Corte di Cassazione sentenza n. 4947 del 8 febbraio 2012
PENALE – FATTURE EMESSE DA SOCIETA’ CARTIERE – VALENZA
massima
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Le fatture emesse da società cartiere sono documenti privi del valore di attestazione che l’ordinamento riconosce alle fatture regolari o ad altri documenti aventi “rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie”, tanto che non possono trovare valido ingresso nella contabilità a fini Iva. In tal caso, è legittimo il sequestro preventivo anche se i pagamenti risultano tracciabili.
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Svolgimento del processo
Con ordinanza del 31 maggio 2011, il Tribunale di Catanzaro, quale giudice del riesame, rigettava il ricorso proposto nell’interesse di S.I. avverso il decreto di sequestro preventivo per il complessivo importo di Euro 372.126,55 emesso dal G.I.P. in sede il 18 marzo 2011 nell’ambito di un procedimento penale che vedeva la suddetta indagata del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, perchè, quale legale rappresentante della SUMA s.r.l., si era avvalsa di fatture soggettivamente ed oggettivamente inesistenti per le dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2006 e 2007.
Avverso tale pronuncia la predetta proponeva ricorso per cassazione.
Con un unico motivo di ricorso deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che il Tribunale, facendo propria l’ipotesi accusatoria, aveva rigettato il ricorso con argomentazioni manifestamente illogiche e senza tenere conto delle contestazioni ed allegazioni difensive.
Assumeva, a tale proposito, di aver dimostrato l’effettiva esistenza delle transazioni commerciali attraverso la documentazione relativa ai pagamenti, tutti tracciabili, in quanto effettuati a mezzo bonifico bancario o assegno non trasferibile ed il successivo adempimento delle obbligazioni da parte delle ditte che avevano emesso fattura, le quali avevano regolarmente consegnato la merce.
Aggiungeva che non vi erano elementi per poter ragionevolmente ritenere che ella potesse dubitare della reale esistenza e della capacità organizzativa e commerciale delle società con le quali aveva avuto rapporti commerciali e che, anzi, la documentazione prodotta era idonea a dimostrare la sua inconsapevolezza della reale funzione di c.d. “società cartiere” delle aziende fornitrici.
Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
Occorre in primo luogo ricordare, avendo la ricorrente dedotto la manifesta illogicità della motivazione, che la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (SS.UU. n. 5876, 13 febbraio 2004. Conf. Sez. 5^ n. 35532, 1 ottobre 2010; Sez. 6^ n. 7472, 20 febbraio 2009; Sez. 5^ n. 8434, 28 febbraio 2007).
Così delimitato l’ambito di operatività della verifica demandata a questa Corte, deve rilevarsi che, anche le argomentazioni poste a sostegno del ricorso risultano, in ogni caso, manifestamente infondate.
Lamenta, infatti, la ricorrente che il Tribunale non avrebbe dato il dovuto rilievo alle allegazioni difensive, limitandosi alla mera verifica del fumus del reato ipotizzato dalla pubblica accusa senza considerare il contributo fornito dalla documentazione prodotta, la quale dimostrava che non vi era consapevolezza, da parte sua, del reale assetto delle aziende fornitrici.
Tale assunto, tuttavia, risulta palesemente smentito dalla puntuale motivazione dell’ordinanza impugnata nella redazione della quale i giudici del riesame hanno fatto buon uso di consolidati principi affermati da questa Corte.
Come ricordato, infatti, anche dal Tribunale e riconosciuto dalla ricorrente, il giudice del riesame è chiamato ad una verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (SS. UU. n. 7, 4 maggio 2000 ed altre succ. conf.) pur permanendo l’obbligo di esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del “fumus” del reato contestato (Sez. 3^ n. 18532, 17 maggio 2010; n. 27715, 16 luglio 2010).
Si è ulteriormente affermato che compito del Tribunale del riesame è pure quello di espletare il proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (ex pi Sez. 3^ n. 27715/ 2010 cit.; Sez. 3^ n. 26197, 9 luglio 2010; Sez. 3^ n. 18532/ 2010 cit., con ampi richiami ai precedenti).
Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e che chiariscono esattamente come il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dal l’estendersi ad ogni questione prospettata dall’indagato, resta comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla fondatezza del fumus del reato.
Il principio di diritto è stato conseguentemente riaffermato (Sez. 3^ n. 7242, 25 febbraio 2011), con l’ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al Tribunale del riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell’apporto della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al “fumus commissi delicti”.
Ciò posto, occorre rilevare che i giudici del riesame, dopo aver legittimamente richiamato per relationem il contenuto del decreto impugnato, hanno compiutamente analizzato gli elementi in fatto rappresentativi della sussistenza del fumus del reato in modo del tutto esaustivo rispetto al limitato ambito di cognizione sommaria loro demandata dalla legge.
Conseguentemente, tenendo conto del contenuto degli atti offerti al loro esame, hanno rilevato che l’utilizzazione, da parte della società SU.MA s.r.l., di fatture soggettivamente ed oggettivamente inesistenti per le dichiarazioni dei redditi emergeva dalle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, la quale aveva potuto accertare che le società fornitrici (I.M.A. s.r.l. e società MP Carni unipersonale s.r.l.) evidenziavano assoluta carenza strutturale e di personale delle rispettive organizzazioni aziendali e che, per tale ragione, le operazioni commerciali fatturate non potevano ritenersi esistenti e che risultavano essere state, in realtà, compiute da una dissimulata società comunitaria con sede all’estero, mentre le operazioni relative alla ditta individuale Oliviero Vincenzo riguardavano operazioni oggettivamente inesistenti.
I giudici del riesame non si sono tuttavia limitati alla sola considerazione degli elementi appena richiamati, avendo invece proceduto all’analisi delle allegazioni che la difesa, infondatamente, assume ignorate.
L’esito di tale analisi viene motivatamente ritenuto non determinante, evidenziando la corrispondenza tra l’importo indicato in uno dei documenti prodotti (avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate) e quelli riportati nell’imputazione provvisoria ed indicando le ragioni per le quali le fatture emesse dalla società della ricorrente in favore delle ditte fornitrici (IMA ed MP Carni s.r.l.) per l’attività, indicata in ricorso, di macellazione di animali, pur fornendo elementi meritevoli di ulteriori approfondimenti investigativi, non apparivano, allo stato, idonei a dimostrare l’insussistenza dell’elemento soggettivo a fronte della presenza di univoche emergenze obiettive comprovanti la inesistenza di adeguate strutture strumentali ed organizzative in capo alle aziende predette (viene, a tale proposito, testualmente riprodotto quanto evidenziato dalla Guardia di Finanza circa la mancanza di mezzi adeguati per il trasporto o per l’accoglimento di partite di carne).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, deve dunque concludersi che il provvedimento impugnato può superare indenne il vaglio di legittimità cui è stato sottoposto, avendo i giudici del riesame compiutamente svolto il loro ruolo di garanzia in ossequio a quanto loro imposto dalla legge.
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000,00.
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