Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza n. 5 del 02 gennaio 2013
LAVORO (RAPPORTO DI) – CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO – CARATTERE SOSTITUTIVO DI APPOSIZIONE DEL TERMINE AL CONTRATTO DI LAVORO – MOTIVAZIONE
massima
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Posto che l’onere di specificazione delle ragioni di carattere sostitutivo di apposizione del termine al contratto di lavoro risponde all’esigenza di evitare l’uso indiscriminato del contratto a tempo determinato, è legittima, perché specificamente motivata, l’indicazione nel contratto della causale sostitutiva, del termine iniziale e finale del rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine, dell’inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 19 marzo 2007 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trapani del 13 aprile 2004, ha dichiarato che tra L.V. e Poste Italiane s.p.a. è intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 13 novembre 2002, ed ha condannato Poste Italiane al pagamento delle retribuzioni maturate dal 14 febbraio 2003 data della richiesta del tentativo di conciliazione. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia sul presupposto che il datore di lavoro no n ha provato le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo a cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, applicabile alla fattispecie, subordina la possibilità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro. In particolare la corte palermitana ha considerato che l’incremento di attività in occasione del periodo natalizio in cui si è svolto il rapporto, non costituisce fatto notorio tale da esonerare il datore di lavoro dall’indicazione dei motivi speciali che consentono l’assunzione a termine.
Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su otto motivi.
Resiste con controricorso L. che svolge ricorso incidentale condizionato. Poste Italiane ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno riuniti essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, dell’art. 25 CCNL 11/1/2001, 2 e 74 CCNL 11/1/2001, artt. 1363 e 1367 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare si lamenta che la corte territoriale non avrebbe considerato la disciplina transitoria di cui all’art. 11 citato che consentirebbe il permanere dell’efficacia dei contratti collettivi ancora in vigore fra cui quello del 11/1/2001 che consente la stipula di contratti a termine.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1362 e segg. c.c. e dell’art. 1325 c.c.. In particolare si lamenta che la corte palermitana non avrebbe considerato sufficiente la specificità dei motivi dell’assunzione a termine che invece erano ben esposti nella lettera di assunzione.
Con terzo motivo si lamenta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deducendosi che il contratto di lavoro faceva specifico riferimento al processo aziendale ed alla concomitante esigenza di far fronte all’incremento del traffico postale nel periodo natalizio.
Con il quarto motivo si assume violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 12 preleggi, degli artt. 115, 116 e 244 c.p.c. e art. 421 c.p.c., comma 2 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare si deduce che la corte territoriale, nell’affermare che non erano state provate le esigenze che giustificavano l’apposizione del termine, avrebbe equivocato la lettera della norma che prevede l’onere probatorio con riferimento alla proroga del contratto a termine, e non anche alla stipula ex novo di contratto.
Con il quinto motivo si lamenta omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento alla non considerazione quale fatto notorio, dell’aumento delle esigenze produttive del servizio postale durante il periodo natalizio.
Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, dell’art. 12 disp. gen., artt. 1362 e segg. c.c., art. 1419 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare si lamenta che sarebbe stata considerata una conseguenza dell’illegittimità del termine non prevista dal legislatore che, infatti, non avrebbe previsto la conversione del rapporto a tempo indeterminato quale conseguenza dell’illegittimità del termine.
Con il settimo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, riguardo all’asserita violazione dei principi sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, in base ai quali i lavoratori avrebbero diritto alle retribuzioni, anche a titolo risarcitorio, solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio.
Con l’ottavo motivo si deduce contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 riguardo alla determinazione della essa in mora all’epoca della richiesta del tentativo di conciliazione che non conterrebbe alcuna messa a disposizione delle energie lavorative.
Con il ricorso incidentale condizionato si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1. In particolare si ripropone un motivo del ricorso in appello che la Corte territoriale non ha considerato ritenendolo assorbito e relativo alla considerazione per cui le Poste potevano avvalersi di teams di lavoro per far fronte ad esigenze eccezionali per cui l’incremento di attività nel periodo natalizio non avrebbe comunque giustificato l’assunzione a termine.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato. L’art. 25 del CCNL invocato dalla ricorrente non è applicabile ratione temporis al contratto in esame stante la sua vigenza fino al 31 dicembre 2001, mentre il contratto a termine de quo decorre dalla successiva data del 13 novembre 2002.
Il secondo, terzo e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente riferendosi tutti al giudizio sulla sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso al contratto a termine ed indicati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1; i motivi sono infondati.
Come ripetutamente affermato da questa Corte (per tutte Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577) in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità. Nel caso in esame tale valutazione è stata correttamente operata dalla corte territoriale che ha rilevato come il datore di lavoro abbia usato una formula generica e di stile che non consente la verifica delle effettive ragioni poste a sostegno dell’assunzione. Tale giudizio appare logico e compiuto e sfugge ad ogni censura di legittimità.
Anche il quarto motivo è infondato, in quanto l’argomentazione relativa all’applicabilità della normativa di cui si è detto sopra ai fini del ricorso al contratto a termine assorbe ogni altra considerazione riguardante la eventuale successiva proroga del contratto stesso che, in altri termine, diviene irrilevante una volta ritenuta l’illegittimità ab initio del contratto a termine stesso.
Il sesto motivo è pure infondato. L’omessa indicazione nell’art. 1 D.Lgs. citato della sanzione della conversione del contratto non è certo sufficienza ad evitare le conseguenza della nullità del termine. Va infatti considerato che la sanzione dell’inefficacia del termine è prevista dal medesimo art. 1, per cui, logicamente, una volta dichiarata l’inefficacia del termine il contratto di lavoro non perde per intero la sua efficacia, ma solo il suo termine finale e si converte conseguentemente in contratto a tempo indeterminato, nè la norma stessa, ragionando a contrario, prevede la conseguenza della nullità dell’intero contratto.
Il settimo motivo è inammissibile per inidoneità del quesito. La ricorrente, infatti, propone il seguente quesito: “1) per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. c.c. 2) In ipotesi di accertamento della nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e di riconoscimento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate, in applicazione delle previsioni di cui all’art. 1218 e ss. c.c. e degli artt. 2043 e ss. c.c., devono detrarsi i ricavi percepiti o percepibili facendo uso della ordinaria diligenza (rientrando detti ultimi tra le ipotesi di danno riconducibile a fatto e colpa del soggetto che si assume danneggiato) dal lavoratore (sul quale grava conseguentemente l’onere di provare di aver posto in essere ogni attività utile ad eliminare o limitare il danno) che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa. Osserva il Collegio che il quesito in questione risulta del tutto astratto e privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, in quanto si risolve soltanto nella mera enunciazione astratta del principio invocato dalla ricorrente, senza enucleare il momento e le ragioni di conflitto rispetto ad esso del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. Cass. 4-1-2011 n. 80 e Cass. 29-4-2011 n. 9583, nonché, in particolare sul medesimo quesito, Cass. 7-4-2011 n. 7955, Cass. 1-9-2011 n. 17975). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. In particolare “deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo” e “la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339, v. anche Cass. 20-6-2008 n. 16941). Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr.Cass. 7-4-2009 n. 8463). Mancando tali elementi il quesito in esame deve ritenersi inidoneo ed il relativo motivo inammissibile.
L’ultimo motivo è generico ed infondato. La ricorrente lamenta che la richiesta della conciliazione non conterrebbe alcuna messa a disposizione delle energie lavorative, ma non considera che la corte territoriale ha evidentemente considerato logicamente implicita tale messa a disposizione nella richiesta di conciliazione.
Il ricorso incidentale è assorbito, stante il rigetto del ricorso principale.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge.
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