CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2013, n. 49719
Tributi – Reati fiscali – Confisca di titoli erogati all’evasore in garanzia dalla banca – Limiti
Ritenuto in fatto
l. L’8 luglio 2011 la Cassa Rurale Banca di Credito Cooperativo di T. s.c.r.l.” presentava al giudice dell’esecuzione istanza di restituzione dei titoli di cui al dossier 808.144, del valore di euro 1.074676,84, posti a garanzia del conto corrente n. 370.244/92, già intestato alla “s.r.l. C.”, in quanto titolare di un diritto reale di garanzia (pegno) preesistente al provvedimento di sequestro per equivalente disposto nei confronti di I. B., cliente del predetto istituto bancario, nei cui confronti era stata emessa sentenza di applicazione concordata della pena (art. 444 c.p.p.) per una serie di frodi fiscali, tradottesi, tra l’altro, nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un valore complessivo di oltre dieci milioni di euro.
2. Il 21 luglio 2011 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como rigettava la domanda, ritenendo la perdurante efficacia del sequestro preventivo, non essendo la sentenza passata in giudicato.
3. Il 30 novembre 2011 il medesimo istituto bancario proponeva ulteriore incidente di esecuzione chiedendo nuovamente la restituzione del citato dossier titoli. A sostegno della domanda illustrava le vicende del rapporto creditizio intercorso tra la banca e la “s.r.l. C.” al fine di dimostrare la sua estraneità ai reati consumati da B..
4. Il giudice dell’esecuzione, in parziale accoglimento dell’istanza, dichiarava la sussistenza del diritto dell’istituto bancario al soddisfacimento dei crediti maturati nei confronti della “s.r.l. C.” anteriormente all’esecuzione del sequestro preventivo disposto con decreto del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como in data 17 febbraio 2011, e del successivo provvedimento di confisca nella misura di centocinquantamila euro e garantiti con il pegno sui titoli e ordinava alla “s.p.a Equitalia giustizia, quale gestore del fondo unico di giustizia, di restituire alla Cassa Rurale Banca di Credito cooperativo di T. s.c.r.l.” l’equivalente delle somme realizzate sino alla concorrenza del predetto credito. Rigettava nel resto la domanda volta ad ottenere la restituzione dei restanti titoli di cui al suddetto dossier, del valore complessivo di euro 1.074676.84, posto a garanzia del conto corrente 370.244/92, già intestato alla “s.r.l. C.”.
5. Il 20 febbraio 2013 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta dalla “Cassa Rurale Banca di Credito Cooperativo di T. s.c.r.l.” avverso il provvedimento emesso, il 23 agosto 2012, dalla medesima Autorità giudiziaria.
Il giudice dell’esecuzione fondava la sua decisione, in sede di opposizione, sulle seguenti argomentazioni.
Il rapporto di garanzia già in essere tra l’istituto bancario e I. B. non poteva essere qualificato come pegno irregolare (art. 1851 c.c.), atteso che l’art. 1851 c.c. richiede a tal fine che i titoli vincolati non siano individuati oppure che sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre degli stessi. Con riferimento al primo profilo, i codici ISIN indicati all’atto della costituzione del pegno non erano propri del compendio delle obbligazioni conferite da B., bensì erano pertinenti, come emergente dalla documentazione prodotta dalla difesa, a ciascuna delle emissioni obbligazionarie dell’istituto bancario considerate nel loro insieme, ossia riguardavano il più ampio corpus di ciascuna emissione da cui erano state tratte quelle sottoscritte dal singolo investitore, sicché la presenza del suddetto codice non valeva di per sé ad identificarle. Ciò nonostante, non poteva affermarsi che i titoli non fossero individuati nel senso preteso dall’art. 1851 c.c., posto che si trattava, in ogni caso, della quota di un fondo obbligazionario, a sua volta ben identificato, soggetto a fluttuazione e a variazione di valore in ragione delle condizioni di mercato, non soggetta a confusione con il restante patrimonio della banca.
Tale conclusione non era contraddetta dalla circostanza che l’art. 6 n. 5 delle condizioni generali di costituzione del pegno conferiva alla banca la facoltà di disporne, atteso che detta clausola si riferiva a valori diversi dalle obbligazioni, in alcun modo riconducibili a quei “titoli rappresentativi di depositi bancari al portatore” disciplinati dalla stessa.
L’istituto bancario aveva ricevuto un vantaggio dalla costituzione del pegno, posto che – ove avesse potuto farlo valere – ne avrebbe tratto l’ovvio beneficio di vedere garantita, almeno in buona parte, l’obbligazione principale relativa al fido prestato, asseritamente rimasta inadempiuta da parte del debitore. La valutazione del beneficio o vantaggio doveva essere compiuta sotto il profilo strettamente oggettivo.
La circostanza che il rapporto di garanzia avesse avuto origine in data antecedente a quella di consumazione dei reati da parte di B. e, cioè, nell’ottobre 2004, non appariva rilevante, in quanto l’importo dei fidi e della correlata garanzia concessi in quella fase era irrisorio, mentre era aumentato in modo significativo negli anni successivi, proprio in corrispondenza dei correlativo e sorprendente incremento dell’attività commerciale di B.. L’entità del pegno era, infatti, passata dagli originari 70.000 euro nel 2004 ai 150.000 di inizio 2006, sino alla cifra finale di oltre 1.000.000 euro, soprattutto grazie all’incremento operato alla fine del 2008, allorché l’attività illecita di B. era nella sua fase di massima espansione.
Non era possibile ravvisare una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole da parte della banca, atteso che le condotte dei funzionari dell’istituto bancario si erano rilevate assolutamente inadeguate agli obblighi di prudenza e di diligenza, il cui assolvimento legittima il riconoscimento della buona fede, perlomeno con riferimento alle fasi successive all’originaria costituzione del pegno e al primo aggiornamento del medesimo sino all’importo di 150.000 euro. Gli accertamenti e le verifiche avevano, infatti, avuto natura esclusivamente formale e si erano esauriti nella verifica della congruità delle operazioni in vista della salvaguardia delle ragioni creditorie della banca e del contenimento dei rischi connessi alla concessione di fidi. Non erano stati svolti, invece, i controlli (connaturati alla dimensione pubblicistica delle funzioni) volti a prevenire attività finanziarie illecite e ad impedire il riciclaggio di capitali ad esse connessi, nonostante esistessero elementi sospetti, come l’enorme incremento del fatturato della “s.r.l. C.” (passato da 1.3000.000 euro ad oltre 73.000.000 euro nel giro di tre anni), pur in presenza di una struttura del tutto minimalista, di una assenza costante di utili di gestione, di una struttura organizzativa contraddistinta dalla presenza di un solo dipendente (a fronte di un incremento del fido da parte della banca, motivato con la necessità della società di “far fronte ai crescenti oneri della gestione”). Non era stato, inoltre, rilevato dalla banca lo squilibrio assai vistoso tra le cessioni e gli acquisiti, monitorato solo per verificare la puntualità degli incassi e dei versamenti sul conto affidato.
Veniva, infine» ritenuta rilevante la circostanza che fosse stata omessa la valutazione dei prelievi di ingenti somme in contanti (superiori ai due milioni di euro nel solo 2007), effettuati in contanti allo sportello da B.. Tali prelievi, di importo equivalente a quello delle autofatture emesse ed annotate, erano volti alla restituzione in nero di quanto ricevuto per il pagamento delle fatture emesse per operazioni inesistenti. Altri istituti bancari avevano effettuato una diversa valutazione al riguardo.
In merito all’ambito di applicazione della disposta confisca, il giudice dell’esecuzione osservava che, nel caso di specie, non era in discussione la sanzione della confisca, disposta nei confronti dell’imputato per delitti per i delitti per il quali era intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, bensì la sussistenza o meno del diritto di garanzia della banca su somme che avevano costituito oggetto materiale della confisca.
6. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, il legale rappresentante della “Cassa Rurale Banca di Credito Cooperativo di T. s.c.r.l.” che, anche mediante tuia memoria difensiva, formula le seguenti censure.
Deduce violazione degli artt. 322-ter c.p. e 1851 c.c., essendo l’oggetto della confisca appartenente a persona estranea al reato, cioè alla banca che aveva ricevuto in pegno irregolare le sottoscrizioni di quote dei suoi prestiti obbligazionari da parte di B., nonché carenza e illogicità della motivazione sul punto. Evidenzia una contraddizione esistente tra il primo provvedimento e quello emesso in sede di opposizione circa la possibilità o meno di individuare i titoli obbligazionari e la facoltà della banca di disporre o meno degli effetti ai sensi e per gli effetti dell’art. 1851 c.c.
Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 322-ter c.p., deducendo che l’oggetto del sequestro apparteneva a persona estranea al reato che non ha tratto alcun vantaggio dall’altrui posizione criminosa e che, in ogni caso, versava in situazione di buona fede e di affidamento incolpevole, posto che le garanzie pignoratizie di cui si discute erano state presentate da B. per ottenere la concessione e l’ampliamento delle linee di credito alla “s.r.l. C.” e non già per tutelare crediti preesistenti.
Con un terzo motivo deduce la violazione dell’art. 1, comma 143, l. n. 244 del 2007 e dell’art. 322-ter c.p., nonché vizio della motivazione, in quanto, in violazione del principio di irretroattività della legge penale sopravvenuta più sfavorevole, erano state confiscate somme versate da B. per la sottoscrizione di quote di emissione obbligazionarie della banca nel 2007, laddove la confisca ex art. 322-ter c.p. era stata introdotta, con riferimento ai reati per i quali B. aveva riportato condanna, solo dall’1 gennaio 2008.
Con un quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 1851 c.c., 2696 e 2697 c.c. in relazione all’attribuzione ad “Equitalia Giustizia s.p.a.”, anziché alla banca del realizzo dei pegni per i quali era stata riconosciuta la permanenza della garanzia reale. A fondamento di tale decisione il giudice aveva erroneamente posto, da un lato, la non facile individuazione dei titoli da restituire, con ciò contraddicendo quanto sostenuto in altra parte del provvedimento, e, dall’altro, la necessità di subordinare il diritto della banca al soddisfacimento del proprio credito alla permanenza dell’attualità dello stesso, senza indicare la ragioni per le quali il mancato realizzo del pegno da parte dell’istituto avrebbe comportato la cancellazione della confisca con conseguente pagamento a B. dei versamenti a suo tempo effettuati.
Osserva in diritto
Il primo motivo di ricorso, avente carattere logicamente preliminare ed assorbente rispetto alle altre censure formulate dalla parte ricorrente, è fondato.
1. Il “pegno irregolare” (art. 1851 c.c.) in tema di anticipazione bancaria risponde ad uno schema negoziale di portata generale ed è accomunabile al pegno c.d.” regolare” (artt. 2784 ss. c.c.) sia per il profilo strutturale della “natura reale” del contratto quanto all’attrazione della datio rei nel suo momento perfezionativo, sia per il profilo funzionale della condivisa “causa di garanzia”.
Esso è, però, connotato da una sua specificità di contenuto e di effetti.
L’effetto “reale”, che nel pegno regolare si esaurisce nella creazione di uno ius in re aliena opponibile erga omnes, assume, invece, nel pegno irregolare la più ampia valenza di un vero e proprio trasferimento di proprietà delle cose attribuite in garanzia. La “causa”, inizialmente ricondotta ad una sorta di dazione in pagamento risolutivamente condizionato, è ora più coerentemente ricollegata alla stessa funzione di garanzia, una volta riconosciutale l’idoneità a giustificare una attribuzione in proprietà non meno delle tradizionali causae venditionis e donationis.
Inoltre, l’obbligazione restitutoria gravante sul creditore, concerne il tantundem di quanto ricevuto in garanzia, mentre nel pegno regolare ha ad oggetto la medesima res di cui egli ha avuto temporaneamente la detenzione.
Sulla base di queste premesse, le Sezioni Unite civili di questa Corte, con decisioni condivise dal Collegio (Sez. U. n. 16725 del 25 ottobre 2011; Sez. U., n. 202 del 14 maggio 2001) hanno affermato che il pegno irregolare è il contratto con cui il garante consegna e attribuisce in proprietà al creditore denaro o beni aventi un prezzo corrente di mercato, e per ciò reputati fungibili con il denaro, dei quali l’accipiens deve restituire il tantundem (solo) se e quando interviene l’adempimento della obbligazione garantita; altrimenti, l’obbligazione restitutoria attiene alla eventuale eccedenza del valore dei beni trasferiti in proprietà rispetto al valore della prestazione garantita rimasta inadempiuta.
Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U., n. 775 del 16 novembre 1999) hanno, inoltre, affrontato la questione se possano configurarsi come meccanismo compensativo le modalità operative della garanzia concretantisi, in caso di inadempimento del debitore, in un’automatica estinzione satisfattiva del credito garantito, con residuo obbligo del creditore di restituire al debitore garante l’eventuale eccedenza. In proposito hanno argomentato che vi è ostacolo alla compensazione soltanto nel caso in cui le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l’autonomia. In tale ipotesi, infatti, se si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni, si inciderebbe sulla stessa efficacia del negozio, paralizzandone gli effetti. Al contrario, quando le obbligazioni, pur avendo causa in un unico rapporto negoziale o in rapporti collegati, non siano però in posizione sinallagmatica, non v’è ragione di escludere l’operatività di un meccanismo propriamente compensativo. E’ quanto avviene, ad esempio, nel caso del debito principale e del debito di restituzione del tantundem del creditore assistito da pegno irregolare, che restano autonomi, ancorché collegati da un vincolo di accessorietà.
La compensazione automatica, coessenziale allo schema effettuale stesso del pegno irregolare, rappresenta lo strumento tipico di realizzazione di siffatta prelazione, sostitutivo del più complesso congegno satisfattivo previsto per il pegno regolare (espropriazione – vendita – soddisfacimento sul ricavato), che resta, nella specie, scavalcato anche per ragioni di opportunità pratica (evidentemente delibate e sottese alla opzione normativa) confliggenti con una previsione di vendita, a fini satisfattivi del creditore di quanto è, a tali effetti già in sua proprietà (Sez. U., n. 202 del 14 maggio 2001).
Il contratto di pegno irregolare, di conseguenza, non elimina il diritto a pretendere l’adempimento, quanto piuttosto esaurisce in limine l’interesse del creditore a percorrere la via della esecuzione forzata, essendo anticipato con lo strumento negoziale l’effetto finale della tutela processuale. L’automatismo di tutela, così predisposto, scatta, dunque, alla scadenza della obbligazione principale, nel caso di suo inadempimento.
2. Tanto premesso, l’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi in precedenza illustrati laddove ha escluso la qualificazione quale pegno “irregolare” (art. 1851 c.c.) del rapporto esistente tra la “Cassa Rurale Banca di Credito cooperativo di T. s.c.r.I.” e I. B., tradottosi nella sottoscrizione, da parte di I. B., di quote di prestiti obbligazionari emessi dalle banca e nella loro costituzione in pegno a garanzia di fidi accordati dalla banca alla “s.r.l. C.”, fidi incrementati nel corso degli anni.
Con riferimento alla “individuazione dei titoli” l’ordinanza impugnata ha applicato erroneamente i principi sanciti dall’art. 1851 c.c. Infatti,, pur riconoscendo che le clausole del contratto concluso da B. con la Banca all’atto della costituzione del pegno attribuivano all’istituto di credito il potere di “auto soddisfacimento” dei crediti garantiti sull’ammontare di eventuali titoli rappresentativi di depositi bancari al portatore, ha negato la natura del pegno irregolare sulla base di argomentazioni che non appaiono conformi ai principi in precedenza enunciati.
Innanzitutto ha omesso di considerare che, nel caso in esame venivano sottoscritti prestiti obbligazionari “dematerializzati”, che non davano, quindi, luogo all’emissione di alcun “titolo” o “documento”. Pertanto, la sottoscrizione, da parte del cliente, di una frazione del prestito con versamento all’istituto di credito emittente dei relativi importi non determinava alcuna “identificazione” dei titoli al nome di ciascun sottoscrittore.
Il provvedimento impugnato ha, inoltre, sovrapposto, ai fini dell’esatta ricostruzione della nozione di “pegno irregolare” (art. 1851 c.c.) sempre sotto il profilo della “individuazione dei titoli”, due aspetti tra loro profondamente diversi: quello attinente all’identificazione del prestito obbligazionario e quello concernente l’identificazione delle quote sottoscritte dal singolo risparmiatore. Un esatto inquadramento di questi due distinti aspetti avrebbe dovuto condurre alla conclusione che, nella presente fattispecie, l’identificazione mediante i codici ISIN riguardava l’intero corpus del prestito obbligazionario costituito da titoli “dematerializzati”, ma non le singole frazioni di prestito obbligazionario sottoscritte da B. e ad esso riconducibili mediante la registrazione in un dossier dei versamenti effettuati nel corso del tempo.
Inoltre non ha valutato la circostanza, pure emergente dai contratti allegati ed acquisiti, che le somme versate da B. a fronte della sottoscrizione di frazioni del prestito obbligazionario entravano a far parte del patrimonio della banca con obbligo di restituzione, da parte della stessa, nei termini e alle condizioni stabilite per il prestito obbligazionario e che il contratto di costituzione di pegno riconosceva all’istituto di credito il potere di immediatamente disporne. In presenza di tale facoltà di disposizione si esula dai confini del pegno regolare per rientrare, viceversa, nella disciplina prevista dall’art. 1851 c.c., con la conseguenza che il creditore acquisisce immediatamente la proprietà del denaro o dei beni, destinati poi, al momento dell’adempimento, ad essere restituiti in equivalente per intero, oppure, in caso d’inadempimento, nella sola misura eventualmente eccedente l’ammontare del credito garantito (Sez, 1, n. 26154 del 6 dicembre 2006; Cass. 20 aprile 2006, n. 9306; Sez. I, n. 5290 del 20 aprile 2006; Sez. 3, n. 12964, del 12 giugno 2005; Sez. 3, n. 10000 del 24 maggio 2004).
3.Sulla base dei principi sinora illustrati è possibile affermare il seguente principio di diritto: non può procedersi a confisca per equivalente, in danno di un istituto bancario, delle frazioni di un prestito obbligazionario “dematerializzato “, sottoscritto dalla persona nei cui confronti sia stata emessa sentenza di applicazione concordata della pena (art. 444 c.p.p.) per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), e accompagnato dal versamento dei relativi importi alla banca emittente che abbia contrattualmente la facoltà di disporre dei titoli stessi, trattandosi di ipotesi di pegno irregolare (art. 1851 c.c.) conseguente alla mancata identificazione dei titoli e alla immediata acquisizione della proprietà del denaro da parte del creditore.
4.Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte s’impone, quindi, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
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