Corte di Cassazione sentenza n. 4925 del 27 febbraio 2013
PROCESSO TRIBUTARIO – SPESE DEL GIUDIZIO – RISARCIMENTO DEI DANNI CAUSATI DAL RICORSO PER CASSAZIONE – RISARCIMENTO EX ART. 96, PRIMO E TERZO COMMA – CUMULO DELLE CONDANNE – AMMISSIBILITA’ – DIVIETO DEL DOPPIO RISARCIMENTO – SUSSISTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 40/16/05 depositata il 19.10.2006, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Genova n. 20/05/04 che aveva annullato gli avvisi di accertamento con i quali veniva ripresa a tassazione, per l’anno 1996, ai fini Iva, Irpeg, Ilor, l’imponibile di L. 36.904.484.000 (pari a Euro 19.060.608,54), pari ai proventi riscossi dall’autorità portuale a titolo di canoni per la concessione di beni demaniali.
Rilevava al riguardo là Commissione Tributaria Regionale, confermando quanto affermato già nella sentenza di primo grado, la natura non commerciale delle autorità portuali e delle relative concessioni pur a fronte della corresponsione di un canone.
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi:
a) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, (odierno art. 73) e art. 108, (odierno art. 1) art. 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, non essendo sufficiente, ai fini della esclusione dell’Irpeg, la sola circostanza che l’autorità portuale non abbia per oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività commerciale per la concessione in uso a terzi dei beni del demanio marittimo;
b) violazione o falsa applicazione della L. n. 84 del 1994, artt. 1, 6 e 18, e del D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 51, 87, 88, 108 e 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando come i canoni percepiti dall’autorità portuale per la concessione di aree demaniali costituiscano reddito di impresa e siano, come tali, soggetti ad Irpeg.
L’ente intimato si è costituito con controricorso nel giudizio di legittimità, formulando anche ricorso incidentale condizionato chiedendo l’inapplicabilità, sotto diversi profili, delle sanzioni per obiettiva incertezza della legge, anche in considerazione dello ius superveniens rappresentato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 993, (c.d. Legge Finanziaria per il 2007).
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 10.1.2013, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Vanno, preliminarmente, riuniti i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.
1. In ordine logico va esaminata preliminarmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso dell’Agenzia per intervenuto giudicato esterno, essendosi formati, successivamente alla notifica del controricorso, più giudicati favorevoli all’Autorità portuale relativamente a differenti periodi d’imposta.
Va, al riguardo, osservato che il problema del giudicato e un problema di rapporto fra due procedimenti, diretto a stabilire se, ed entro quali limiti, la decisione emessa nel primo precluda nel secondo la facoltà della parte di dedurre determinate questioni e correlativamente (a seguito di opportuna eccezione, ove si tratti di giudicato esterno) l’esercizio del potere cognitivo del giudice.
Deve trattarsi di accertamento in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto.
Nella fattispecie in esame trattasi di sentenze relative a diversi periodi di imposta, senza che sia stata fornita la prova, in violazione del principio di autosufficienza, che trattasi, nei giudizi già definiti, delle medesime attività commerciali oggetto di valutazione nel presente giudizio ai fini della tassabilità a fini Irpeg.
Pertanto il giudicato relativo all’annullamento degli avvisi di accertamento, con riferimento ad anni d’imposta differenti, non è estensibile al presente giudizio.
2.1 motivi del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro logica connessione.
La L. 28 gennaio 1994, n. 84, concernente il riordino della legislazione in materia portuale”, ha istituito nei porti ivi indicati (tra cui quello di Genova) delle Autorità portuali, stabilendo che tali organismi “subentrano” alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni e in tutti i rapporti in corso (art. 20, comma 5, come modificato dal D.L. 21 ottobre 1996, n. 535, art. 2, comma 19, convertito in L. 23 dicembre 1996, n. 647). (Cass., 14.10.2000, n. 13729).
La medesima legge dispone che “l’Autorità portuale ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia di bilancio e finanziaria (art. 6, comma 2).
Dal contenuto di tale disposizione di legge si ricava, conformemente con l’opinione quasi unanime dalla dottrina giusnavigazionistica, che le Autorità portuali rientrano nella categoria degli enti pubblici non economici (tenuto conto, soprattutto, dei compiti loro assegnati:
v., al riguardo, il suddetto art. 1, comma 1, lett. a, b, c) non perseguendo finalità economiche nel senso che non agiscono per la produzione di un utile ma si limitano a conseguire il pareggio tra costi e ricavi.
Nello stesso senso si sono espressi la Corte dei Conti che ha affermato che la autorità portuale è munita di poteri pubblicistici di coordinamento, indirizzo, programmazione, promozione e controllo delle attività produttive portuali (Corte Conti 19.7.1996 n. 38) e il Consiglio di Stato che ha evidenziato “che le autorità portuali, sia per la configurazione formale esce attribuita dalla legge, sia per l’attività svolta, sia, ancora, per le modalità di finanziamento, svolgono funzioni che solo in minima parte potrebbero ricondursi alla prestazione di servizi a terzi, dietro pagamento di un corrispettivo, risultando, invece, nel complesso, preordinate al perseguimento di specifiche finalità di pubblico interesse….e tenuto conto della natura delle risorse finanziarie poste disposizioni di dette autorità, resterebbe esclusa ogni finalità di lucro connessa all’espletamento dei compiti istituzionali demandati a tali organismi” (Cons. St. 9.7.2002, n. 1641).
Occorre, tuttavia, verificare, se tale qualifica (peraltro non contestata dalla Agenzia delle Entrate) incide non solo sull’assetto economico ed organizzativo, ma anche sul regime fiscale.
L’eventuale assoggettabilità degli enti pubblici non economici all’Irpeg non si esaurisce in una “partita di giro” potenzialmente individuabile nel versamento da parte degli enti locali dell’Irpeg allo Stato, il quale la restituisce sotto forma di trasferimenti agli stessi, ma rientra in una ampia operazione redistributiva. Attraverso tale imposta gli enti locali “più ricchi” sostengono maggiormente l’onere a carico dello Stato, il quale – a sua volta – provvedere a redistribuire le ricchezze in base ai bisogni e alle opportunità e, quindi, non meramente restituendo agli enti elargitori quanto dagli stessi versato.
La L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 993, (c.d. Legge finanziaria per il 2007) prevede, al riguardo, che “gli atti di concessione demaniali rilasciati dalle autorità portuali, in ragione della natura giuridica di enti pubblici non economici delle autorità medesime, restano assoggettati alla sola imposta proporzionale di registro e i relativi canoni non costituiscono corrispettivi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Gli atti impositivi o sanzionato rifondati sull’applicazione del valore aggiunto ai canoni demaniali marittimi introitati dalle autorità portuali perdono efficacia e i relativi procedimenti tributari si estinguono”.
Tale normativa pone termine, in modo definitivo, ad una questione interpretativa che si trascinava ormai da oltre un cinquantennio L’agenzia delle entrate riconosce espressamente la portata di ius superveniens, applicabile anche al presente ricorso, alla citata normativa, con riferimento al iva avendo dichiarato che “il presente ricorso non riguarda la maggiore Iva di cui all’avviso di rettifica, in considerazione dell’entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 993”, con conseguente formarsi del giudicato in ordine alla non debenza dell’Iva di cui all’avviso di rettifica.
La questione controversa concerne l’assoggettabilità all’Irpeg e, quindi la imponibilità o meno dei corrispettivi percepiti a fronte delle concessioni delle aree demaniali marittime, pur rientrando all’attività svolta dalle autorità portuali nell’esercizio di funzioni statali, avendo l’Amministrazione finanziaria ripreso a tassazione l’ammontare dei canoni riscossi per la concessione in uso dei beni del demanio marittimo.
Con riferimento all’Irpeg i giudici di merito hanno ritenuto che le autorità portuali, non avendo natura commerciale, non possono essere ritenuti soggetti passivi d’imposta.
In linea di principio è possibile che una determinata attività possa essere soggetta ad una imposta ed esclusa da altra (come ad esempio il regime di esenzione Iva ai libri, giusta disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 10, sì come integrato dalla L. 25 febbraio 1987, n. 67, art. 22) quindi, la circostanza che gli atti di concessione demaniali rilasciati dalle autorità portuali siano, ope legis, esclusi dall’Iva (L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 993) non ne comporta automaticamente l’esclusione ai fini Irpeg.
Rafforzativo di tale interpretazione è proprio la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 993, che neh’ escludere che i canoni degli atti di concessione demaniali rilasciati dalle autorità portuali, non costituiscono corrispettivi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, nulla dice in ordine alla tassabilità ai fini Irpeg, così lasciandone presumere la possibile tassabilità, in mancanza di altra normativa che la escluda espressamente.
Nessuna disposizione particolare vieta al legislatore tributario di effettuare il prelievo Irpeg sui redditi prodotti da un ente pubblico non economico.
Si deve ritenere che, pur in assenza di una disposizione di carattere generale, l’attribuzione della veste di soggetto passivo d’imposta può ragionevolmente desumersi da una serie di norme che, come si è già precisato, prevedono l’esenzione dall’imposta IVA, sui redditi fondiari, ovvero la riduzione dell’imposta personale per determinate attività di pubblica utilità;
elementi, questi, che dimostrano l’attitudine dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali alla contribuzione purchè, ovviamente, ne esistano i presupposti, costituiti dallo svolgimento di attività di natura privatistica e non istituzionale.
Tra le varie attività svolte dagli Enti pubblici non economici occorre distinguere, ai fini della applicazione dell’Irpeg, tra attività commerciale, tipica del diritto privato e attività istituzionale riconducibile alle funzioni statali e nel’ambito dell’attività commerciale, quella svolta per fini pubblici e da quella svolta per fini non riconducibili all’attività istituzionale dell’Ente.
Ai sensi dell’art. 74, comma 2, lett. a) TUIR “… non costituiscono esercizio di attività commerciale: a) l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici…”.
Le attività di cui si discute sono quelle poste in essere dall’Autorità portuale nella sua qualità di pubblica autorità riconducibili, quindi, ad atti e provvedimenti formali tipici delle autorità sia centrali che locali preposte alla cura degli interessi dei consociati.
Si deve quindi concludere che l’interpretazione da attribuirsi al comma 1, del richiamato articolo è quella di esonerare (e non escludere) dal pagamento Irpeg gli enti pubblici non economici solo per quanto attiene alle attività istituzionali esercitate, mentre, per le ipotesi che non vi rientrano, si applicano le rispettive norme disciplinanti le specifiche imposte.
Tale conclusione è aderente ai principi del diritto comunitario in quanto ai sensi dell’art. 4, n. 5, della VI direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/Cee, “gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche Autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”.
Trattasi di principi, vincolanti, aderenti alla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato e posti anche a tutela della concorrenza che costituisce un fondamentale principio dell’Ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del Trattato che stabilisce infatti che si deve realizzare “un’economia di mercato aperta e di libera concorrenza”.
In forza delle predette considerazioni può affermarsi il seguente principio di diritto: “le attività di natura commerciale o meno degli enti pubblici non economici non sono assoggettabili a imposizione quando essi agiscano nella loro veste di pubblica autorità in quanto soggetti di diritto pubblico, mentre sono assoggettate a tributo quando l’ente agisca come soggetto di diritto privato”.
Una diversa interpretazione sarebbe senz’altro tacciabile di incostituzionalità per violazione del combinato disposto degli artt. 2, 3, 10 (che recepisce l’ordinamento comunitario) e 41 Cost., poichè l’asserita esclusione soggettiva ai fini dell’imposta sul reddito, anche per le attività di diritto comune, comporta ineluttabilmente una inaccettabile differenziazione tra soggetti che, indipendentemente dalla qualifica, svolgono attività di natura economica non connessa a fini istituzionali, con evidenti conseguenze in tema di concorrenza sleale.
Non costituiscono esercizio di attività commerciate, ai fini che interessano il presente giudizio, le funzioni statali svolte in via istituzionale, nella fattispecie, dalle Autorità portuali con conseguente esenzione dall’applicazione dell’Irpeg.
Nel caso di specie dalle indicazioni della sentenza e degli atti defensionali emerge, in mancanza di qualsiasi contestazione contraria al riguardo da parte dell’amministrazione finanziaria, che l’atto impositivo riguarda la concessione di beni del demanio marittimo.
Con riferimento agli atti di concessione demaniali rilasciati dalle autorità portuali, rilasciati previa erogazione di un corrispettivo per il servizio, ai fini della tassabilità ai fini Irpeg occorre accertare se tale attività possa ritenersi ricompresa nelle finalità istituzionali dell’ente non commerciale, quale è l’autorità portuale.
Una prima indicazione sulla natura pubblica dell’attività di gestione del demanio marittimo posta in essere dalle autorità portuali è individuabile nella L. n. 84 del 1994, art. 12, il quale stabilisce che le delibere di concessione dei beni demaniali devono essere sottoposte all’approvazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, mentre l’art. 6, comma 4, L. cit. stabilisce che la gestione patrimoniale e finanziaria dell’Autorità portuale è disciplinata da un regolamento di contabilità approvato dal Ministro dei trasporti e della navigazione (ora delle infrastrutture e dei trasporti) di concerto con il Ministro del Tesoro (ora dell’economia e delle finanze) ed è sottoposta al controllo di legittimità da parte della Corte dei conti. Nello stesso senso si pone l’indicazione proveniente dall’art. 18, u.c., L. cit. il quale conferisce alle Autorità portuali poteri eminentemente pubblicistici per quanto riguarda la verifica, in costanza della concessione, della permanenza, in capo al soggetto concessionario dei beni demaniali, dei requisiti richiesti al momento del rilascio della concessione nonchè al controllo del rispetto degli obblighi assunti dallo stesso concessionario in relazione al raggiungimento degli obiettivi fissati, accompagnati al potere di revocare, in assenza di giustificato motivo, l’atto concessorio. L’attribuzione di tali poteri di vigilanza e sanzionatori è ascrivibile all’esercizio di un pubblico potere, in quanto l’operatore privato potrebbe avvalersi soltanto dei normali rimedi civilistici, quali le richieste di annullamento di risoluzione de contratto, l’eccezione di inadempimento, etc..
Le attività oggetto del presente giudizio svolte dalle Autorità portuali (quali, ad esempio, la concessione delle banchine portuali, peraltro obbligatoria ex lege) sono, quindi, riconducibili nell’alveo delle funzioni statali e non possono essere ricompresi nell’ambito di una attività di impresa, dovendo essere funzionali e correlate all’interesse statale al corretto funzionamento delle arie portuali, concretandosi in poteri conferiti esclusivamente a tal fine, (cfr L. n. 84 del 1994, per la scelta dei concessionari) con una discrezionalità vincolata, sottoposta a controlli da parte del Ministero dei Trasporti.
L’autorità portuale gestisce beni secondo un piano regolatore etero determinato e ha quali obiettivo di garantire la funzionalità del porto sostituendo allo Stato, cui appartiene la proprietà delle aree affidate, ad altro soggetto che, in quanto delegato dallo Stato, mediante una normativa specifica, persegue le funzioni e gli obiettivi istituzionali.
Anche se gli atti con i quali vengono assegnati il godimento delle aree demaniali ai singoli operatori sono assunti sulla scorta di valutazioni del concedente, ma pur sempre vincolate, tuttavia la natura istituzionale, e quindi, pubblica dell’autorità portuale appare prevalente, ai fini della esclusione della tassabilità ai fini Irpeg, rispetto alle connotazioni relative all’esercizio d’impresa, non trattandosi, comunque, di attività di natura imprenditoriale ma istituzionale, per fini pubblici.
Va, conseguentemente, rigettato il ricorso principale e dichiarato assorbito l’incidentale.
3. Nella memoria illustrativa l’Autorità portuale chiede anche la condanna al risarcimento del danno, ai sensi del’art. 96 c.p.c., comma 3, in forza asserita gravità della condotta da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Va preliminarmente verificata la possibilità di applicare l’art. 96 c.p.c., sia con riferimento al comma 1, che al comma 3, nel giudizio di Cassazione.
Il citato art. 96 c.p.c., comma 1, richiede la domanda della parte e la prova del danno, liquidabile anche d’ufficio ma solo ove il danno risulti comunque, provato.
In forza dei principi relativi al c.d. “danno conseguenza” affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass., S.U. 11.11.2008, n. 26972- 5), il pregiudizio subito dalla parte de essere provato, sia pure anche mediante presunzioni, e non può più essere individuato in re ipsa (c.d. danno evento) nella mera violazione dell’interesse leso, in quanto il danno, quale componente dell’illecito, è una conseguenza meramente eventuale dell’evento lesivo, potendo anche configurarsi illeciti non produttivi di danni.
L’art. 96 c.p.c., comma 3, prescinde, invece, dalla domanda della parte, può essere anche riconosciuto d’ufficio da giudice che può, altresì, condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
Il Collegio ritiene che la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, sia in forza dei commi 1 e 3, possa trovare ingresso nel giudizio di legittimità per il risarcimento dei danni causati dal ricorso per cassazione, purchè, però, ove prospettata ai sensi del primo comma, essa sia formulata nel controricorso con una indicazione della temerarietà della lite riferita a tutti i motivi del ricorso, essendo altrimenti impedito alla Corte l’accertamento complessivo della soccombenza dolosa o gravemente colposa, la quale deve valutarsi riguardo all’esito globale della controversia e, quindi, rispetto al ricorso nella sua interezza (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21805 del 05/12/2012; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 20914 del 11/10/2011). Anche il dell’art. 96 c.p.c., comma 3, è applicabile al giudizio di cassazione, essendo stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 20, l’art. 385 c.p.c., comma 3, norma espressamente prevista per il giudizio di cassazione, fondato sui medesimi presupposti dell’art. 96 c.p.c., comma 3, con la specificazione dell’importo massimo liquidabile (“non superiore ai doppio dei massimi tariffari”).
Non vi è alternatività ma cumulabilità tra il primo e terzo comma dell’art. 96 c.p.c., potendo, astrattamente, il giudice pronunciare, sussistendone le rispettive condizioni, la condanna, ih forza di entrambe le disposizioni di legge, applicate cumulativamente, così come desumibile dalla locuzione “altresì”, di cui al comma 3, essendo la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3, ancorati a presupposti parzialmente differenti, dovendo, tuttavia, il giudice evitare duplicazioni risarcitorie, ristorando il medesimo pregiudizio due volte.
Nel caso, di specie, pur essendo ammissibile la richiesta di risarcimento danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, formulata nella memoria ex art. 378 c.p.c., non essendo soggetta a preclusioni, potendo anche la corte pronunciare d’ufficio la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata, tale richiesta va disattesa per duplice ordine di motivi. L’art. 96 c.p.c., comma 3, trova applicazione ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (4.7.2009), quindi ne è preclusa l’applicazione de presente giudizio instaurato nell’anno 2005.
Peraltro, ancorché l’amministrazione sia rimasta soccombente, non sussistono i presupposti per l’affermazione di responsabilità aggravata trattandosi di questione, all’epoca dell’instaurazione del giudizio, controversa, connotata da novità, sotto il profilo della giurisprudenza di legittimità, per quanto concerne l’assoggettabilità ad Irpeg dei proventi riscossi dall’Autorità portuale a titolo di canoni per la concessione di beni demaniali e la novità della questione costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
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