulizia della gronda posta tra una falda all’altra della copertura del deposito aziendale posta a un’altezza dal suolo variabile tra m 7.50 e m 8.60, causava la caduta di (Omissis), il quale, nel corso della lavorazione sul canale di gronda, si era appoggiato a uno dei lucernari adiacenti il canale, precipitando al suolo e così provocandosi una malattia insanabile consistita in un quadro neurologico stabilizzato di paraplegia.
In particolare, veniva contestata all’imputato la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonché l’inosservanza delle norme di colpa specifica identificata nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 148, comma 2, e art. 122 per non aver ha apprestato le difese necessarie in prossimità del posto di lavoro che impedissero lo sfondamento, da parte del lavoratore, dei lucernari in uso alla copertura del deposito aziendale, e per non aver realizzato e adottato tutte le misure precauzionali atte a eliminare i pericoli di caduta e i conseguenti rischi per l’incolumità del lavoratore.
Fatto commesso in (Omissis).
Con la sentenza di primo grado, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, operata la diminuzione per il rito abbreviato celebrato il (Omissis) è stato condannato alla pena di due mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, affidato a due motivi di impugnazione.
2.1. – Con il primo motivo di ricorso, l’impugnante si duole dell’erronea applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 148 in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b).
In particolare, il ricorrente contesta l’applicazione, operata dai giudici del merito, dell’art. 148 cit., il quale prevede l’adozione delle precauzioni ivi indicate in relazione all’esecuzione di lavori su lucernari, tetti, etc. e non già, come nel caso di specie, su un suolo adiacente a dette coperture (canale di gronda) assolutamente idoneo al calpestio. La casualità del contratto del lavoratore con il lucernario, pertanto, non costituiva un evento che necessitasse una preventiva verifica della tenuta della superficie, il cui adempimento doveva conseguentemente ritenersi non esigibile dal datore di lavoro.
2.2. – Con il secondo motivo di ricorso, il difensore dell’imputato lamenta l’erronea interpretazione e applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16.
In particolare, il ricorrente contesta che nel caso di specie si fosse trattato di una delega, da parte del datore di lavoro, del controllo sulla sicurezza delle operazioni lavorative, essendosi viceversa trattato dell’ordinaria esplicazione dei poteri di organizzazione dei servizi di prevenzione degli infortuni sul lavoro (di cui agli artt. 31 e 32 del Decreto Legislativo cit.), per la quale non doveva ritenersi necessario il rispetto dei rigorosi requisiti formali richiesti dal cit. art 16.
Nel caso di specie, il (Omissis) aveva correttamente provveduto ad affidare, a un soggetto dotato di sufficiente esperienza, il compito di controllare se le operazioni da eseguire tipizzassero o meno le circostanze di fatto esaminate nei documenti di sicurezza già predisposti, al fine di applicare le già previste misure di prevenzione.
DIRITTO
3.1. – Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 148 del cit. Decreto Legislativo, di cui il ricorrente censura la violazione da parte della corte distrettuale, dispone che “prima di procedere all’esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva: inciso inserito dal D.Lgs. n. 106/2009, art. 85, comma 1, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta”.
Nel caso di specie, la lavorazione oggetto d’esame era stata eseguita, dal lavoratore infortunato, sulla copertura di un edificio, in particolare su una striscia di calpestio ivi esistente della larghezza di circa 50 cm. posta tra due vasti lucernari in vetroresina.
In relazione a siffatta situazione, non appare ragionevolmente revocabile in dubbio che tale contesto ambientale sia esattamente quello individuato dal citato art. 148, segnatamente nella parte in cui si riferisce a ogni forma di copertura, anche assimilabile a lucernari o tetti, che presentino profili di rischio lavorativo sostanzialmente equiparabili, se non identici tra loro.
Deve pertanto ritenersi solo pretestuosa la pretesa di interpretare l’art. 148 cit. come riferito alle sole lavorazioni da eseguirsi su lucernari, atteso l’espresso riferimento della norma richiamata all’esecuzione di attività lavorative su coperture simili ai lucernari, ed avuto riguardo alla sostanziale assimilabilità delle caratteristiche proprie dei prevedibili rischi legati all’esecuzione delle attività lavorative su dette coperture, rispetto a quelli cui fu esposto il lavoratore infortunato nell’occasione oggetto dell’odierno esame.
3.2. – Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento.
Al riguardo, al di là dell’estraneità delle circostanze di fatto richiamate dal ricorrente alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 31 e 32 dallo stesso invocati (relativi all’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva), vorrà richiamare il principio già in precedenza dettato da questa corte di cassazione, secondo cui “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessaire iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio (cfr. Cass., sez. 4, n. 32357/2010, Rv. 247996).
In proposito, per quanto qui interessa, deve ritenersi indiscutibile che la responsabilità penale diretta del datore di lavoro (e soggetti assimilati: dirigente, preposti) per l’inosservanza delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non è esclusa ex se per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica e che opera, piuttosto, quale consulente in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.
In effetti, dalla normativa di settore (cfr., in particolare, D.Lgs. n. 626/1994, art. 8, commi 3 e 10; ora, D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 31, commi 2 e 5), emerge che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale.
Essi sono dunque soltanto dei consulenti e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario.
Da questa prospettiva, deriva che la designazione del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare, non equivale ad alcuna delega di funzioni utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di trasferirà ad altri – il delegato – la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori.
Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa.
In altri termini, la designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l’istituto della delega di funzioni (cfr. ora D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16) e non può quindi assumere la stessa rilevanza ai fini dell’esonero della responsabilità del datore di lavoro. Ciò, tenuto conto dei compiti e dei relativi poteri attribuiti al RSPP, tra i quali rientra l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure da adottare per la sicurezza e la salubrità dell’ambiente di lavoro: nello svolgimento di tali compiti, peraltro, il RSPP opera per conto del datore di lavoro, svolgendo solo un’ attività di consulenza nella materia della prevenzione dei rischi in ambiente lavorativo, di guisa che i risultati della sua attività sono destinati al datore di lavoro, cui compete, poi, di ottemperare alle indicazioni offertegli rimuovendo le situazioni pericolose (cfr., per utili riflessioni, Cass., sez. 4, n. 6277/2007, Rv. 238750).
Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia, dovendosi escludere che possa invocarsi impropriamente l’istituto della delega di funzioni in presenza – ove mai l’odierno ne fosse un caso – della mera nomina del RSPP.
4. – Al riscontro dell’infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dall’imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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